quello che dici tu e' giusto,ma hai trascurato un problema non da poco...
tu dici che bisogna riscrivere delle regole da seguire per un passaggio graduale ad un nuovo sistema piu' giusto e sostenibile,ma se credi che sia possibile mentre vige il sistema attuale,beh ,stai fresco! chi comanda oggi ,non permettera' mai ne di scrivere ne di seguire certe tabelle..l'unica soluzione e' abolire questo sistema eppoi costruirne uno nuovo
ma certo Stefano che il cacao è una risorsa rinnovabile, come le carote, i fagioli ecc , ma anche le risorse rinnovabili hanno il problema di essere limitate... la torta è una e quanto è finita è finita, oppure si deve accettare che le fette siano più piccole per tutti.
Ecco a me pare che questi concetti elementari gli economisti della Crescita Inifinita CI fatichino a mandarli giù (che mi insultino pure se sbaglio, ma me lo devono dimostrare).
Non parliamo poi delle risorse non rinnovabili , quelle - orrore! - quando si esauriscono finiscono e basta, non come i fagioli che si possono seminare di nuovo ... ma vedi sopra, chi glielo spiega ai grandi sacerdoti della CI?
Lorenzo
Lou soulei nais per tuchi
Visto che continua ad essere tanto di moda...
Chi si prende la briga di verificare alla fonte se è così?
Articolo 18 e Jobs Act, ecco come si licenzia in Europa - Repubblica.it
Neutrofilo, normofilo, fatalistofilo: il politically correct della meteo
27/11: fuori a calci i pregiudicati. Liberazione finalmente.
Articolo aspramente criticabile e fine a se stesso, a mio parere. La moneta unica è stata, probabilmente, la scelta più scriteriata e scellerata nella storia dell'Europa e dei suoi burocrati, ma prenderla addirittura come parametro per misurare lo stato di salute di un paese (arrivando alla conclusione che l'euro è ininfluente dal punto di vista della "crescita") significa non aver capito nulla [o quasi]. Che sia ininfluente è ovvio (anche se sarebbe meglio non ci fosse), ma non è questo il punto. Innanzitutto cosa si intende per "crescita"? L'aumento del PIL? Bene, ma l'aumento del PIL non è affatto espressione dello stato di salute e di benessere di un popolo, e nemmeno della sua economia (se per economia si intende ciò di cui quotidianamente si discute in ambito finanziario e politico). Non a caso quei paesi europei che pure non "crescono" o crescono poco (quelli che nell'articolo vengono individuati come non aderenti alla moneta unica, aspetto per me ininfluente) stanno meglio. E perché stanno meglio? Perché vivono in un territorio migliore, più curato e rispettoso della natura, più efficiente dal punto di vista dei consumi, più attento alle esigenze interiori dell'uomo (che non è una macchina per produrre soldi) e, quindi, in grado di predisporre al benessere fisico attraverso un migliore stile di vita (concetto assolutamente non compatibile con la crescita del PIL).
Senza considerare, inoltre, che aumento del PIL significa, inevitabilmente, anche aumento del debito. Non ne siete convinti? Allora vediamo questi grafici relativi a due superpotenze che hanno fatto della crescita il loro mantra:
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debito giappone.JPG
Il Giappone, come già detto, è il caso più conclamato - nella storia dell'universo - di "bancarotta ignorata". Eppure il suo obiettivo è sempre stato crescere, crescere, crescere ... appunto.
L'obiettivo dell'umanità dovrebbe invece essere quello di stare meglio, ovvero quello di vivere in un mondo più equo e solidale, senza differenze di classe ed in armonia con l'ambiente (quindi il contrario di ciò che sta dietro alla crescita del PIL). E invece l'articolista si lamenta [implicitamente] della scarsa crescita, arrivando a dire che gli altri non se la passano meglio di noi se la variazione positiva è solo di qualche decimale (a fronte di una nostra decrescita decimale): siamo tutti sulla stessa barca, insomma! Ed invece no: c'è chi sta meglio pur non "crescendo" in termini di profitto, ma crescendo interiormente e, esteriormente, attraverso la realizzazione di una società più giusta che ragioni in ottica collettiva (e non individualista), sacrificando il superfluo ed assicurando, a tutti, il necessario (in un cotesto di razionalizzazione delle risorse, di efficienza e, quindi, di migliore qualità della vita). Tutto ciò lo si sta apprezzando, in alcune realtà, solo in termini di decrescita appena accennata (lieve contrazione del PIL). Ciò accade perché siamo ancora in una fase embrionale di questo nuovo modo di pensare. Quando, dal basso, tale pensiero diverrà costante e predominante, allora il PIL, finalmente, calerà drasticamente e smetterà di essere al centro dei pensieri dell'umanità, persino dei suoi governanti.
Solo su una cosa sono d'accordo con l'autore dell'articolo: lo stato sociale, così come strutturato - oggi - in un contesto di esaltazione dei diritti individuali, si è tramutato in una costosa ed insostenibile difesa di anacronistici privilegi. Dovrebbe invece essere una garanzia per la tutela di diritti inalienabili e connaturati alla stessa essenza dell'individuo, senza alcun tipo di distinzione e differenziazione. Invece è ora garante di laceranti diseguaglianze e suddivisioni per "caste" con pochi che hanno troppo (per "diritti acquisiti" nei decenni scorsi, e paradossalmente non modificabili) e troppi che hanno poco, per non dire nulla (e sulle cui spalle grava il mantenimento dei diritti dei pochi che hanno troppo).
Le nuove regole saranno indotte dal basso, attraverso un costante calo mondiale dei consumi per una presa di coscienza, collettiva, dell'esigenza di eliminare gli sprechi e di attuare uno sviluppo sostenibile che tenga conto delle risorse (non infinite) del pianeta. Tutto ciò avverrà progressivamente. Nulla vieta ai popoli, tuttavia, di scegliere i governanti giusti che siano in grado, a loro volta, di anticipare i tempi e di pianificare questo passaggio da un sistema all'altro. Maggiore sarà il ritardo dei governanti rispetto alla presa di coscienza collettiva di cui sopra, maggiore sarà la quantità di sangue che - potenzialmente - si dovrà versare per concretizzare il tutto. Per questo è necessario, a mio avviso, munirsi su vasta scala di una classe dirigente che sia parte integrante (e non parte avversa) delle esigenze di cui il popolo che soffre è già divenuto espressione (classe dirigente che, ad oggi, non risulta pervenuta).
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