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  1. #24701
    Uragano
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    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Circa la questione Portogallo, il paese è in netta ripresa dopo anni di austerity, il paragone con Atene fatto da alcuni è un po' inappropriato, il Portogallo prima del 2008 aveva un debito pubblico ben più basso di quello greco, e l'economia era un pizzico più solida.
    Detto ciò, parliamo anche della Grecia, i greci stessi sapevano benissimo che se uscivano dall'euro sarebbero stati condannati alla povertà e all'isolamento, in quanto non hanno uno straccio di risorse, insomma, la Grecia non è l'Argentina che aveva molte derrate alimentari (e le esporta tuttora)

  2. #24702
    Uragano
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    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Citazione Originariamente Scritto da and1966 Visualizza Messaggio
    Eh, già! È proprio ciò che voglio far capire agli strenui difensori di questa UE !!
    Anche io lo sono cmq, servono gli USE per fronteggiare le sfide globali, continuo a ribadirlo, e i cittadini europei dovranno ficcarselo bene in capoccia

  3. #24703
    Vento forte L'avatar di and1966
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    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Citazione Originariamente Scritto da Stefano De C. Visualizza Messaggio
    Anche io lo sono cmq, servono gli USE per fronteggiare le sfide globali, continuo a ribadirlo, e i cittadini europei dovranno ficcarselo bene in capoccia
    Ma è proprio quello, il punto: una unione solo economica non serve a nulla.

    Ma i comportamenti degli ultimi 6 anni (oltre che ad una latente, reciproca, mala sopportazione che si trascina da millenni), impediscono una svolta come tu dici. Stati che fino a 80 anni fa si sono scannati fra loro non li metti insieme "per decreto", schioccando le dita!

    E la storia ci ha insegnato che i "matrimoni forzati", hanno prodotto più danni che utile (cfr Jugoslavia)
    " Intra Tupino e l'acqua che discende del colle eletto dal beato Ubaldo,
    fertile costa d'alto monte pende........" Dante, Paradiso XI
    - In avatar, il mio mondo : Omar, Sarah, il cantiere e .... la neve!

  4. #24704
    Uragano
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    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Citazione Originariamente Scritto da and1966 Visualizza Messaggio
    Ma è proprio quello, il punto: una unione solo economica non serve a nulla.

    Ma i comportamenti degli ultimi 6 anni (oltre che ad una latente, reciproca, mala sopportazione che si trascina da millenni), impediscono una svolta come tu dici.

    E la storia ci ha insegnato che i "matrimoni forzati", hanno prodotto più danni che utile (cfr Jugoslavia)
    L'epoca storica è però differente, certo un processo così complesso impensabile che avvenga in pochi anni.
    Confidiamo in quelli che hanno 16-18 anni oggi, poichè:
    1)non hanno conosciuto le vecchie monete per cui non vedrebbero il motivo di cambiarla
    2)stanno crescendo abituati a viaggiare per il continente senza mostrare i documenti

  5. #24705
    Vento forte L'avatar di and1966
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    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Citazione Originariamente Scritto da Stefano De C. Visualizza Messaggio
    L'epoca storica è però differente, certo un processo così complesso impensabile che avvenga in pochi anni.
    Confidiamo in quelli che hanno 16-18 anni oggi, poichè:
    1)non hanno conosciuto le vecchie monete per cui non vedrebbero il motivo di cambiarla
    2)stanno crescendo abituati a viaggiare per il continente senza mostrare i documenti
    Concordo con te, alla fine l' istinto umano del "massimo risultato con il minimo sforzo" potrebbe avere la meglio !
    " Intra Tupino e l'acqua che discende del colle eletto dal beato Ubaldo,
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  6. #24706
    Vento teso L'avatar di SnowBurian
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    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Citazione Originariamente Scritto da Stefano De C. Visualizza Messaggio
    L'epoca storica è però differente, certo un processo così complesso impensabile che avvenga in pochi anni.
    Confidiamo in quelli che hanno 16-18 anni oggi, poichè:
    1)non hanno conosciuto le vecchie monete per cui non vedrebbero il motivo di cambiarla
    2)stanno crescendo abituati a viaggiare per il continente senza mostrare i documenti
    Allora andremo dalla padella alla brace.

  7. #24707
    Burrasca L'avatar di EnnioDiPrinzio
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    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    L'articolo l'ho trovato sul web (la repubblica.it) ed è del 2014 ma il problema rimane (anzi peggiora) : la finanza ha un giro d'affari 13 volte più grande rispetto a quello dell'economia reale.
    È come un giro di scommesse (che scommette su tutto, anche sul fallimento degli Stati, senza creare PIL e senza pagare le tasse).
    Ecco l'articolo:

    Finanza un trilione di dollari che soffoca l’economia reale


    È DI 993 MILA MILIARDI IL VALORE DELLA RICCHEZZA DI CARTA” GLOBALE A FINE DEL 2013, CIRCA 13 VOLTE IL PRODOTTO LORDO MONDIALE. IN DIECI ANNI IL PIL È RADDOPPIATO, L’ALTRA GRANDEZZA È TRIPLICATA
    Marco Panara
    27 Ottobre 2014


    <p>L a più sintetica fotografia del nostro tempo difficile è nel rapporto tra due numeri, nella cui gigantesca differenza si annidano gran parte dei pericoli che ci minacciano. I l primo è 75 bilioni di dollari, 75 mila miliardi, l’ammontare del prodotto lordo mondiale nel 2013. Il secondo è 993 bilioni di dollari, 993 mila miliardi, l’ammontare delle attività finanziarie globali alla fine dello scorso anno. Oggi ambedue i numeri sono già più alti, e quando nei prossimi mesi avremo i dati del 2014 dovremo cominciare a familiarizzarci con un nuovo termine: trilione, fino ad oggi utilizzato solo dagli informatici per contare i bit della capacità di calcolo e dagli astronomi per misurare la distanza tra le stelle. Dal 2015 lo useremo anche in economia per dare un nome a quella inquietante montagna di attività finanziarie che avrà superato il picco del milione di miliardi, un trilione appunto. Il primo motivo per il quale quella montagna ci inquieta, oltre alla sua dimensione, è la dinamica: in dieci anni il prodotto lordo mondiale è raddoppiato mentre il volume delle attività finanziarie è triplicato. Il secondo motivo è la struttura di quella montagna: di quei 993 mila miliardi di dollari solo 283 mila sono finanza primaria, ovvero azioni, obbligazioni e attivi bancari; tutto il resto, 710 mila miliardi di dollari, sono invece prodotti derivati scambiati fuori dai mercati regolamentati, dei quali solo una piccola quota è legata a transazioni che hanno a che fare con l’economia reale. Il grosso sono scommesse: sui tassi di interesse, sulle valute, sui prezzi delle materie prime, sull’andamento degli indici azionari, sul fallimento di stati o di grandi imprese. All’interno di quei 710 mila miliardi si annidano, secondo le stime della Banca dei Regolamenti Internazionali, rischi massimi pari a circa 19 mila miliardi, una cifra superiore al prodotto interno lordo degli Stati Uniti. I derivati inoltre, il grosso di quella montagna, sono la parte che negli ultimi dieci anni è cresciuta più rapidamente surclassando la finanza primaria, il cui rapporto con il pil si è mantenuto sostanzialmente stabile intorno a un multiplo di quattro, mentre i derivati sono passati da cinque a dieci volte il pil. La finanza non è un nemico dell’economia, è anzi fondamentale per la sua crescita, e non lo è neanche l’innovazione finanziaria in sé. Il problema è che la finanza è diventata un competitore dell’economia reale nell’attrazione delle risorse, un potentissimo elemento di distorsione dei processi e delle politiche, un ancora più potente fattore di instabilità i cui rischi sono amplificati dalla velocissima mobilità dei capitali e dalla volatilità delle scelte, oltre che dalla dimensione delle risorse in gioco. L’esempio che fa in proposito il Global Financial Stability Report pubblicato pochi giorni fa dal Fondo Monetario Internazionale, è quello di un rapido aggiustamento nel settore delle obbligazioni che determini la variazione di 100 punti base (un punto percentuale) nel rendimento medio: se questo accadesse il valore di mercato dei portafogli obbligazionari subirebbe una perdita superiore all’8 per cento, pari a un controvalore di tremila 800 miliardi di dollari. Passare dallo starnuto ad una polmonite quando in ballo ci sono cifre di questa dimensione, è questione di attimi. Ma cominciamo dall’inizio. Il problema della competizione tra la finanza e l’economia reale non si porrebbe se negli ultimi quindici anni non si fosse sviluppata impetuosamente quella che potremmo definire “finanza sintetica” o “finanza di carta”, che cioè vive di vita propria e assorbe risorse senza trasferirle all’economia reale e quindi alla crescita. C’è molto rischio in questo tipo di finanza, ma ci sono anche guadagni colossali e assai poche tasse (spesso nessuna), il che la rende assai attraente per i capitali in cerca di opportunità. E’ la ragione per cui il Fondo Monetario, nel Rapporto di cui sopra, segnala come primo fattore di instabilità lo squilibrio tra gli investimenti finanziari e gli investimenti reali e indica nella costruzione di nuovo equilibrio la ricetta necessaria per avere un futuro più tranquillo. Il Fondo non avrebbe nessun bisogno di segnalare questo squilibrio se la finanza fosse al servizio dell’economia reale, perché l’investimento finanziario (e il rischio connesso) sarebbero collegati all’investimento (e al rischio) economico. Se lo segnala è perché quel collegamento non più così forte anzi è diventato assai debole, tanto da porre un problema ulteriore, quello della efficacia delle politiche monetarie e del rischio della loro distorsione. E’ il problema che cerca di affrontare la Bce per esempio con la recente asta di crediti alle banche finalizzati all’economia reale, e che presto potrebbe fare un ulteriore passo con l’acquisto di “asset baked securities” (abs). Le politiche monetarie espansive adottate dalle banche centrali per contrastare la crisi delle economie infatti hanno avuto una efficacia limitata (o annullata) dal fatto che i miliardi immessi nel sistema non sono andati a finanziare investimenti delle imprese e consumi delle famiglie ma soprattutto operazioni finanziarie. Che notoriamente non aumentano l’occupazione, non si trasformano in pil e neanche in gettito fiscale aggiuntivo per le esauste casse degli stati. Di qui il paradosso che la politica monetaria per raggiungere i suoi obiettivi deve oggi ricorrere a strumenti non convenzionali: come la finanza ha sempre innovato per trovare il modo di aggirare i vincoli posti dalle banche centrali, ora sono le banche centrali a dover innovare per trovare il modo di aggirare le sabbie mobili della finanza. Ma, come ci ricorda Draghi a ogni piè sospinto, la politica monetaria - anche se come tutti (salvo la Germania) speriamo, riuscirà ad essere innovativa ed efficace - non basta. L’economia reale deve trovare in se stessa la capacità di competere con la finanza per attrarre risorse, cioè investimenti. Come? Ci vuole l’altra politica, quella capace di fare da una parte le riforme necessarie per la competitività e, dall’altra, di far pagare le tasse anche a chi fa i soldi con la finanza di carta. Se l’economia paga le tasse e la finanza di carta no non ci sono riforme strutturali che tengano, vincerà sempre la seconda. E noi saremo sempre più poveri. 1 2 3 Il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli (1), Raffaele Jerusalmi (2), presidente di Borsa Italiana e Maurizio Bufi (3), presidente dell’Anasf Nel grafico a sinistra, l’inarrestabile crescita delle attività finanziarie, che solo in parte contribuiscono alla crescita dell’economia </p>

  8. #24708
    Josh
    Ospite

    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Citazione Originariamente Scritto da and1966 Visualizza Messaggio
    @Josh : appurato che non è quella dei sovranisti, la strada, me lo fate un riassunto, QE a parte, dei benefici effetti della gestione UE negli ultimi 6 anni, Germania e, forse, Francia a parte?

    E sopratutto, me la tracciate una linea di previsione dei mirabolanti effetti della gestione UE per i prossimi anni?

    Ah, volevo aggiungere che oltre al QE, il "miracolo" economico degli ultimi anni è frutto, ça va sans dire, anche del costo relativamente basso di idrocarburi e materie prime tecnologiche ....
    IL QE ha consentito di guadagnare tempo,tenendo bassi gli spread.Poi certo, se la mentalità è quella dell'"esistono solo gli Stati nazione" non ci sarà QE che salverà l'UE. Soprattutto se si generalizzassero politiche di aumento della spesa corrente alla gialloverde,che come sai per ora restano un unicum nell'eurozona.

  9. #24709
    Josh
    Ospite

    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Citazione Originariamente Scritto da and1966 Visualizza Messaggio
    Ma è proprio quello, il punto: una unione solo economica non serve a nulla.

    Ma i comportamenti degli ultimi 6 anni (oltre che ad una latente, reciproca, mala sopportazione che si trascina da millenni), impediscono una svolta come tu dici. Stati che fino a 80 anni fa si sono scannati fra loro non li metti insieme "per decreto", schioccando le dita!

    E la storia ci ha insegnato che i "matrimoni forzati", hanno prodotto più danni che utile (cfr Jugoslavia)
    A parte che lo dici tu.Un'unione "solo economica",cioè tipo Mercosur, è meglio di nessuna unione,cioè della situazione pre-mercato comune.
    Che poi ti diverti a provocare lo sappiamo...sei una carta conosciuta,caro mio

  10. #24710
    Josh
    Ospite

    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Citazione Originariamente Scritto da EnnioDiPrinzio Visualizza Messaggio
    L'articolo l'ho trovato sul web (la repubblica.it) ed è del 2014 ma il problema rimane (anzi peggiora) : la finanza ha un giro d'affari 13 volte più grande rispetto a quello dell'economia reale.
    È come un giro di scommesse (che scommette su tutto, anche sul fallimento degli Stati, senza creare PIL e senza pagare le tasse).
    Ecco l'articolo:

    Finanza un trilione di dollari che soffoca l’economia reale


    È DI 993 MILA MILIARDI IL VALORE DELLA RICCHEZZA DI CARTA” GLOBALE A FINE DEL 2013, CIRCA 13 VOLTE IL PRODOTTO LORDO MONDIALE. IN DIECI ANNI IL PIL È RADDOPPIATO, L’ALTRA GRANDEZZA È TRIPLICATA
    Marco Panara
    27 Ottobre 2014


    <p>L a più sintetica fotografia del nostro tempo difficile è nel rapporto tra due numeri, nella cui gigantesca differenza si annidano gran parte dei pericoli che ci minacciano. I l primo è 75 bilioni di dollari, 75 mila miliardi, l’ammontare del prodotto lordo mondiale nel 2013. Il secondo è 993 bilioni di dollari, 993 mila miliardi, l’ammontare delle attività finanziarie globali alla fine dello scorso anno. Oggi ambedue i numeri sono già più alti, e quando nei prossimi mesi avremo i dati del 2014 dovremo cominciare a familiarizzarci con un nuovo termine: trilione, fino ad oggi utilizzato solo dagli informatici per contare i bit della capacità di calcolo e dagli astronomi per misurare la distanza tra le stelle. Dal 2015 lo useremo anche in economia per dare un nome a quella inquietante montagna di attività finanziarie che avrà superato il picco del milione di miliardi, un trilione appunto. Il primo motivo per il quale quella montagna ci inquieta, oltre alla sua dimensione, è la dinamica: in dieci anni il prodotto lordo mondiale è raddoppiato mentre il volume delle attività finanziarie è triplicato. Il secondo motivo è la struttura di quella montagna: di quei 993 mila miliardi di dollari solo 283 mila sono finanza primaria, ovvero azioni, obbligazioni e attivi bancari; tutto il resto, 710 mila miliardi di dollari, sono invece prodotti derivati scambiati fuori dai mercati regolamentati, dei quali solo una piccola quota è legata a transazioni che hanno a che fare con l’economia reale. Il grosso sono scommesse: sui tassi di interesse, sulle valute, sui prezzi delle materie prime, sull’andamento degli indici azionari, sul fallimento di stati o di grandi imprese. All’interno di quei 710 mila miliardi si annidano, secondo le stime della Banca dei Regolamenti Internazionali, rischi massimi pari a circa 19 mila miliardi, una cifra superiore al prodotto interno lordo degli Stati Uniti. I derivati inoltre, il grosso di quella montagna, sono la parte che negli ultimi dieci anni è cresciuta più rapidamente surclassando la finanza primaria, il cui rapporto con il pil si è mantenuto sostanzialmente stabile intorno a un multiplo di quattro, mentre i derivati sono passati da cinque a dieci volte il pil. La finanza non è un nemico dell’economia, è anzi fondamentale per la sua crescita, e non lo è neanche l’innovazione finanziaria in sé. Il problema è che la finanza è diventata un competitore dell’economia reale nell’attrazione delle risorse, un potentissimo elemento di distorsione dei processi e delle politiche, un ancora più potente fattore di instabilità i cui rischi sono amplificati dalla velocissima mobilità dei capitali e dalla volatilità delle scelte, oltre che dalla dimensione delle risorse in gioco. L’esempio che fa in proposito il Global Financial Stability Report pubblicato pochi giorni fa dal Fondo Monetario Internazionale, è quello di un rapido aggiustamento nel settore delle obbligazioni che determini la variazione di 100 punti base (un punto percentuale) nel rendimento medio: se questo accadesse il valore di mercato dei portafogli obbligazionari subirebbe una perdita superiore all’8 per cento, pari a un controvalore di tremila 800 miliardi di dollari. Passare dallo starnuto ad una polmonite quando in ballo ci sono cifre di questa dimensione, è questione di attimi. Ma cominciamo dall’inizio. Il problema della competizione tra la finanza e l’economia reale non si porrebbe se negli ultimi quindici anni non si fosse sviluppata impetuosamente quella che potremmo definire “finanza sintetica” o “finanza di carta”, che cioè vive di vita propria e assorbe risorse senza trasferirle all’economia reale e quindi alla crescita. C’è molto rischio in questo tipo di finanza, ma ci sono anche guadagni colossali e assai poche tasse (spesso nessuna), il che la rende assai attraente per i capitali in cerca di opportunità. E’ la ragione per cui il Fondo Monetario, nel Rapporto di cui sopra, segnala come primo fattore di instabilità lo squilibrio tra gli investimenti finanziari e gli investimenti reali e indica nella costruzione di nuovo equilibrio la ricetta necessaria per avere un futuro più tranquillo. Il Fondo non avrebbe nessun bisogno di segnalare questo squilibrio se la finanza fosse al servizio dell’economia reale, perché l’investimento finanziario (e il rischio connesso) sarebbero collegati all’investimento (e al rischio) economico. Se lo segnala è perché quel collegamento non più così forte anzi è diventato assai debole, tanto da porre un problema ulteriore, quello della efficacia delle politiche monetarie e del rischio della loro distorsione. E’ il problema che cerca di affrontare la Bce per esempio con la recente asta di crediti alle banche finalizzati all’economia reale, e che presto potrebbe fare un ulteriore passo con l’acquisto di “asset baked securities” (abs). Le politiche monetarie espansive adottate dalle banche centrali per contrastare la crisi delle economie infatti hanno avuto una efficacia limitata (o annullata) dal fatto che i miliardi immessi nel sistema non sono andati a finanziare investimenti delle imprese e consumi delle famiglie ma soprattutto operazioni finanziarie. Che notoriamente non aumentano l’occupazione, non si trasformano in pil e neanche in gettito fiscale aggiuntivo per le esauste casse degli stati. Di qui il paradosso che la politica monetaria per raggiungere i suoi obiettivi deve oggi ricorrere a strumenti non convenzionali: come la finanza ha sempre innovato per trovare il modo di aggirare i vincoli posti dalle banche centrali, ora sono le banche centrali a dover innovare per trovare il modo di aggirare le sabbie mobili della finanza. Ma, come ci ricorda Draghi a ogni piè sospinto, la politica monetaria - anche se come tutti (salvo la Germania) speriamo, riuscirà ad essere innovativa ed efficace - non basta. L’economia reale deve trovare in se stessa la capacità di competere con la finanza per attrarre risorse, cioè investimenti. Come? Ci vuole l’altra politica, quella capace di fare da una parte le riforme necessarie per la competitività e, dall’altra, di far pagare le tasse anche a chi fa i soldi con la finanza di carta. Se l’economia paga le tasse e la finanza di carta no non ci sono riforme strutturali che tengano, vincerà sempre la seconda. E noi saremo sempre più poveri. 1 2 3 Il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli (1), Raffaele Jerusalmi (2), presidente di Borsa Italiana e Maurizio Bufi (3), presidente dell’Anasf Nel grafico a sinistra, l’inarrestabile crescita delle attività finanziarie, che solo in parte contribuiscono alla crescita dell’economia </p>
    Hai evidenziato un problema vero.Che nessuno Stato-nazione uti singulus potrebbe neanche lontanamente fronteggiare.Ammesso che ci sia la volontà di farlo e non mi pare proprio.

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