Addo' arrivamo, mettemo glio' pezzùco
Luccicantella calla calla, mitti fuoco alla cavalla, la cavalla dé glio' ré, luccicantella mmàni a mmé!!
Addo' arrivamo, mettemo glio' pezzùco
Luccicantella calla calla, mitti fuoco alla cavalla, la cavalla dé glio' ré, luccicantella mmàni a mmé!!
Addo' arrivamo, mettemo glio' pezzùco
Luccicantella calla calla, mitti fuoco alla cavalla, la cavalla dé glio' ré, luccicantella mmàni a mmé!!
Il termine "Portogallo" per indicare le arance è presente anche in Italiano e voci simili ci sono anche al Nord, ad esempio "Purtugal" in diverse località del Cuneese, dell'Astigiano e del Torinese e "Purtegalu" e forme affini nell'estremo Ponente ligure, in genovese invece l'arancio è "Setrun" (lo scrivo come si pronuncia, perché la grafia del genovese prevede segni come la "cediglia" che nelle tastiere italiane non sono presenti). Il frutto è arrivato in Italia dalla Cina meridionale, portato dai portoghesi.
Comunque il lessico, se parliamo di classificazione dei dialetti, è un po' l'ultima cosa da considerare, contano molto di più i processi di tipo fono-sintattico... partendo dall'esempio ligure, che è quello che conosco meglio, ci sono aree, come la Val Bormida più interna, dove il lessico, nei casi in cui ligure e piemontese differiscono in modo sensibile sotto il profilo lessicale (che non sono moltissimi ma nemmeno pochi) il vocabolario è di tipo piemontese o "piemontesizzante". Tuttavia la struttura fonetica dei dialetti bormidesi è prettamente ligure, mentre è intermedia quella sintattica. Werner Forner considerava ligure il dialetto di Dego (SV) e parzialmente ligure dialetti "langotti" come quello di Mombarcaro (CN) per la presenza dei noti processi di palatizzazione dei nessi pl e fl. Di fatto per uno di Dego o di Mombarcaro l'interlocuzione dialettale è assai più agevole ad Acqui o perfino a Cuneo che non a Savona, perché per la comprensione di una parlata il lessico è assolutamente fondamentale e la vicinana lessicale con i dialetti del piemontese è maggiore. Comunque tra aree dialettali affini esiste sempre un continuum di tipo clinale e che, al netto dei fenomeni storici (ad esempio il dialetto napoletanizzato di Gaeta centro o quello di Lagonegro o prendendo il caso ligure il cosiddetto "Genovese di Gavi") nei quali strettissimi rapporti storico-culturali con le città maggiori hanno letteralmente "riplasmato" la parlata locale avvicinandola a quello napoletana (Gaeta e Lagonegro) o a quella genovese (Gavi)...
Ultima modifica di galinsoga; 28/05/2018 alle 20:26
Per quel poco che ho approfondito esiste una differenza tra l'italiano regionale parlato a Roma e il vero romanesco, che è quello "classico" di G.G Belli e che, sebbene fortemente contaminato dall'italiano, i romani della generazione di Fabrizi parlavano ancora abitualmente. Per quel che ho potuto verificare direttamente nei miei soggiorni romani, il romanesco è ormai circoscritto alle cosiddette espressioni idiomatiche. A Roma ho sempre sentito parlare un italiano regionale fortemente caratterizzato in senso geografico, ricco di coloriture lessicali e di frasi di espressione, come lo sono del resto l'italiano regionale di Milano o Torino... poi magari qualche nonnina ultraottantenne che parla "romanesco" in famiglia la si trova ancora.
Ultima modifica di galinsoga; 28/05/2018 alle 20:27
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il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l'imbecille, mentre il contrario è del tutto impossibile - woody allen
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