Ma come si può pensare all'autonomia regionale, a mo' di länder tedeschi, di regioni come Molise o Basilicata, lo dico col massimo rispetto per queste bellissime regioni, ma il Molise ha meno residenti del Comune di Catania...
È una mia opinione personale, ma non penso che centri il numero di abitanti per questioni di autonomia o di indipendenza, perchè sennó non esisterebbe nemmeno San Marino. Entrano in gioco anche forti questioni storiche a volte. A meno che te non ti riferisci ad una questione prettamente economica, cioè per il fatto che le Regioni che te hai nominato allo stato attuale delle cose non riuscirebbero ad essere auto-sufficienti.
Ma se usiamo dei temini tecnici, mutuati ad esempio dalla linguistica o dalla dialettologia, cerchiamo di avere l'accortezza di usarli nella loro corretta accezione: il venetico non c'entra nulla col veneto, il venetico era una lingua parlata dalle popolazioni venete dell'Età del Ferro, probabilmente presentava (essendo documentato in modo molto parziale) diverse affinità sia col latino sia con le lingue osco-sabelliche, per cui è dubitativamente incluso tra le lingue italiche (di cui sarebbe la diramazione più settentrionale). Il ligure della tarda Età del Ferro e dell'Epoca classica, attestato (anch'esso parzialmente) dalle fonti storiche (soprattutto epigrafiche) era una lingua di tipo celtico, forse con retaggi non-indoeuropei e sicuramente con diversi tratti fortemente arcaici, il leponzio parlato sempre nella tarda Età del Ferro in molte aree del NW era una variante locale della lingua gallica (ossia un'altra lingua celtica) è possibile/probabile che il gallico nord-italiano conoscesse altre varianti, ma il leponzio è l'unica ben attestata. Questo era più o meno il quadro della situazione linguistica nell'Italia all'alba dell'espansione romana verso la Gallia cisalpina e l'area padana. Le lingue citate non c'entrano niente con le attuali lingue romanze regionali (impropriamente "dialetti") parlati in Italia, che derivano tutte dal latino tardo-antico e dalle sue numerose varianti locali, sulle quali le lingue precedenti la conquista romana, hanno esercitato solo un modestissimo influsso a livello di substrato...
Ultima modifica di galinsoga; 22/09/2018 alle 23:32
Il punto è proprio questo, l'autonomia, per garantire uno stile di vita degno del mondo civile, necessita di una leva fiscale adeguata... San Marino ha caratteri di forte omogeneità territoriale ed economica e ha un territorio molto piccolo da amministrare, a fronte di un'alta densità di popolazione (33.000 residenti distribuiti su 62 Km2), Rapallo potrebbe tranquillamente diventare una "cittadina-stato", la Liguria difficilmente potrebbe diventare uno stato federato, il Molise che ha 1/6 dei suoi abitanti non ce la farebbe proprio.
Ultima modifica di galinsoga; 22/09/2018 alle 22:30
"In Africa non cresce il cibo. Non crescono i primi. Loro non hanno i contorni. Una fetta di carne magari la trovi, ma hanno un problema con i contorni. Per non parlare della frutta."
Tornando alla questione linguistica: posto che il bilinguismo è una necessità in situazioni come quella altoatesina (pezzo di un altro stato finito per vicisissutini storiche entro i confini italiani), siamo sicuri che sostituire una lingua nazionale standard alle lingue locali sia utile a mantenere le identità culturali? Penso al caso del francerse in Valle d'Aosta... ha senso un bilinguismo italo/francese in una regione i cui abitanti parlano una lingua locale (una delle tante varianti dell'arpitano o franco-provenzale) che con il francese non c'entra un accidente? Comunità tedescofone (ma non tedesche in senso "nazionale") come quella walser valdostana o piemontese o quella cimbra, al netto di fenomeni di revanscismo o di neonazionalismo, sarebbero disposte ad abbandonare le loro antiche parlate e a sostituirle col tedesco standard? Gli arpitani del Canavese sarebbero contenti se si abbandonasse la tutela della loro identità linguistica in favore dell'adozione di un bilinguismo franco-italiano? Sinceramente ne dubito...
Ultima modifica di galinsoga; 22/09/2018 alle 23:36
Sì, ma non si può nemmeno pensare che a fissare il discrimine tra una lingua o un dialetto possa essere un riconoscimento di natura politica. Le parlate venete sono sicuramente una lingua e tra l'altro esiste anche una koiné veneta piuttosto ben fissata, con una forte e plurisecolare tradizione amministrativa e letteraria, cosa che ad esempio non è vera per il complesso delle parlate emiliane (il bolognese o il modenese non hanno mai avuto la forza di affermarsi come koiné regionale, cosa che è successa con il veneziano)... Altrimenti arriveremmo al paradosso per cui per essere lingua serva avere una nazione alle spalle (una lingua è un dialetto dotato di un esercito, come diceva qualcuno). Per cui il veneto, in caso di secessione, diventerebbe immediatamente lingua, ma se il Veneto restasse (in) Italia allora sarebbe solo un dialetto... dialettologia e linguistica per fortuna sono discipline con un loro fondamento scientifico e non una branca della politica.
Ultima modifica di galinsoga; 22/09/2018 alle 23:35
In realtà per distinguere tra lingua e dialetto mi pare si usi di solito un criterio misto geografico-linguistico-funzionale, che permette di fare una valutazione basandosi sui seguenti elementi:
-affinità/vicinanza linguistica
-distribuzione territoriale
-presenza o meno di una condizione di diglossia nel territorio di riferimento
Così in quest'ottica il dialetto sarà, rispetto alla lingua standard di quel territorio, la sua variante che viene parlata in contesti esclusivamente od eminentemente familiari/vernacolari/informali, posto che ci sia una vicinanza linguistica tra le due (ossia le parlate sudtirolesi, per esempio, non sono dialetti dell'italiano ma del tedesco). In altre parole si parla di distinzione "gerarchica". E' il motivo per cui ad esempio svedese e norvegese, pur essendo due idiomi mutuamente intelligibili e comunque molto simili tra loro oltre che geograficamente vicini, sono considerate due lingue diverse poiché entrambe sono lo standard nei rispettivi territori, mentre altre invece sono una il dialetto dell'altra anche se magari sono linguisticamente più lontane; è anche il motivo per cui nel tempo una lingua può diventare il dialetto di un'altra lingua.
Sempre per questa ragione molti sono indecisi se considerare lo Schwyzerdütsch un dialetto del tedesco oppure una lingua a sé; è infatti usato nel suo territorio di riferimento anche in contesti formali ed in maniera del tutto alternativa all'Hochdeutsch, ma solo in forma parlata, mentre non ha una forma scritta vera e propria.
Questo è tendenzialmente il ragionamento che applicano i linguisti. Poi invece dell'uso politico che si fa dei termini lingua e dialetto mi importa abbastanza poco, c'è talmente tanta emotività in gioco oltre che ignoranza e faciloneria che preferisco tenermene fuori.
Ultima modifica di nevearoma; 22/09/2018 alle 23:45
"In Africa non cresce il cibo. Non crescono i primi. Loro non hanno i contorni. Una fetta di carne magari la trovi, ma hanno un problema con i contorni. Per non parlare della frutta."
Ho presente questi criteri e ho presente anche il fatto che generano contraddizioni irrisolvibili. Volendo restare fuori dall'area italiana e provando ad applicarli ad esempio a quella spagnola ottieni risultati assolutamente paradossali, ad esempio in base ai criteri 2 e 3 valenciano e catalano sono lingue tra loro distinte (sono ambedue utilizzate in ambito ufficiale e ambedue hanno forme standardizzate in modo autonomo e due distinte koiné, anche se identiche al 99%), mentre il gallego rischia di essere retrocesso a dialetto dello spagnolo (castigliano) nonostante sia correlato strettamente al portoghese, al quale è tuttora assai simile... ma questa correlazione sulla base del solo criterio di affinità rischia di essere insufficiente (ad esempio le innovazioni nel gallego ormai non avvengono più per via autonoma ma mutuate dallo spagnolo). Rimane comunque il riconoscimento ufficiale della lingua gallega da parte dello stato spagnolo, ma allora ricadiamo nella politica... problemi simili si pongono col corso in Francia, posto che il corso è un dialetto italiano per affinità (è più italiano della maggioranza dei "dialetti" italiani) non è italiano per distribuzione territoriale e potrebbe essere un dialetto francese se il criterio diventa la diglossia. Anche in questo caso rischia di essere dirimente la politica.
Ultima modifica di galinsoga; 23/09/2018 alle 00:22
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