Non saprei, a me pare che il consenso sia per considerare il valenciano un semplice dialetto del catalano, e che tendenzialmente a considerarla una lingua distinta siano soprattutto i valenciani che odiano (a ragione, ma è un altro discorso) gli indipendentisti catalani e vogliono fare di tutto per distanziarsene, anche perché gli indipendentisti catalani usano proprio l'affinità linguistica come pretesto per le loro mire pancatalaniste.
Ad ogni modo poi è ovvio che qualche situazione borderline e sfumata c'è sempre.
"In Africa non cresce il cibo. Non crescono i primi. Loro non hanno i contorni. Una fetta di carne magari la trovi, ma hanno un problema con i contorni. Per non parlare della frutta."
Tolte alcune parole e una generica differenza di pronuncia catalano barcellonese e valenzano sono quasi identici (non userei nemmeno il termine dialetto, perché dia- presuppone una separazione marcata, mentre qui siamo di fronte a varianti della stessa lingua, addirittura ci sono più differenze tra lo spagnolo-castigliano regionale di Madrid e quello di Siviglia che tra valenzano e catalano barcellonese). Però i valenzani si sono comunque creati la loro koiné ufficiale in alternativa al barcellonese. Tra l'altro non è che il catalano che si parla nella Catalogna storica (inclusa la piccola porzione francese e volendo pure Alghero) sia sempre meno distante dal barcellonese di quanto non lo sia il valenzano...
Bella discussione, in 32 pagine ci sarebbero migliaia di osservazioni da fare... ma... mi contengo
Per farla breve, parlo della mia zona.
Le Valli Occitane del Piemonte, siamo tutelati dall'apposita legge come minoranza linguistica occitana. Che cosa ha portato? Tolto i cartelli bilingui e la possibilità di frequentare corsi di occitano (facoltativi, ovviamente), ha "fatto bene", se vogliamo, alla "cultura". Nel senso che si sono riscoperte tradizioni, usi, costumi, feste e danze che erano cadute in disuso dal Fascismo in avanti.
La questione linguistica (nata praticamente negli anni '70) ha generato praticamente solo battibecchi. Il termine "occitano" da "lingua d'Oc" non andava bene, il termine "provenzale" non andava neanche bene, e su questi due termini linguisti e locali si sono scannati per una trentina d'anni La realtà è che questi due termini sono entrambi posticci (nati negli anni '60) perchè nessuno mai chiamato così la nostra parlata. Si è sempre chiamata patois (leggasi patuà) o "a nosto modo", a seconda delle valli. Si è pensato all'insegnamento, ma... mission impossible. Cosa insegnare? Ogni valle, ogni vallone, addirittura ogni paese ha un dialetto diverso, quindi? Si è creato un occitano "artificiale", sono state proposte due tipi di grafie,ecc.ecc. ma è rimasta roba di nicchia, cose per appassionati linguisti, che poco hanno a che fare con la gente comune.
Risultato? L'occitano si continua a parlare nelle sue innumerevoli varianti, abbiamo riscoperto tradizioni bellissime (come le Bahie) che si erano interrotte con la Seconda Guerra Mondiale, abbiamo di nuovo molti più suonatori nelle famiglie (di organetto, fisarmonica, ghironda e fifre) e abbiamo rincominciato a cantare vecchie canzoni che rischiavano di finire dimenticate. Per cui, per tirare le somme, la nostra rinascita è stata indubbiamente positiva.
Se vogliamo parlare invece di "autonomia" vera e propria c'era il MAO qui, il Movimento Autonomista Occitano, che prevedeva la secessione dall'Italia e dalla Francia e la nascita di una nazione occitana sulla base dell'antica Languedoc, ma ha avuto poca presa. Alcuni ci credono ancora, e altri focolai ci sono oltralpe. In genere il tutto sfocia in grandi manifestazioni, tripudi di musica e di bandiere crociate, e poco più. Bellissime, ma innocue e solo più folkloristiche.
Domanda cruciale: vogliamo una maggiore autonomia dallo Stato? Sicuramente sì, ma la ragione non è culturale o linguistica (siamo pragmatici, quelle cose alla fine ci importano poco): la ragione è squisitamente economica e di malcontento. Se diamo 100 e ci ritorna 100 va bene tutto, possiamo stare in Italia, con la Francia, con la Tunisia o chi volete. L'importante è che l'economia giri e si lavori. Tutto il resto è "fuffa" (in senso buono ovviamente)
Lou soulei nais per tuchi
La lingua veneta non è neanche riconosciuta come minoranza linguistica Minoranze linguistiche d'Italia - Wikipedia
Posso intervenire sul caso valdostano, per esserci stato più volte ed averci fatto un tentativo di lavoro, oltre avendo un amico (che scrive raramente anche su questo forum) che ci ha abitato alcuni anni.
E' differente da quello altoatesino, in VdA anche gli abitanti tra loro non si esprimono in francese, infatti non è obbligatorio sapere il francese per viverci e lavorarci, diciamo il bilinguismo torna utile essendo una regione molto turistica.
Una volta ho rpovato a chiedere se si sentono più italiani o francesi, mi hanno risposto: "noo siamo italiani".
Non capisco perchè ciò non è potuto avvenire in Alto Adige
Bella storia di recupero questa.
Una nota per chi cita i linguisti: oltre a quei 3 fattori, prevale nella praticità della definizione, anche per eventuali valenze giuridiche, soprattutto la estensione e diffusione delle forme scritte del dato dialetto. Insomma, più documenti scritti in quella parlata ci sono, più addirittura ci sono compendi grammaticali e testi sulla parlata stessa, ad autolegittimarla, allora più si può dire lingua e non dialetto.
Il veneto può effigiarsi tale, poi i linguisti tendono a non farlo per altri motivi, fra cui la stessa importantissima "questione della lingua italiana". Il napoletano pure. Il siculo anche così come il sardo.
A memoria vado, magari anche la Liguria ha un patrimonio testuale che ne legittima la definizione di lingua.
Molte parlate altolombarde invece non hanno mai avuto un seguito scritto e restano così coscientemente dialetti, e altrettanto coscientemente alcuni municipi lassù azzardano cartelli stradali e pure centralini telefonici comunali in dialetto locale. Ma quella è devianza pura e degrado mentale,proprio di certi orientamenti politici fra l'altro.
Ma certo che sono italiani!
La Val d'Aosta credo sia il caso emblematico della totale non-sense del bilinguismo italo-francese.
Oltre ad esserci stato ho conoscenti valdostani, e tutti mi dicono la stessa cosa: sanno il francese perchè lo studiano a scuola, ma nessuno parla francese in famiglia, nè con gli amici, nè in ambito di studi, nè a lavoro, ecc.ecc. Il francese è utile (come qui) per la massiccia presenza di francesi, sia turisti sia di passaggio. Ma non si parla abitualmente dai valdostani. Si parla il francoprovenzale, non il francese
Anche mia nonna (della Val Chisone) da ragazzina parlava il francese, perchè molti testi erano scritti in francese, ma in famiglia si parlava patois...
Lou soulei nais per tuchi
E' un altro dei problemi delle lingue regionali o dialetti: essendo parlate appunto quasi esclusivamente in contesti "familiari" ogni valle o area ha le sue varianti diverse, quindi insegnarle a scuola significa insegnare qualcosa che nessuno realmente parla e di conseguenza anche snaturare la lingua stessa, oltre che perdere tempo e soldi.
Poi le iniziative di recupero e tutela sono sempre benvenute, ovviamente.
"In Africa non cresce il cibo. Non crescono i primi. Loro non hanno i contorni. Una fetta di carne magari la trovi, ma hanno un problema con i contorni. Per non parlare della frutta."
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