Il quadro che risultò dalle molte testimonianze fu agghiacciante. I materiali utilizzati erano di qualità pessima, mentre le armature erano quantitativamente insufficienti. Le imprese che lavorarono sotto la supervisione del Viganò (impresario all'antica, che non tollerava l'intrusione di ingegneri in cantiere e gli sprechi di materiale) vennero pagate a cottimo e quindi meno tempo impiegavano tanto più Viganò guadagnava. Durante i carotaggi sulla struttura eseguiti dai periti dopo il disastro, venne evidenziato che in alcuni casi i muratori avevano gettato direttamente i sacchi di cemento all'interno dei piloni. Venne anche criticato il tempo di maturazione del cemento delle arcate. Testimonianze affermarono che i muratori, nelle ultime fasi di costruzione, lavorarono direttamente sulle barche: si riempiva il lago mano a mano che i lavori progredivano. Con queste premesse il disastro fu inevitabile. Al contrario del Vajont non vi fu nessuna corsa al collaudo, perché non vi fu alcun collaudo.
Molte furono quindi le leggerezze, gli errori, le inadeguatezze tecniche che contraddistinsero questa esecuzione, compresa appunto la mancanza di un vero e proprio collaudo. Oggi, a 86 anni di distanza, una visita a quel luogo riveste un grande interesse, i resti della diga sono ancora lì a testimoniare la sua pessima qualità costruttiva. Camminare alla base del tratto di diga rimasto fa venire i brividi, il tampone costruito alla base e su cui poggia tutta la struttura sovrastante appare armato di legni e non di ferro, costituito di pietre mal composte, terra e neanche una parvenza di cemento. La parte superiore, in pessimo cemento armato, si appoggia sopra e anche all'occhio di un inesperto, la disuguaglianza strutturale, sotto gli occhi di tutti, fa letteralmente venire i brividi.
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