studi relativamente recenti hanno messo in luce (al netto della variabile antropica) una influenza dell'AMO e dell'AMOC con la fase di crisi artica degli ultimi decenni
lo studio di Mahajan et al del 2011 correla il declino dei ghiacci con l'intensificazione dell'AMOC in particolare per la fase invernale e le aree del labrador, groenlandia e mar di Barents
si avvale sia delle osservazioni recenti che di un modello di simulazione per l'analisi dell'ultimo millennio
l'intensificazione porta un incremento dei flussi di calore latente e sensibile dalla superficie oceanica all'atmosfera attraverso le onde planetarie con l'ovvio feeback riguardo all'effetto albedo della aree maggiormente colpite che poi in estate porta alle basse latitudini artiche libere dai ghiacci una maggior risalita con un meccanismo che si autoalimenta
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un altro studio di Day et al dell'anno successivo si riallaccia al primo considerando l'impatto del ciclo amo sull'amoc e scendendo maggiormente nello specifico con valutazione sui messi di maggiore impatto in rapporto a stagione fredda e calda, quindi marzo e settembre con cinque modelli di simulazione che mostrano una correlazione significativa al 90% sulle variabili in gioco: AO, estensione di settembre e amo-amoc con lag tra 0-3 anni a seconda del modello
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la variabilie di questo processo viene stimata con in influenza fino al 30% sul totale del decremento per decade degli anni in cui ci sono le osservazioni da sat ('79) per settembre in relazione al ciclo amo
lo stesso calcolo porta a un incremento fino a -1,8%/decade sul totale di -2.5%/decade per marzo
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Magari non è il post più adatto ma metto qua il link solo per evidenziare come QUA sulla pagina delle tlc ed in questo post si faccia realmente ricerca, mentre alla COP23 di Bonn si sono fatte solo inutili chiacchiere spendendo un mucchio di soldi come ormai avviene da ANNI in ogni simposio cul climate change by IPCC: solo inutile politica e ancor più inutile spreco di denaro !
COP23: the end | Climatemonitor
uno studio condotto dall'Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali del CNR
e il Dipartimento di Scienze Ambientali dell'Università di Venezia
È stato ricostruito il flusso di ferro nell’Oceano Meridionale nel corso degli ultimi 780.000 anni mediante l’analisi chimica di una carota di ghiaccio prelevata a Dome C (Antartide dell’Est) nell’ambito del progetto EPICA (European Project for Ice Coring in Antarctica). Le analisi sono state effettuate mediante spettrometria di massa con sistema di introduzione al plasma accoppiato induttivamente su campioni di ghiaccio preventivamente trattati in modo da evitare la contaminazione del fluido di perforazione utilizzato per contrastare l’elevata pressione della calotta glaciale alle elevate profondità. Il ferro, considerato un importante micronutriente, gioca un ruolo fondamentale nel ciclo della CO2 atmosferica. Si è notato in particolare come il flusso di ferro sia variato nel tempo in funzione del periodo climatico. In particolare si sono riscontrate concentrazioni di ferro più elevate durante i periodi glaciali e più basse durante i periodi interglaciali passando da circa 24x10-2mg Fe m-2 yr-1 durante l’ultimo massimo glaciale a circa 0.7x10-2 mg Fe m-2 yr-1 all’inizio dell’Olocene. Il record del ferro è strettamente correlato a quello delle polveri di origine crostale, ed inversamente correlato alla concentrazione di CO2 atmosferica, misurata negli stessi campioni. L’elevata correlazione del flusso di ferro col contenuto di polveri conferma l’aerosol minerale come unica sorgente di metalli per le zone remote. La bassa percentuale di terre emerse che caratterizza l’emisfero australe spiega perché il ferro sia carente nelle acque dell’Oceano Meridionale: la sua disponibilità, a causa della sua chimica sfavorevole, è sempre piuttosto scarsa e deve essere rifornito frequentemente.
Una serie di evidenze sperimentali, legate soprattutto alla composizione chimica ed isotopiche delle polveri, hanno identificato nella Patagonia la principale sorgente di polveri continentali trasportate sull’Antartide orientale. Considerazioni relative alle dimensioni e alla composizione di queste particelle hanno poi stabilito che le variazioni di flusso non sono dovute a modificazioni nei sistemi di trasporto e/o al tempo di residenza in atmosfera
bensì a cambiamenti presso la stessa sorgente.
Tra le cause principali possono essere citate:
a) condizioni di temperatura, umidità e copertura vegetale tali da potenziare la produ-zione di aerosol continentali
b) variazioni nella risospensione delle polveri dovute alla forza del vento
c) aumento della frazione di particellato fine originato da variazioni della copertura di ghiaccio sulla Patagonia
d) contributo da parte di altre sorgenti a seguito del-l’abbassamento del livello del mare e relativa esposizione di aree sommerse. Si può quindi concludere che il flusso di ferro sull’Antartide orientale rifletta principalmente le condizioni di aridità e ventosità della Patagonia con un contributo non trascurabile della copertura di
ghiaccio e della superficie di scarpata continentale esposta quando il livello del mare è particolarmente basso.
Ma il dato più importante che è emerso nel corso delle analisi riguarda la diversa solubilità del ferro nei diversi periodi climatici: maggiore nei periodi glaciali rispetto a quelli interglaciali. In altre parole, nei campioni rappresentativi dei periodi glaciali, sia per caratteristiche dimensionali delle polveri stesse, sia per modificazioni alla sorgente la frazione di ferro che è possibile portare in soluzione acquosa è maggiore rispetto a quanto si verifica in campioni interglaciali.
Dal momento che la solubilità del ferro costituisce il presupposto per la sua biodisponibilità, è ragionevole supporre per i periodi glaciali una condizione migliore in termini di “quantità e qualità” relativamente all’apporto di ferro con relativo beneficio per l’attività fitoplanctonica e riduzione di anidride carbonica.
Ciò è supportato anche dal fatto che il flusso di ferro inizia a diminuire circa 2.000 anni prima che l’anidride carbonica cominci la sua fase crescente, come risulta dall’analisi dettagliata delle Transizioni I (18.000-12.000 anni BP) e V (428,000-422,000 anni BP), che sono confrontabili dal punto di vista dei parametri orbitali (precessione, obliquità, eccentricità) e quindi della radiazione solare incidente.
In generale, se si fa una correlazione incrociata tra la serie storica del flusso di ferro e dell’anidride carbonica per gli ultimi 700.000 anni si ottiene il massimo valore quando la CO2 è ritardata di circa 2.000 anni rispetto al ferro.
In conclusione, tutto sembra supportare l’ipotesi che il ferro giochi un ruolo determinante nella regolazione dell’anidride carbonica in atmosfera almeno per quel che riguarda gli ultimi cicli glaciali-interglaciali, e soprattutto durante le prime fasi delle transizioni da periodi glaciali ad interglaciali. Quando il processo è avviato altri parametri, fisici e chimici quali la temperatura, la salinità e l’acidità dell’acqua e la circolazione oceanica, assumono un ruolo di primaria importanza.
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