Questo appartiene al passato ormai, anche se il danno è stato fatto (in effetti in Francia sono spariti pressochè tutti i dialetti e quasi tutte le lingue minoritarie)... è vero che lo stato Francese tutela ancora poco (se non pochissimo) le lingue regionali (anche se penso che con il governo attuale si sia fatto qualcosa in più..) ma da parte della popolazione c'è maggior interesse, rispetto al passato, alle lingue regionali e agli idiomi locali (malgrado si siano praticamente estinte quasi ovunque). Nella vicina Savoia ad esempio c'è un associazione per il recupero del francoprovenzale e il (ri)apprendimento dello stesso (tramite pubblicazioni, incontri, conferenze, ricerche, raccolte e dizionari, programmi radiofonici e televisivi.... ma anche corsi serali e l'insegnamento in alcune scuole della Savoia)
Ultima modifica di meteo_vda_82; 13/04/2020 alle 10:13
Torgnon (1350 mt) / Chatillon (530 mt) stazione meteo:
https://www.wunderground.com/dashboard/pws/ITORGN6
http://datimeteoasti.it/stazionimete.../realtime.html
Uno sguardo al passato....
Ecco uno dei primi documenti notarili che mi sono capitati tra le mani scritto non più in latino ma in un italiano volgare del 1467.
Testamento fatto redigere a Tremiti da un possidente di Lanciano, preoccupato del viaggio di ritorno.
Presumo che all'epoca il dialetto fosse la lingua più diffusa, ma in questo documento notarile ci si esprimeva in un italiano che potesse essere capito in tutta l'Italia.
Una volta sapevo leggere questo tipo di scrittura tardo medioevale ed ho trascritto io il testo in stampatello ( con la supervisione della direttrice dell'archivio di Stato di Chieti ).
Per non annoiarvi ho estrapolato soltanto la prima pagina.
20200413_110359.jpg
20200413_110323.jpg
Mamma mia, davvero interessantissimo! Documenti dal valore inestimabile!
Leggerli in "lingua", poi, sono quasi da pelle d'oca. Queste cose sono estremamente suggestive.
Pensavo ad un'altra cosa pure, tra l'altro (sempre di quel periodo). Ho notizia che in alcune zone del basso Abruzzo (per certo a Cupello, forse Monteodorisio pure, certamente non Vasto) utilizzano ancora oggi in dialetto alcuni termini di derivazione balcanica, precisamente dell'antico croato parlato dai coloni portati dalla Serenissima dall'altro lato dell'Adriatico, proprio in Abruzzo e Molise, e che chiamavano "Schiavoni".
Ad esempio, per dire "formaggio" molti anziani a Cupello dicono "lu sir" ed in croato, oggi ancora, "formaggio" si dice proprio "sir".
Ma anche nella toponomastica (il paese "Schiavi d'Abruzzo"), così come in moltissimi altri termini dialettali ci sarebbe ancora traccia della parlata di quell'antico popolo...
Des certitudes ? Il n'y en a qu'une: fièrement francophone.
Certamente nel tardo 400 molti croati sono arrivati qui e si sono trasferiti in città ( per un breve periodo però, perché essendo molto litigiosi furono spediti fuori città nelle contrade intorno, molto spesso disabitate dopo le pestilenze di un secolo prima).
Una contrada che mi viene in mente si chiama appunto Schiavoni , poco distante da Lanciano.
Ho letto che fino ai primi dell'ottocento in alcune frazioni.di Ortona, alcuni vecchi parlassero croato.
In Molise invece esistono ancora paesi che parlano il croato ed altri l'albanese.
Ma anche noi italiani, nelle nostre ex ormai colonie dove siamo andati in passato, credo Etiopia ed Eritrea in primis, abbiamo lasciato nelle popolazioni locali le nostre tracce: l'italiano, come lingua è ancora ampiamente diffuso, parlato e anche studiato a scuola come seconda lingua straniera addirittura.
Anche in Egitto, ad Alessandria, dove facemmo tappa con la nave in viaggio di nozze, capivano e parlavano perfettamente italiano
Esattamente! Una delle scoperte più piacevoli per me, è stata la lettura di un piccolo libricino scritto da un padre domenicano toscano, Serafino Razzi, a metà '500.
Si tratta di un suo diario di viaggio (era stato mandato dalla Toscana alla Puglia), in cui ogni sera annotava tutto quel che accadeva.
Bene, fa impressione leggere oggi, 5 secoli dopo, la puntuale descrizione che lui fa dei luoghi e dei posti (parla di Vasto, di Lanciano, de L' Aquila, Chieti... Ma di mezzo Abruzzo e poi giù fino al Molise e la Puglia, per l'appunto).
Ad un certo punto parla proprio di un piccolo paese di croati ad un "tiro di schioppo" da Vasto, di nome "Villa Schiavone". Gli storici e gli studiosi che hanno poi ricostruito il dato documentale sono arrivati alla conclusione per cui quel paese sia proprio Cupello!
È veramente un libretto che leggo con grande interesse, perché una fonte che ha della suggestione eccezionale! (La vita in Abruzzo nel Cinquecento è il titolo ).
Des certitudes ? Il n'y en a qu'une: fièrement francophone.
Altra parola dialettale abruzzese che trovavo scritta in queste antiche pergamene del XlV-XV sec è " ferzorellam" in forma ancora un po' latineggiante: oggi si chiama in dialetto "ferzora" quella padella con lungo manico, atta per friggere.( ma è in totale disuso per chi ha meno di 40-50 anni.
Tornando al testamento del post precedente, si nota che all'epoca ( 1467) i cognomi non si sono ancora formati in forma stabile: costui si chiamava Angelo di Buccio, di laTaranta di Lanzano ove Angelo è il suo nome di battesimo, Buccio è il nome di battesimo del padre che è originario di Taranta ( Peligna) mentre Angelo è nato a Lanciano.
Oggi si trovano in zona molti cognomi tipo Bucci o Bucciarelli.
Ultima modifica di EnnioDiPrinzio; 13/04/2020 alle 13:21
La Francia ha da sempre osteggiato qualsiasi dialetto o altra lingua, che sia Bretone, Basco, Occitano, Franco-Provenzale o Nizzardo. Negli ultimi 15-20 anni c'è stata una rinascita anche lì, ed un recupero parziale di queste lingue, ma l'atteggiamento ostile dello Stato Francese credetemi che è proseguito almeno fino alla fine degli anni Novanta, piuttosto esplicitamente.
In Italia invece i fattori che hanno determinato il declino delle lingue e dei dialetti sono stati sostanzialmente 3: il Fascismo (divieto di scrivere e parlare non in italiano), la diffusione della radio e della televisione e l'aumento della scolarizzazione.
Il Fascismo l'ha fatto attivamente, con le famosi italianizzazioni (ridicole) dei toponimi, numerosissimi in Piemonte e Valle d'Aosta, e con i divieti. Riguardo la scolarità, invece, sono state le stesse famiglie a non voler parlare in dialetto ai figli, così almeno "imparavano l'italiano e non lo sbagliavano". Una scelta che sicuramente, per l'epoca (da metà anni Cinquanta in avanti almeno) aveva le sue motivazioni.
Ad ogni modo la situazione odierna, perlomeno fuori dai grandi centri, è buona, perchè il dialetto è parlato dalla gran parte delle persone. Gli anziani lo parlano correntemente (e solo quello, sostanzialmente), dai 60 in giù si parla all'occorrenza, o in ambito di amicizia/famiglia.
Parentesi sulle italianizzazioni
Sauze d'Oulx, in Val di Susa, era diventato "Salice d'Ulzio", peccato che "sauze" non significa "salice", nè sono mai esistiti salici lassù. E' una parola antichissima, celtica, che significa "poggio, rocca". Così come Roure, in Val Chisone, diventato "Roreto Chisone", non sapendo che "roure" significa semplicemente "quercia"; Pradlèves era diventato Pradleve (mentre significa "prato delle sorgenti"), e tutti i vari Roburent diventato Roburento, Sanfront diventato Sanfronte, Salmour diventato Salmore, Chiavrie diventato Caprie, Venaus diventato Venalzio, e via discorrendo...
Una buona parte di essi ha poi rimesso il nome originario, mentre alcuni hanno invece mantenuto il nome italianizzato.
Lou soulei nais per tuchi
Ho passato diverse estati in val Maira da bambino, quando abitavo in Liguria e non mi ero mai accorto che in quella valle si parlasse occitano invece del dialetto piemontese.( del resto quando sei in vacanza fai amicizia con altri turisti come te e snobbi un po' gli abitanti del posto, sbagliando alla grande).
Poi mi è capitato in Abruzzo un amico originario della val Maira che da me sollecitato, ha pronunciato diverse parole in lingua occitana. ( forse più intellegibile del piemontese per un italiano).
Anche l'emigrazione ha avuto un forte impatto, basti pensare al "Taliàn", dialetto molto diffuso in Brasile negli stati di Rio Grande do Sul e Santa Catarina, che sostanzialmente è il dialetto veneto portato dagli emigranti nel XIX e XX secolo e ancora oggi parlato. Talvolta inoltre mi è capitato di parlare con parenti dell'alto trevigiano (dove il dialetto è simile al bellunese) ormai anziani emigrati in Canada e Francia. È interessante vedere come il dialetto che parlano sia "fossilizzato" al dialetto di 60-70 anni fa quando hanno lasciato queste terre, ovvero sostanzialmente dialetto bellunese, mentre coetani che sono rimasti qui parlano un dialetto più "sporcato" da influenze vicentine e padovane e quindi diverso dal bellunese originario. Insomma, il dialetto è lo stesso, ma uno è degli anni '40 del novecento e uno è del nuovo millennio, con alcune leggere differenze e piccoli cambiamenti.
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