Eh, ma l'Italia è il paese delle corporazioni, che fai non contribuisci? La cosa bella è che dietro a tutta questa serie di oboli c'è uno spreco di risorse e un'inefficienza di sistema che levati…
Mi fai venire in mente cosa combina la connivenza INPS/Patronati nel nostro paese. Sarò lungo, lo premetto. Premetto anche che lo scenario descritto non è univoco, ma è sicuramente diffuso e caratterizzante il nostro paese.
Io usufruisco (
li utilizzo) dei servizi di patronato, negli studi in cui collaboro c'è sempre un cliente o un familiare o un amico al quale una pratica di pensione preferisco seguirla io, interfacciandomi magari anche con l'Inps (ovviamente, quando posso, procedo di SPID, visto che oggi è possibile). Non faccio tantissime pratiche, ma ci ho a che fare. Per non parlare della miriade di bonus e domande che possono essere richieste all'INPS e che i patronati (solo loro generalmente) possono inviare. Esiste un forte legame tra l'INPS e i patronati, che sono riconosciuti dal Ministero del Lavoro e, in generale, fanno sempre capo a una sigla sindacale.
Nel nostro paese vige un meccanismo per cui il cittadino si reca dal patronato, fa una domanda di pensione, la domanda è gratis, perché il patronato DEVE assistere gratis il cittadino. Questa la teoria. Vediamo la realtà, che è un po' più complessa.
In primis l'INPS riconosce, secondo un meccanismo "a punti", dei ristori al sindacato di appoggio del patronato, che vengono poi spartiti a cascata ai vari livelli del sindacato stesso: una quota rimane a monte, poi un'altra quota alla sede provinciale, fino ad arrivare alla quota riconosciuta all'operatore locale. Quanti siano questi ristori non lo sa con certezza nessuno. Non esiste trasparenza intendo, soprattutto non c'è alcun dato ufficiale reso pubblico, del tipo: il patronato CGIL ha avuto nel 2020 ristori complessivi per euro 100 milioni, CISL per euro 50 milioni ecc.ecc. Nulla di nulla, tutto silente, tutto strisciante, tutto non pubblicizzato (per ovvie ragioni: il cittadino non deve sapere le cifre).
Ma la storia non è finita. Infatti, in sede di domanda di pensione la maggior parte degli operatori di patronato acquisisce "in automatico" la firma del cittadino sulla domanda di pensione per dare un delega al sindacato. In base a tale firma, una quota della pensione mensile, minima (pochi euro, in proporzione alla pensione erogata) finisce nuovamente al sindacato. E finisce al sindacato ogni mese e ogni anno, per sempre, fino a revoca da parte del cittadino o conferimento della delega a un nuovo sindacato. Vi lascio immaginare cosa accade, e accadeva soprattutto in passato, quando non c'erano il PIN INPS prima o lo SPID poi, con i quali oggi puoi controllare e revocare magari la delega: milioni di pensionati hanno continuato per decenni a pagare 3, 5, 7 euro al mese al patronato. Soldi che mensilmente finiscono sempre al sindacato e alle sue articolazioni: una quota a monte, un'altra alla sede provinciale, un'altra all'operatore locale ecc.ecc.
Le spartizioni risentono del peso dell'operatore e delle sedi. Un operatore che riesce a gestire molte pratiche ha un forte peso sul suo sindacato e riesce a strappare quote consistenti dell'incasso in punti e in deleghe mensili. Una sede provinciale che riesce a gestire molte pratiche idem, e così via.
Ma non è ancora finita. Molti operatori o sedi, poiché non possono ricevere un compenso (ancora?) direttamente dal cittadino, cosa fanno? Si fanno corrispondere la quota per la tessera, tendenzialmente annuale, con la quale ti iscrivi al sindacato (dunque non è un compenso, è una quota associativa). Anche quella finisce spartita. Senza contare, per finire, che spesso il cittadino, contento - beato lui, per un suo diritto - quando riceve la sua prima mensilità di pensione, vuole elargire in proprio una liberalità all'operatore, il quale così la incassa in nero oppure, quando dovesse fare tante pratiche e quindi non potrebbe gestire tutti quei soldi, apre un'associazione territoriale sempre di tipo sindacale e senza scopo di lucro, con 5-6 persone dentro, tutti parenti stretti, e fa risultare quei soldi come liberalità all'associazione, andando poi a spenderli per esempio in cibo e bevande per riunioni sindacali ecc.ecc. (vi assicuro che capita così, ovviamente le riunioni non ci sono e il cibo, o qualunque altra merce, finisce in casa di qualcuno).
Vi lascio immaginare cosa possono aver combinato negli anni con meccanismi simili, e cosa combinino ancora oggi, che il fenomeno si riduce, solo in parte, grazie all'informatizzazione e alla possibilità di accesso libera ai siti istituzionali.
Ma c'è un altro aspetto, strettamente legato all'inefficienza storica del nostro paese. Uno dice: ad esempio il compenso riconosciuto al patronato è legato (e sarebbe così) al fatto che il patronato eroga una consulenza in una materia non sempre banalissima come quella pensionistica (in Italia non è affatto banale, come immagino sia in altri paesi, tipo la Francia). In qualche caso è così, in molti casi non lo è. Non capita di rado che una pratica sia delicata e si abbia il caso in cui il patronato, dubbioso, cerchi di rivolgersi alla sede INPS (specie in passato, c'è sempre stato un canale preferenziale ovviamente). E non capita di rado che la sede INPS, in carenza di organico e di organizzazione, non riesca a dare a sua volta una risposta chiara e certa. Caso di oggi: ho un’amica di famiglia che voleva provare a chiedere la pensione di vecchiaia con la terza deroga Amato (
La Pensione di Vecchiaia con 15 anni di contributi [Guida]) e la sede INPS per qualche tempo, dopo aver fatto domanda di pensione, non riusciva a spiegarmi il motivo della reiezione della domanda. Ho dovuto scrivere più volte alla sede territoriale per avere risposta: il direttore ha passato la carriera a gestire aziende con dipendenti e, quindi, di pensioni, per sua stessa ammissione, non sa nulla. Nel frattempo, l’impiegato che aveva respinto la domanda si è pensionato e tra tutti i dipendenti della sede uno solo attualmente si occupa di pensioni, ma è stato assegnato all’incarico da poco tempo e, per sua stessa ammissione, non conosceva minimamente il meccanismo della terza deroga Amato (qui non si può sorvolare, va ribadito: l’impiegato deputato alle liquidazioni delle pensioni non conosce le casistiche e non sa dove e come reperire le informazioni). Alla fine, sollecitando oltremodo, la sede locale ha chiamato un funzionario della sede provinciale con un bel po' di anni di esperienza per farsi spiegare la situazione e spiegarla poi a noi, e meno male che nel frattempo non si era pensionato anche lui!
Mi viene in mente al riguardo un altro caso recente, da usare come termine di paragone. Una signora aveva qualche contributo versato in Germania. L'ente tedesco ha scritto (lui!) alla signora perché stava raggiungendo l’età pensionistica e poteva valutare la possibilità di fare domanda di pensione, allegandole i moduli. La signora ha compilato i moduli e
li ha spediti in Germania. L’ente tedesco ha risposto dicendo che la signora ha meno di 5 anni di contributi (sì, ne bastano 5, non 20!) e non può avere la pensione, tuttavia, poiché le mancano solo 4 mesi, in alternativa al rimborso (sì, la Germania rimborsa i contributi silenti!) le suggerisce di versare dei contributi volontari mensili minimi (80 euro mensili) per quei 4 mesi e ripresentare la domanda, aggiungendo che, con 5 anni complessivi di contribuzione, avrebbe preso circa 130 euro mensili di pensione. La signora, felice, ha compilato nuovamente i moduli allegati e adesso è in attesa dei versamenti volontari. Tutto gestito in automatico dall'ente pensionistico.
Sarà stato un caso (non è un caso), ma la stessa pratica, in Italia, oltre a non poter essere attuata sulla base degli stessi presupposti (i 4 anni e 8 mesi di contributi sarebbero andati perduti), avrebbe richiesto decenni, e tutto su iniziativa del cittadino, non certo dello stato. Senza contare i punti, le trattenute sulla pensione, la tessera sindacale e il regalo all'operatore di patronato. Ma dove vogliamo andare?
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