"Credo nel potere del riso e delle lacrime come antidoto all'odio e al terrore." C. Chaplin
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Vi propongo una lettura. Dove è finito il lavoro di*massa? - La Voce del Ribelle on-line - Il ribelle.com
DOVE E' FINITO IL LAVORO DI MASSA?
Caro Lo Monaco, con questo articolo tocchi una delle questioni fondamentali del nostro tempo: il venir meno della necessità del lavoro di massa, ovvero del medium attorno al quale si era organizzata – e in parte ancora si organizza – la nostra società.
Mi si permetta una citazione da “Dialettica dell’Illuminismo” di Adorno e Horkheimer: “Da quando i mezzi di sussistenza di coloro che sono ancora necessari per la manovra delle macchine si possono ancora riprodurre con una parte minimale del tempo di lavoro che è a disposizione dei padroni della società, il residuo superfluo, e cioè l’enorme maggioranza della popolazione, è addestrata come guardia supplementare del sistema, destinata a fungere, ora e in futuro, come materiale per i suoi piani grandiosi. Sono foraggiati come armata dei disoccupati…La miseria…cresce all’infinito insieme alla capacità di sopprimere durevolmente ogni miseria. Impenetrabile ad ogni singolo è la selva di cricche ed istituzioni…che provvedono alla continuazione indefinita dello status quo. Un proletario è già agli occhi del bonzo sindacale…niente più che un esemplare in soprannumero, mentre il bonzo, da parte sua, non può fare a meno di tremare di fronte alla prospettiva della sua liquidazione”.
Queste parole, scritte negli anni Quaranta, descrivono perfettamente l’oggi, persino nell’individuazione delle particolarità umane: il bonzo sindacale non è forse uno dei personaggi principali della commedia umana odierna? A cosa si deve tanta capacità predittiva? Certamente i due autori erano persone intelligenti e acute; certamente la loro capacità di prendere in considerazione la totalità, le sue connessioni, la relazione tra particolare ed universale – eredità idealistica - consentì loro analisi ed estrapolazioni particolarmente pregnanti. Di primaria importanza, però, fu che in quel periodo essi – non per loro volontà, ma costretti ad andarvi in esilio in quanto ebrei – vissero negli Usa, paese ove il capitalismo monopolistico, la società totalmente amministrata e la società di massa erano giù sufficientemente maturi da permettere, a chi ne avesse voglia e capacità, di delinearne gli sviluppi futuri. Non a caso in Dialettica dell’Illuminismo c’è un’analisi demolitrice ancor oggi valida dell’industria culturale, né è un caso che i due autori, assieme ad altri esponenti emigrati negli Usa della Scuola di Francoforte, misero a punto in questo periodo valutazioni e ricerche che tanti anni dopo nulla hanno perso della loro significanza. Mi limito a citare Minima Moralia, Meditazioni sulla vita offesa, dello stesso Adorno, ove tanti temi della cultura critica odierna sono già svolti con grande perspicuità.
Ma torniamo a bomba, al ‘lavoro’. Nel mondo capitalistico-borghese, il lavoro è stato considerato la chiave che garantiva l’accesso alle risorse. Chi non lavora non mangia” sostiene, non a torto, la saggezza popolare. A ciò si univa – per la maggioranza della popolazione e per il mantenimento del sistema stesso – la necessità del lavoro, il che consentiva e facilitava anche il controllo sociale e il mantenimento dello status quo, in quanto chi controllava l’accesso la lavoro, controllava l’accesso alle risorse, ergo la società. Questo non creava problemi, in quanto per lungo tempo il lavoro della maggioranza è stato produttivo, cioè produceva più di quel che consumava. Ora, con l’avvento delle macchine – e ancor più con le recenti innovazioni automatizzanti, che consentono a sempre meno persone d produrre sempre di più – è necessario che sempre meno lavorino affinché la società si riproduca (o, ciò che interessa ai padroni, si riproduca lo status quo). Quindi, il lavoro – o per meglio dire, il lavoro di massa – non è più necessario, e non per la volontà maligna di qualcuno o perché il mondo è cattivo, ma ontologicamente.
Ergo, il lavoro non ha più, in primis, una funzione produttiva, ma gli è rimasta quella di controllo sociale, ovvero di attività che permette l’accesso alle risorse, controllate dai padroni. In ciò, però, sorge un contraddizione difficilmente sanabile. Ovvero, il lavoro di massa costa – stante l’attuale architettura sociale – più di quel che produce: a dirla chiara, ostacola l’accumulazione del capitale, ovvero ‘la miseria aumenta, nonostante ci siano i più ampi mezzi per sopprimerla”. Per non mandare a ramengo l’architettura sociale, cioè per non stravolgere il dominio dei padroni, si continua a legare l’accesso alle risorse al lavoro controllato, ma, ormai, la maggior parte dei lavori sono lavori inventati, lavori non necessari, degradanti non in sé, ma poiché sono, in modo trasparente, degli artifizi, fattispecie superate.
Ne segue, logicamente, che questo lavoro ‘inventato’, che nulla produce, ma che pure ci deve essere, avrà a disposizione sempre meno risorse, altrimenti il capitale non si accumula, ma, così facendo, vien meno l’altro corno del ‘lavoro’, ovvero il suo comando di controllo sociale, poiché non garantisce più la sopravvivenza della maggioranza. A questo punto, non ci sono molte opzioni. 1) o si garantisce la sopravvivenza della maggioranza e l’accesso alle risorse astraendo dal lavoro, ma così i padroni sono costretti a rinunciare a una ormai comoda e collaudata formula di controllo e riproduzione della società, il che li porta ad instaurare ‘la selva di cricche ed istituzioni’ di cui parlano Horkheimer ed Adorno, per ‘foraggiare i disoccupati” senza, però, alcuna garanzia che la situazione non possa prima o poi pericolosamente traballare, e in fondo traendone – i padroni – la conclusione che dei ‘superflui’ si può tranquillamente fare a meno ed evitare di prendersene cura; oppure 2) rendere, paradossalmente, il lavoro sempre più costrittivo e sempre meno remunerativo, integrandolo con provvidenze extra, che possono venire sia dallo stato che dalla ‘charity’ privata, conseguibili solo con la sottomissione più totale al sistema. Efficace sì, ma in contrasto con l’ideologia ‘democratica’ che è l’ideologia di legittimazione dei padroni: cosa che a lungo, ma anche non lungo, andare potrebbe provocare problemi. Ai padroni, si capisce. La Ue fa testo, in questo senso.
In realtà è l’intera civiltà borghese – uso questa definizione tradizionale per chiarità di discorso: è lecito avere più di qualche dubbio sull’esistenza ancor oggi di una borghesia propriamente detta - ad esser in crisi. Perché? Perché il ‘lavoro’ per il mondo borghese non è una cosa qualunque, ma un concetto quasi sacrale. Si pensi a quanto dice Weber ne L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo: sono il lavoro indefesso e la rinuncia continua che garantiscono l’accumulazione, segno, sul piano mondano, di quella grazia divina che garantisce la salvezza. Il lavoro è l’ascesi e la santificazione del borghese. Sotto certi spetti, chi non lavora – oltre a non mangiare – non è nemmeno del tutto umano, perché al di fuori della possibilità di salvezza. Il ’lavoro’ è ciò che permette al mondo di mantenersi, segno di benevolenza divina e manifestazione della superiorità borghese rispetto all’improduttivo aristocratico (l’accusa di improduttività è l’anatema massimo del borghese, la sua scomunica: non a caso, la sentiamo riecheggiare in tutte le salse, amplificata dai media, contro chi non si adegua). Ne segue che se si degrada il lavoro del proletario, e lo si rende inutile, diventa inutile anche il lavoro del borghese, ma soprattutto s’inabissa il ‘lavoro’ tout court. Ergo, tutta la questione del lavoro è assolutamente dirimente per la legittimità del sistema vigente, il quale non sa, e secondo me, non può uscire da questa contraddizione.
Perché? Il perché è stato detto molto tempo fa. In estrema sintesi, i mezzi di produzione sviluppati dalla borghesia hanno reso obsoleti i rapporti sociali da questi stessi mezzi generati lungo l’arco di secoli. Se non è più necessario il lavoro, e non lo è, perlomeno non lo è nelle forme in cui l’abbiamo conosciuto negli ultimi due-tre secoli, non è necessaria nemmeno l’architettura sociale che sull’organizzazione di questo lavoro si erige. E mi sembra che siamo proprio a questo punto. I padroni lo sanno e se ne stanno andando a vivere nelle loro smart cities murate, serviti dalle macchine e dai robot (cfr. l’articolo di Fini sulla Scienza in questa sede), straimpippandosene del resto, e combattendo mere battaglia di retroguardia.
So che persone di grande ingegno e sensibilità sociale non vedevano l’ora che finisse questo ‘sistema’ tanto squilibrato, anche perché certi che, concluso esso, il vettore della storia avrebbe puntato, se non verso il bene, certo verso il meglio. Io, che sono in mezzo allo sfacelo, tutte queste sicurezze non ce l’ho: in primo luogo, vivere in epoche di trapasso non è piacevole, e, poi, non sono affatto sicuro si vada verso il ‘meglio’, o il meno ‘peggio’. Anzi, alcune delle più riuscite e plausibili estrapolazioni del futuro – Mondo Nuovo di Huxley, per esempio: e, a livello di letteratura popolare, anche Il Sole Nudo di Asimov, dove viene raffigurato un pianeta colonizzato dagli uomini, abitato da poche migliaia di persone che vivono ciascuna per conto suo, servite da legioni di androidi, ed incapaci di affetti e sentimenti (guarda un po’, la perfetta immagine del narcisista oggi dominante) – inducono a pensieri tutt’altro che ottimistici.
Certo, è possibile che il mio pessimismo sia frutto dell’infelice contingenza. Lo spero proprio, caro Lo Monaco. Il pensiero che chi verrà dopo di me starà peggio è veramente duro da digerire.
Saluti.
Bruno Di Prisco
"Credo nel potere del riso e delle lacrime come antidoto all'odio e al terrore." C. Chaplin
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Ma quali anime sante. Gli imprenditori e gli azionisti sono persone che, come e' giusto che sia, vogliono guadagnare in un'attività perché ci mettono i loro soldi e quindi rischiano (al contrario dello Stato che qualunque cosa faccia non rischia mai nulla tanto usa sempre soldi altrui).
Per questo puoi star certo che in un mercato liberalizzato (che non e' quello dove l'imprenditore deve dare il 70% del proprio reddito allo Stato) l'imprenditore sta ben attento a pagare adeguatamente i propri lavoratori, perché se li paga meno di quello che meritano questi potranno sempre trovare un'altra azienda che li paga di più. E se li paga più di quello che meritano ci rimette di suo ergo...
Se questo non avviene in Italia allo stato attuale (siccome so già che ora molti di voi se ne usciranno con la patetica frase del tipo : non hai mai lavorato, nun poi sape' , ecc. ) e' non solo/non tanto perché il mercato del lavoro in Italia non e' sufficientemente liberalizzato, ma anche perché non si può pensare di attuare riforme in senso liberista sul lavoro se la tassazione rimane a livelli disumani e se aprire un impresa e' già un impresa di suo. O si agisce in modo unilaterale liberalizzando sia il mercato del lavoro che tutto il mercato dei beni/servizi in generale oppure posso anche essere d'accordo con te.
«L'Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l'Italia sono i furbi, che non fanno nulla, spendono e se la godono» (Giuseppe Prezzolini, 1921)
Personalmente ? Nulla, anche perche' il risultato credo non sarebbe questo:
Al limite potrebbe essere il contrario, ovvero con la valorizzazione di lavoratori (anche con salario variabile, ovvero quota fissa + bonus legati alla produzione) che all'interno delle varie banche "producono" maggior reddito (non pensiamola solo nel settore commerciale, ma anche in quello dei crediti/impieghi, con specialist ben definiti e professionalmente preparati proprio per determinate aziende) per cui le banche potrebbero creare dei contratti ad hoc e rendersi quindi appetibili per tali figure: un po' come gia' accade all'estero presso le principali banche d'affari, in special modo anglosassoni, ove la "mobilita'" in tal senso e' decisamente elevata !
Per quelli invece che alle 16:45 sono gia' pronti sulla porta d'uscita della banca non credo che possa cambiare molto (ma qui mi taccio, perche' e' meglio.... )
Tornando a temi piu' economici/finanziari....
UE: Enria, banche non si sentano troppo sicure dopo stress test
MILANO (MF-DJ)--Il presidente dell'Autorita' bancaria europea, Andrea
Enria, ha affermato che le banche non dovrebbero sentirsi troppo sicure
dopo gli stress test della Banca centrale europea, neanche quelle che li
hanno superati.
"Le banche dell'Ue hanno fatto molto, ma non c'e' spazio per il
compiacimento, anche per quelle banche che hanno passato gli stress test",
ha affermato Enria durante una conferenza a Berlino.
rug
laura.ruggiero@mfdowjones.it
(fine)
MF-DJ NEWS
3010:59 ott 2014
Considerazione a caldo: non c'e' peggior italiano di quello che voglia fare il "tedesco" di turno, quando ovviamente ti devi porre in modo che chi comanda (Germania) possa poi mettere una parola buona per l'eventuale ricanditatura "a vita" per la presidenza dell'Eba !
No comment....
Fermo restando che uno può essere legittimamente contro l'idea, direi che l'esempio della Svizzera non è esattamente il massimo della comparabilità in termini economici e non solo...
Perchè a voler prendere un solo esempio io prendo gli USA che ce l'hanno e allora concludo che siccome l'economia più avanzata del mondo ce l'ha è la soluzione migliore possibile... (e peraltro non è esattamente vero che in Svizzera non ce l'ha nessuno; così come in Italia non ce l'hanno tutti; al contrario degli USA).
Forse che forse, ma forse eh, ci sono anche altri fattori che pesano?
Ultima modifica di FunMBnel; 30/10/2014 alle 12:17
Neutrofilo, normofilo, fatalistofilo: il politically correct della meteo
27/11: fuori a calci i pregiudicati. Liberazione finalmente.
Sull'ambiente banche non metto becco, ma che globalmente in un momento di crisi ben lungi dall'essere terminata, con tassi di disoccupazione in aumento e con tassi di occupazione da centrafrica pensare che la libera contrattazione possa portare ad un aumento medio dei salari penso sia pura utopia.
Concordo col fatto che quando le cose vanno male comunque la metti rischi di alimentare un circolo vizioso.
Non a caso le riforme andrebbero fatte nei periodi di "buona", il che dimostrerebbe di aver a che far con degli statisti e non con gente che sempre più spesso dimostra che avrebbe problemi a pulire scale...
Neutrofilo, normofilo, fatalistofilo: il politically correct della meteo
27/11: fuori a calci i pregiudicati. Liberazione finalmente.
Ma il punto è proprio questo. E' prevedibile che si arriverebbe alla creazione di un "cartello", un tacito accordo tra le varie industrie dei singoli settori, volto a trascinare verso il basso il salario offerto dalle singole aziende, di modo che, quand'anche il lavoratore decidesse di rifiutarlo, guardandosi intorno troverebbe che tutte (o quasi) le altre aziende del suo settore offrono lo stesso (basso) trattamento salariale. Se, per dire, tutte le aziende di un settore x cominciassero ad offrire salari da 6-700 euro, il lavoratore sarebbe spalle al muro, mentre gli imprenditori gioirebbero! Ditemi chi di loro, potendo pagarti 600 - e sapendo che TUTTI i suoi colleghi pagano mediamente 600 - , accetterebbe di pagarti 1000. Nel mondo dei sogni, forse
Sono convinto che in un momento di estrema volatilita', in special modo con i bancari sotto pressione (forse anche per mera speculazione) un'uscita simile a prescindere era e doveva essere evitata: e' stato come gettare benzina sul fuoco !
Ma indubbiamente, visto che era a Berlino, qualcuno l'avra' pure applaudito in loco....
Come dicevo il mio pensiero in merito riguardava solo il "nostro" mondo, mentre in linea generale mi sento comunque di quotare cio' che hai scritto
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