In economia internazionale si parla di trio impossibile, ovvero è impossibile mantenere contemporaneamente una politica monetaria (e fiscale) autonoma, un tasso di cambio fisso e libertà di movimento dei capitali. Se rinunci ad avere un tasso di cambio fisso la fuga di capitali non è di per se recessiva, il tasso di cambio cala e migliorano le esportazioni nette e quindi la bilancia dei pagamenti si riequilibra spontaneamente. Questo offre anche l'opportunità di tagliare la spesa pubblica senza effetti troppo recessivi, come il Canada degli anni 90. L'effetto recessivo della fuga di capitali è strettamente legato a due fattori, la reazione della politica monetaria per stabilizzare il cambio oppure la presenza massiccia di debito denominato in valuta estera, in assenza di questi la fuga di capitali è espansiva. Particolare risulta il caso dell'assenza di una valuta autonoma, in cui la fuga di capitali diventa direttamente una stretta monetaria.
L'eccezionalismo americano a mio avviso in termini economici ha pochissima rilevanza, è molto più importante in termini geopolitici. Dal punto di vista strettamente economico consente soltanto di avere introiti di signoraggio aggiuntivi (ma sempre poca roba) e di finanziare i disavanzi delle partite correnti grazie alla domanda estera di dollari, nel vecchio sistema di Bretton Woods con il dollaro ancorato all'oro addirittura obbligava gli USA ad avere un disavanzo. Loro sono grossi e gran parte del commercio e della finanza mondiale sono espressi in dollari, quindi le fluttuazioni del dollaro sono problemi degli altri, non loro. Ma se volessero fissare il tasso di cambio ricadrebbero anche loro nel trilemma e analogamente chiunque sia in grado di denominare nella propria valuta il debito pubblico e privato e non sia costretto per vincoli politici (come la CEE) a mantenere un cambio fisso potrebbe avere gran parte di questi vantaggi (penso ad Australia, Canada o Nuova Zelanda).
La situazione giapponese invece dipende strettamente dalle politiche mercantilistiche di cui abbiamo già parlato, hanno un eccesso di risparmi che non sanno dove mettere e comunque sono molto restii ad investire all'estero, anche perché hanno una valuta che tendenzialmente si rivaluta continuamente per effetto delle stesse politiche mercantilistiche.
Comunque il Giappone in termini pro-capite non va malissimo, hanno un tasso di crescita più che dignitoso, il problema è che la popolazione è in calo e l'economia collassa ogni volta che cercano di pareggiare i conti dello Stato, ora con le politiche monetarie super espansive (puntano ad azzerare i tassi fino a 10 anni) stanno ottenendo qualche risultato, vedremo se saranno duraturi.
Anche dire che la spesa non sia stata toccata mi sembra esagerato. Alcuni capitoli sono stati massacrati, altri sono cresciuti spontaneamente e sono molto difficili da comprimere (pensioni e sanità). Ma il blocco delle assunzioni e degli stipendi c'è stato, scuola, università e ricerca hanno subito tagli drastici, idem per altri capitoli come il trasporto pubblico o gli investimenti pubblici in vari settori (vedi tribunale di Bari). La percezione dei cittadini sui tagli non è del tutto campata in aria. Soprattutto per il fatto che si è tagliato molto male, spesso producendo inefficienze ulteriori anziché eliminare quelle esistenti.
Tanto dell'aumento di spesa che vedi nelle statistiche inoltre sono tax expenditures, che non hanno niente a che fare con i servizi ai cittadini, poi se si vogliono considerare spese o riduzioni di tasse è soggettivo.
Non è un caso che siano sostanzialmente spariti certi personaggi e che non abbiano più alcun consenso, non vale nemmeno la pena di parlare di loro da quanto sono irrilevanti. Ormai non c'è più tolleranza politica per l'immigrazione in Italia, questo è un dato di fatto, nonostante abbiamo molti meno immigrati di tanti altri stati europei.
Ma questo a mio avviso è determinato principalmente dal fatto che le persone sentono minacciato il proprio tenore di vita a prescindere dall'immigrazione. Ad aggravare la situazione c'è l'incapacità di gestire le problematiche locali prodotte dalla presenza di alcune comunità, come il problema dei roghi di rifiuti nei campi rom qui a Roma o la microcriminalità che nessuno contrasta.
Ma se si va a vedere con attenzione il tessuto economico italiano è evidente che interi settori economici senza i migranti non andrebbero avanti, gli italiani certi lavori non li vogliono proprio fare.
Ultima modifica di snowaholic; 11/06/2018 alle 15:53
Analisi che condivido. A Roma comunque sono stato dal 2007 al 2011, e non mi sembrava neanche di essere alla capitale. Stranieri afro asiatici dappertutto, che si avvicinavano chiedendo le cose più incredibili e disparate. O almeno ce n'erano una marea nel mio quartiere . Poi sono tornato varie volte negli anni a venire.
Addo' arrivamo, mettemo glio' pezzùco
Luccicantella calla calla, mitti fuoco alla cavalla, la cavalla dé glio' ré, luccicantella mmàni a mmé!!
Certo che se fa impressione il numero di stranieri a Roma non oso immaginare l'impatto che farebbe una citta come Londra.
Neutrofilo, normofilo, fatalistofilo: il politically correct della meteo
27/11: fuori a calci i pregiudicati. Liberazione finalmente.
Adoro Londra e anche il suo sindaco .
Ma gli accampamenti di baracche a due passi dal centro non ci sono e tutte le zone ad alta densità di residenti di origine non europea che ho visto erano sempre pulite e ordinate come il resto della città. I problemi li hanno anche loro, ma la sciatteria e la trasandatezza di Roma sono incomparabili a qualunque cosa io abbia visto a Londra (e non è solo una questione di immigrati).
quindi fammi capire, finchè si votava in un determinato modo era tutto ok, poi improvvisamente quando democraticamente la maggioranza vira verso nuove forze politiche tutta la colpa è dell'analfabetismo funzionale?
poi per carità si può dire tutto ma negare che in Italia non sia in atto uno smantellamento del welfare e dello stato sociale è veramente negare la realtà. Poi si può discutere sul perchè e sul percome, ma direi che non ci sono dubbi su questo.
Dicembre 1996: la perfezione
Febbraio 2012: l'apoteosi
Febbraio 2018: la sorpresa
L'andamento delle voci della spesa pubblica tra il 2008 e il 2018
Poi,se vogliamo fare propaganda di pancia è un altro discorso.
In questi dieci anni il Paese ha vissuto la peggiore crisi economica dal Dopoguerra e, naturalmente, l’andamento della spesa pubblica si è adattato modificandosi non solo qualitativamente ma anche quantitativamente, perché il peso delle varie Missioni (si chiamano così i settori di indirizzo in cui divisa la spesa pubblica) è cambiato: in alcuni casi vi sono stati raddoppi di spesa in altri addirittura dei cali.
Nel complesso in valore assoluto vi è stata una crescita della spesa dello Stato di circa 145 miliardi, da 707.181,34 milioni a 852.234,32 milioni.
Tuttavia in alcuni anni, il 2011, il 2013, il 2016 e il 2018 (previsioni) la spesa è calata non tanto a causa di tagli dettati dall’austerità, ma grazie alle oscillazioni del costo della voce più importante, quella del debito pubblico. Tagli veri ce ne sono stati pochi, pochissimi: soltanto nel 2011 c’è stata una diminuzione delle spese effettive che si sono concentrate nel campo dell’istruzione, del trasferimento di risorse agli enti locali e per i rimborsi di imposte.
La spesa cresce del 20,5%
Complessivamente, dicevamo, tra 2008 e 2018 la crescita del bilancio è stata del 20,5%, ma questo incremento non è stato omogeneo. Nell’andamento della spesa pubblica vi sono stati dei picchi.
Per esempio, come si vede nel grafico sopra, nella missione relativa alla competitività e lo sviluppo delle imprese vi è stata una quadruplicazione, da 6 miliardi e 149 milioni a 24 miliardi e 577 milioni, +299,6%. Un aumento avvenuto in particolare durante il governo Renzi, cioè dal 2015 in poi.
Fortissima crescita, +263,3%, anche per le politiche per il lavoro distribuita in tutti gli anni dal 2011 in poi. Probabilmente di mezzo vi è il rafforzamento degli strumenti di incentivo all’occupazione, dei sussidi per la disoccupazione, della mobilità, ecc.
Poi una voce attualissima, quella della spesa per l’immigrazione e per l’accoglienza. La crescita del 165,5% è avvenuta quasi tutta nelle leggi di bilancio per il 2016, 2017, 2018, anni nei quali l’emergenza sbarchi è diventata una priorità.
Le uscite per la previdenza
Aumenti importanti, anche per la tutela della salute, +107,5%. Vi è poi, la mobilità (+79,1%) e il soccorso civile (+65%): in quest’ultimo caso la crescita in valori assoluti è stata di un miliardo (su un totale ora di 5,8). Volendo rimanere alla missioni quantitativamente più importanti abbiamo la spesa previdenziale ovvero, in particolare, la quota che lo Stato spende per far quadrare i conti dell’Inps. Tra 2008 e 2018 la crescita è stata robusta, +42,9%: si è arrivati a 93 miliardi e 543 milioni, e si partiva da 65 miliardi e 466 milioni. Il picco è stato raggiunto nel 2015 con oltre 104 miliardi.
L’andamento della spesa pubblica segnala anche un’impennata (+27,5% per un totale di 89 miliardi) per la voce Politiche economico-finanziarie e di bilancio e tutela della finanza pubblica: un capitolo un po’ tecnico che include principalmente i rimborsi di imposte dirette e indirette.
Cresce invece meno della media l’istruzione scolastica, +9,5%, ma con un balzo di 4,3 miliardi da 41,8 miliardi a 46,1 dal 2015 al 2018. Così anche le infrastrutture, +19,4%, con un’accelerazione però gli ultimi anni, l’ordine pubblico e la sicurezza, +15,6%. Cresce del 15,3% anche la voce che riguarda le relazioni con le autonomie territoriali: si tratta dei trasferimenti agli enti locali, soprattutto in campo sanitario, calati tra 2010 e 2013 di ben 12,6 miliardi per poi riprendersi negli anni successivi. Anche la voce sulla politica estera (Italia nel mondo) progredisce meno del totale (e anche meno dell’inflazione) del 7,7%.
Dove sono i tagli
Nell’andamento della spesa pubblica vi sono dei cali di spesa tra cui un doloroso -3,6% nella ricerca e innovazione, che poteva essere anche peggiore senza il recupero di mezzo miliardo negli ultimi 3 anni. E poi un -0,4% nell’istruzione universitaria, tagliata in modo netto tra 2009 e 2011 di 1,4 miliardi, con un aumento recente di 600 milioni tra 2015 e 2018.
C’è un taglio, che forse è molto meno doloroso, nelle spese per gli Organi costituzionali e la Presidenza del Consiglio dei ministri: -9,3%. Si tratta in parte dei costi della politica.
Le decurtazioni più feroci però sono in alcune voci relativamente piccole come giovani e sport, -30,6%, casa, -37%, agricoltura, -41,6%, turismo, -58,9%. In generale in questi campi sembra che nessun governo si sia trattenuto dall’usare la scure.
Ultima modifica di Josh; 11/06/2018 alle 18:08
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