ma solo di accenni mi aspettavo in realtà, non mi aspettavo niente di che. Non ho seguito sempre il thread, difatti partecipo poco, ma mi aspettavo di leggere qualche motivazione di più, visto anche che ti erano state chieste(non da me).
Il populismo in Italia è figlio anche esso della ignoranza che caratterizza il Paese, rispetto a molti altri più aperti alle relazioni internazionali e agli scambi culturali. La classe dirigente politica soffre degli stessi difetti di quella dirigenziale aziendale pubblica e privata.
Non l'avevo scritto ma in realtà non essendo i nostri politici che Italiani era di fatto sottinteso.
Per cui gli scadenti programmi elettorali e la scadente classe politica italiana sono specchio dell'Italia più in generale, e trova negli elettori, anch'essi affetti da ignosia, il terreno fertile per dare una cattiva rappresentazione della realtà e delle cause per le quali si è arrivati dopo decenni di malgoverno e malaffare pubblico-privato alle condizioni economiche, finanziarie e sociali attuali. Ignoranza di base su cui poggia la propaganda politica di tipo populista volta a descrivere una realtà di convenienza e proporre semplicistiche ed insostenibili risposte alle istanze popolari non di rado eccessive e sproporzionate alle possibilità che offre il Paese Italia in cui si vive, persino al netto di sprechi, ruberie e inefficienze e antimeritocrazia più fattivamente risolvibili.
Ultima modifica di Diamandis; 29/04/2019 alle 18:22
Sì,in sostanza il divario fra l'Italia e le superpotenze economiche tipo Germania ed USA,in termini di reddito medio procapite, è tornato ai livelli del periodo 1955/60:
Ci siamo giocati il boom economico: perché gli italiani guadagnano come negli anni 60 - Corriere.it
Ma è eloquente pure il raffronto Italia-Francia: nel 2007 avevamo un reddito medio procapite a livello transalpini,oggi siamo vicini alla Slovenia e magari fra 15 anni o 20 anni all'Ungheria.
Uno "sboom" davvero senza precedenti in Occidente.
Ultima modifica di Josh; 30/04/2019 alle 14:13
Neutrofilo, normofilo, fatalistofilo: il politically correct della meteo
27/11: fuori a calci i pregiudicati. Liberazione finalmente.
Sì,quello dell'anno scorso(cioè riferito alla Legge di stabilità 2018),col senno di poi andava bene per tutto il periodo di questo governo e forse pure per i governi a venire.
Io farei un esercizio provvisorio basato sulla Legge di stabilità del lontano 2008 ma è un'idea mia.
In Spagna non si può certo dire che vi sia stata stabilità politica negli ultimi anni.Ma,ciò nonostante, c'è stata stabilità nelle politiche economiche e questo ha giovato all'economia,che continua a crescere dal 2014 a ritmi inimmaginabili in Italia e nettamente superiori(su scala quinquennale) a quelli della Francia(che comunque fa meglio di noi nettamente,anche in questo scorcio di 2019).Sicuramente il fatto di aver potuto far più deficit dell'Italia(non ultimamente ma nella parte centrale di questo decennio e grazie ad un debito pubblico meno smisurato) ha aiutato Francia e Spagna,dando un contributo alla domanda.Ma non si può ridurre tutto a questo: si tratta di economie che sono riuscite ad essere ben presenti sui mercati internazionali e hanno saputo contribuire alla crescita con tutte le regioni, mentre l'Italia ha troppe regioni(non solo del sud)al traino e poche che trainano(vedi la differenza specialmente con la Francia in questo). E pochissima stabilità nelle politiche economiche, che dal 2014 sono state piegate alla ricerca del consenso elettorale immediato. In Spagna si è fatta meno spesa corrente e più spesa in conto capitale; inoltre, si è cercato,almeno nell'ultimo anno, di contenere il disagio sociale con i c.d. "venerdì sociali",cioè dedicati ad escogitare misure anti-disagio,mettendo intanto fieno in cascina con l'aumento della produttività,certo non ai livelli dell'Europa del nord ma lontana dalla lunghissima stagnazione italiana,che perdura dal 2000.
@snowaholic e @paxo:
Vi spiego perche la Spagna fa meglio dell’Italia - Startmag
"Alcuni osservatori hanno giustamente osservato (Marco Fortis su Il Foglio, gennaio 2019) che parte di questo successo è da ricondurre alla maggiore spinta impartita dalla politica fiscale, che ha consentito anche di puntare maggiormente sugli investimenti pubblici. Non a caso il debito pubblico della Spagna è cresciuto velocemente, da circa il 35% al 100% tra il 2007 e il 2014. L’Italia di contro ha avuto margini di manovra molto più risicati a causa dell’elevato stock di debito pubblico e inoltre non ha fatto ricorso al finanziamento di emergenza previsto dai meccanismi europei.
L’impressione, però, è che non sia solo una questione di politica fiscale espansiva o di migliori dati macroeconomici, ma che sia in corso anche una lenta trasformazione del tessuto produttivo spagnolo. Una trasformazione destinata a fare meno leva sul settore delle costruzioni, il cui peso è sceso dall’11% al 6%, in direzione di settori a più elevata produttività e con una forte propensione all’export. Tra il 2009 e il 2016 l’export della Spagna è cresciuto di oltre il 50% e si è sviluppato anche in direzione di mercati non tradizionali, come ad esempio la Cina (de Lucio et al., Funcas SEFO, luglio 2017). Queste tendenze erano peraltro in atto da ben prima della crisi.
L’export rappresenta oramai un terzo del Pil della Spagna, che ha in Europa il più elevato grado di apertura al commercio estero dopo la Germania. Se si considera il ridimensionamento relativamente più forte del settore delle costruzioni in Spagna e, simmetricamente, del manifatturiero in Italia negli anni della crisi, oggi la struttura produttiva dei due paesi si presenta più simile che in passato".
Lo scoppio della bolla immobiliare in Spagna è stata una delle più severe in assoluto tra i paesi colpiti dalla Grande Crisi e ha comportato un drastico ridimensionamento del mercato delle costruzioni. I consumi di cemento sono passati dal picco di 57 milioni di tonnellate nel 2006 a meno di 11 milioni nel 2013 e attualmente sono intorno a 13 milioni di tonnellate (dati Aitec). Della crisi ha subito le conseguenze più rilevanti il settore bancario, che aveva alimentato la bolla immobiliare. Nel giugno del 2012, con un’economia in grave recessione, un tasso di disoccupazione salito al 27% e un settore bancario in forte tensione, la Spagna si vede costretta a ricorrere a un prestito di $100 miliardi da parte dell’European Stability Mechanism (ESM).
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