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  1. #25991
    Burrasca L'avatar di paxo
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    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Citazione Originariamente Scritto da Josh Visualizza Messaggio
    @snowaholic e @paxo:
    Vi spiego perche la Spagna fa meglio dell’Italia - Startmag

    "Alcuni osservatori hanno giustamente osservato (Marco Fortis su Il Foglio, gennaio 2019) che parte di questo successo è da ricondurre alla maggiore spinta impartita dalla politica fiscale, che ha consentito anche di puntare maggiormente sugli investimenti pubblici. Non a caso il debito pubblico della Spagna è cresciuto velocemente, da circa il 35% al 100% tra il 2007 e il 2014. L’Italia di contro ha avuto margini di manovra molto più risicati a causa dell’elevato stock di debito pubblico e inoltre non ha fatto ricorso al finanziamento di emergenza previsto dai meccanismi europei.

    L’impressione, però, è che non sia solo una questione di politica fiscale espansiva o di migliori dati macroeconomici, ma che sia in corso anche una lenta trasformazione del tessuto produttivo spagnolo. Una trasformazione destinata a fare meno leva sul settore delle costruzioni, il cui peso è sceso dall’11% al 6%, in direzione di settori a più elevata produttività e con una forte propensione all’export. Tra il 2009 e il 2016 l’export della Spagna è cresciuto di oltre il 50% e si è sviluppato anche in direzione di mercati non tradizionali, come ad esempio la Cina (de Lucio et al., Funcas SEFO, luglio 2017). Queste tendenze erano peraltro in atto da ben prima della crisi.

    L’export rappresenta oramai un terzo del Pil della Spagna, che ha in Europa il più elevato grado di apertura al commercio estero dopo la Germania. Se si considera il ridimensionamento relativamente più forte del settore delle costruzioni in Spagna e, simmetricamente, del manifatturiero in Italia negli anni della crisi, oggi la struttura produttiva dei due paesi si presenta più simile che in passato".
    Lo scoppio della bolla immobiliare in Spagna è stata una delle più severe in assoluto tra i paesi colpiti dalla Grande Crisi e ha comportato un drastico ridimensionamento del mercato delle costruzioni. I consumi di cemento sono passati dal picco di 57 milioni di tonnellate nel 2006 a meno di 11 milioni nel 2013 e attualmente sono intorno a 13 milioni di tonnellate (dati Aitec). Della crisi ha subito le conseguenze più rilevanti il settore bancario, che aveva alimentato la bolla immobiliare. Nel giugno del 2012, con un’economia in grave recessione, un tasso di disoccupazione salito al 27% e un settore bancario in forte tensione, la Spagna si vede costretta a ricorrere a un prestito di $100 miliardi da parte dell’European Stability Mechanism (ESM).

    Ma adesso molti sono euforici per la crescita dello 0.2% nel primo trimestre, alcuni articoli su internet parlano di fine della crisi, aumento della produzione industriale e dell'occupazione. Voi che ne pensate? Miglioramenti reali o fuffa?

  2. #25992
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    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Citazione Originariamente Scritto da FunMBnel Visualizza Messaggio
    L'esercizio provvisorio era meglio l'anno scorso, ma va bene anche così.
    Vabbè lo scorso autunno con un governo appena nominato cosa pretendevi?

    Politicamente poi non sarebbe la stessa cosa, la stangata delle clausole di salvaguardia sarebbe stata giustamente ricondotta al governo precedente che le aveva approvate, adesso invece la legislazione corrente è stata approvata dal governo gialloverde.
    E sinceramente non credo nemmeno fosse opportuna una forte stretta fiscale in questo contesto congiunturale, sarebbe stata una manovra estremamente prociclica con costi economici elevatissimi.

    Una cosa che però non viene evidenziata abbastanza è la sostanziale differenza tra le clausole di salvaguardia dei governi precedenti e quelle di questo governo. Nel primo caso erano usate per dare un fondamento alla promessa di ridurre il deficit in futuro (lo so, erano una presa in giro) quindi ogni anno bastava rinviare la riduzione del deficit e si potevano facilmente rinviare anche gli aumenti IVA. Con la scorsa finanziaria invece sono state usate prevalentemente per coprire aumenti di spesa, quindi per disinnescarle servono coperture vere oppure un aumento enorme del deficit. Quindi che se la gestiscano loro la bomba ad orologeria che hanno messo nei conti pubblici.

    In questo la normativa europea che impone la pianificazione pluriennale è molto utile però, anche se non ci fosse un governo il deficit non può esplodere per inerzia...

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    Ultima modifica di snowaholic; 01/05/2019 alle 20:02

  3. #25993
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    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Citazione Originariamente Scritto da Josh Visualizza Messaggio
    Sì,quello dell'anno scorso(cioè riferito alla Legge di stabilità 2018),col senno di poi andava bene per tutto il periodo di questo governo e forse pure per i governi a venire.
    Io farei un esercizio provvisorio basato sulla Legge di stabilità del lontano 2008 ma è un'idea mia.
    Questo non l'ho capito, l'esercizio provvisorio significa applicare la normativa corrente autorizzando la spesa in dodicesimi, applicare la normativa 2008 nel 2019 non ha senso.
    Se invece ti riferisci alla finanziaria 2008 è alla legge 1/2009 con i loro tagli lineari concentrati su università e ricerca, scuola e sanità, con blocchi delle assunzioni completamente indiscriminati che devastano i servizi per recuperare pochi miliardi, no grazie.

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  4. #25994
    Josh
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    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Citazione Originariamente Scritto da paxo Visualizza Messaggio
    Ma adesso molti sono euforici per la crescita dello 0.2% nel primo trimestre, alcuni articoli su internet parlano di fine della crisi, aumento della produzione industriale e dell'occupazione. Voi che ne pensate? Miglioramenti reali o fuffa?
    E' andato bene il comparto-esportazioni...in pratica una situazione che ricorda quella dell'ultimo trimestre del 2013 o del primo del 2011,un mini sussulto legato alle imprese che esportano.
    Piuttosto secondo me va rimarcato che tutta l'eurozona(ed anzi l'UE intera) è andata meglio del previsto,quindi ci sta anche un certo effetto-traino,legato alla resilienza della manifattura tedesca.

  5. #25995
    Josh
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    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Citazione Originariamente Scritto da snowaholic Visualizza Messaggio
    Questo non l'ho capito, l'esercizio provvisorio significa applicare la normativa corrente autorizzando la spesa in dodicesimi, applicare la normativa 2008 nel 2019 non ha senso.
    Se invece ti riferisci alla finanziaria 2008 è alla legge 1/2009 con i loro tagli lineari concentrati su università e ricerca, scuola e sanità, con blocchi delle assunzioni completamente indiscriminati che devastano i servizi per recuperare pochi miliardi, no grazie.

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    No,mi riferisco a quella dell'anno prima,perché secondo le ultime cose razionali in politica economica in Italia si sono avute negli anni 2006 e 2007.

  6. #25996
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    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Citazione Originariamente Scritto da paxo Visualizza Messaggio
    Ma adesso molti sono euforici per la crescita dello 0.2% nel primo trimestre, alcuni articoli su internet parlano di fine della crisi, aumento della produzione industriale e dell'occupazione. Voi che ne pensate? Miglioramenti reali o fuffa?
    Impossibile dirlo con i dati a disposizione adesso, aspettiamo il dettaglio tra un mese.
    Probabile che almeno in parte sia fuffa, come il dato del PIL americano che era in gran parte fatto di elementi una tantum. Una stabilizzazione ci può stare ma gli ultimi dati degli ordinativi industriali erano molto negativi quindi una ripresa netta è improbabile.
    Però il fatto che ci sia stata una ripresa su scala europea rende più solido il quadro complessivo, un aiuto potrebbe anche venire dalla ripresa cinese e dalla mancata Brexit.
    Siamo in una parte del ciclo economico di difficile lettura, ci vuole molta cautela.

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  7. #25997
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    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Citazione Originariamente Scritto da Josh Visualizza Messaggio
    E' andato bene il comparto-esportazioni...in pratica una situazione che ricorda quella dell'ultimo trimestre del 2013 o del primo del 2011,un mini sussulto legato alle imprese che esportano.
    Piuttosto secondo me va rimarcato che tutta l'eurozona(ed anzi l'UE intera) è andata meglio del previsto,quindi ci sta anche un certo effetto-traino,legato alla resilienza della manifattura tedesca.
    Più che della manifattura direi dei servizi e della domanda interna grazie al buon andamento del mercato del lavoro, la manifattura tedesca al momento è uno degli elementi frenanti.

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  8. #25998
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    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Citazione Originariamente Scritto da paxo Visualizza Messaggio
    Ma adesso molti sono euforici per la crescita dello 0.2% nel primo trimestre, alcuni articoli su internet parlano di fine della crisi, aumento della produzione industriale e dell'occupazione. Voi che ne pensate? Miglioramenti reali o fuffa?
    Aspetta i dati disaggregati dove si vede anche il valore delle scorte.
    Vedrai che miglioramenti reali...
    Neutrofilo, normofilo, fatalistofilo: il politically correct della meteo
    27/11: fuori a calci i pregiudicati. Liberazione finalmente.

  9. #25999
    Josh
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    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    Interessante articolo sull'economia slovacca,che ne mette in luce i limiti,a suo tempo evidenziati da @nevearoma.Ciò non toglie che ormai la parte ovest del Paese abbia raggiunto livelli di reddito procapite paragonabili a quelli di alcune aree dell'Europa occidentale più periferiche,anzi ormai superiori:

    Slovacchia, la crisi della Detroit d’europa
    BRATISLAVA È LA «DETROIT EUROPEA» MA LA SVOLTA ELETTRICA CORRE ALTROVE UN PAESE INTERO RISCHIA DI SPROFONDARE
    Corriere della Sera 3 May 2019
    di Alessandra Muglia
    Viaggio in Slovacchia, dove si producono 198 vetture ogni mille abitanti, nessuno al mondo fa meglio. È la formula che ha sollevato la nazione dopo la fine del comunismo. «Ma è una monocultura». Oggi i big rimpatriano le nuove tecnologie. «Il mio lavoro? Per ora c’è, ma presto lo farà un robot»
    Eric ha 24 anni e non sa per quanto ancora potrà vivere di quello che sa fare: «Sono un conducente di carrelli, porto i pezzi sulla linea di assemblaggio, ma temo che i robot mi rimpiazzeranno presto», dice laconico questo giovane in jeans e felpa all’uscita dello stabilimento Volkswagen, 15 chilometri a nord da Bratislava e dal Danubio. Intorno, spersi nel verde della campagna, capannoni industriali, casermoni post sovietici tappezzati di parabole e un self service dove qualche lavoratore prima di iniziare il turno si rifocilla di loksha, le crêpes locali di farina e patate.

    Benvenuti a Devínska Nová Ves, sobborgo slovacco al confine con l’austria cresciuto intorno al più grande stabilimento del colosso automobilistico, dopo quello tedesco di Wolfsburg e lo spagnolo di Barcellona.
    Se la Slovacchia detiene il record mondiale di veicoli prodotti pro capite — 198 auto per mille abitanti, contro la media europea di 41 — molto si deve alla Volkswagen, prima ad arrivare qui dopo il crollo dell’urss. Per la disponibilità — dietro casa — di forza lavoro a buon mercato certo, ma anche preparata, eredità dell’industria delle armi sovietica. Soltanto dopo, attirati anche da lauti incentivi economici, sono arrivati gli altri gruppi: i francesi di Peugeot-citroën, i coreani di Kia, e, a ottobre, gli anglo-indiani della Jaguar Land Rover.
    La Casa tedesca resta comunque il primo datore di lavoro privato nel Paese: ha tanti dipendenti quanti gli altri tre gruppi messi insieme. E con i suoi lavoratori rappresenta il maggiore contribuente al bilancio dello stato, con oltre 250 milioni di euro in tasse e prelievi fiscali.
    Lo sguardo non riesce ad abbracciare un impianto che si estende come 280 campi di calcio. Sforna più di mille auto al giorno, 400 mila all’anno. E fa un certo effetto vederle viaggiare sospese nel vuoto: una volta pronte vengono «accompagnate» fuori in funivia, destinate a 158 Paesi, soprattutto Germania, Usa e Cina.
    Dentro è tutto uno sfrecciare di bici e carrelli senza conducente che portano i pezzi da un reparto all’altro. Nella carrozzeria della Porsche Cayenne, regno dell’artigianalità ad alto grado di precisione, i robot incollano la parte interna del tetto. Un androide dalle braccia gialle con tanto di laser salda l’alluminio alle porte. Lavori scomodi, da cui gli operai sono ora sollevati.
    Il rapporto tra robot e uomini qui sfiora l’1 a 13, poco meno di mille braccia meccaniche a fronte di 13 mila in carne e ossa. Le linee dell’assemblaggio sono tra le più all’avanguardia: «Anni fa servivano tanti saldatori — spiega Lucia Makayova, portavoce Volkswagen — oggi cerchiamo esperti di meccatronica capaci di lavorare con i robot e non è facile trovarli».
    Analfabeti digitali
    Difficile trovarli non soltanto perché siamo in un Paese di soli 5 milioni e mezzo di abitanti con oltre un terzo dei suoi giovani laureati emigrati all’estero. Il fatto è che un quarto della forza lavoro slovacca è analfabeta digitale. «Di sicuro molta gente perderà il posto per via dei robot» concorda David Vavrek, 21 anni, zainetto in spalla, addetto all’assemblaggio. È originario dell’est, la parte povera del Paese che contrasta con l’effervescente area di Bratislava, tra le regioni più ricche d'europa con un Pil pro capite pari al 179% della media Ue. David, come tanti qui, non sa se riuscirà a riconvertirsi. Di una cosa è certo: «Vengo pagato poco per questo duro lavoro». E dire che in Volkswagen il salario medio degli operai (1.900 euro lordi) è ben più alto dei 1.500 euro in Kia, dei 1.400 in Peugeot, mentre in Jaguar Land Rover non si arriva ai mille. «Qui c'è un alto turnover, puntiamo ad ottenere un aumento che motivi la gente a restare con noi», ci dice Peter Mrazik, sindacalista, davanti alla nuova fabbrica del marchio britannico sorta a Nitra, 80 chilometri da Bratislava.
    A minacciare il futuro di David, Eric e di altre migliaia di colleghi non sono solo i robot. Non è soltanto un effetto dell’industria 4.0 se dopo anni di crescente espansione la Volkswagen rischia di alleggerirsi quest’anno di altri duemila lavoratori, dopo i quasi mille lasciati a casa negli ultimi mesi. All’orizzonte, dopo 10 anni di crescita continua, ci sono la battuta d’arresto globale delle vendite d’auto e la rivoluzione verde dettata dalla Ue. A Devínska Nová Ves però spiegano questo ridimensionamento con l’occhio al presente: «Negli ultimi anni — chiarisce Makayova — abbiamo dovuto continuare a produrre i vecchi modelli e al tempo stesso prepararne tre nuovi. Questa fase straordinaria è finita».
    Elettromobilità di massa
    Ma c’è un’altra partita, che si sta giocando fuori dai confini nazionali: quella dell’auto a emissioni zero. Anche se Volkswagen ha scelto Bratislava per produrre la sua prima vettura elettrica, la city car e-up!, la sua svolta green non si consumerà in Slovacchia ma in Germania e Cina. La
    società ha annunciato che i primi tre stabilimenti per auto a emissioni zero sorgeranno ad Hannover, Zwickau ed Emden, e un quarto è in costruzione alle porte di Shanghai. «I sindacati tedeschi hanno accettato pesanti tagli del personale oggi a fronte della garanzia di poter costruire domani in Germania le auto elettriche» chiarisce Lukas Kvasnak, del settimanale Trend, davanti a una pinta di Zlaty Bazant in un pub dello Stare Mesto, il quartiere vecchio di Bratislava. Un segnale allarmante.
    Non basta a fugare le preoccupazioni il fatto che Jaguar Land Rover abbia deciso di trasferire in Slovacchia la fattura del Discovery, icona dei fuoristrada, con perdita di migliaia di posti di lavoro nel Regno Unito; e nemmeno che lancerà qui entro l’anno il nuovo modello di Defender. Perché per il passaggio all’elettrico la prima scelta resta british: «Riaffermiamo l’impegno verso la Gran Bretagna con investimenti nel nuovo centro di Hams Hall e in quello di Wolverhampton. E vediamo come evolverà la Brexit», assicura Lisa Palmer, direttore corporate del gruppo. Nessun piano dunque «a zero emissioni» in Slovacchia.
    In questo piccolo Paese dell’eurozona, ribattezzato la Detroit europea (vi lavorano 250mila persone con l’indotto, più del doppio che a Detroit), le auto rappresentano oggi il 47% del settore industriale. «Il 75% degli investimenti nell’industria è nelle mani degli stranieri: il nostro futuro dipende dalle loro decisioni – si accalora Ján Pribula, segretario generale di Zap, associazione slovacca degli industriali dell'auto —. Noi qui possiamo soltanto migliorare le condizioni». Ma la Slovacchia non è (più) il Vietnam o il Bangladesh dell’unione, gli stipendi ormai sono vicini a quelli europei, spinti da un tasso di disoccupazione che nell’ovest rasenta lo zero.
    Seduto nel suo ufficio tutto vetrato, il vice ministro del Lavoro Branislav Ondrus, dei socialdemocratici al governo da 11 degli ultimi 13 anni, parla di strategie future e ammette: «Il mix di condizioni favorevoli che ha portato la Slovacchia a diventare un polo dell’auto è finito. A trattenere le aziende ora sono l’alta produttività – il record in Europa spetta alla Volkswagen di Bratislava – e la rete di fornitori che si è creata qui». Tra questi c’è l’italiano Massimo Calearo, con la sua omonima fabbrica di antenne per auto, quartier generale in Veneto e filiali in tutto il mondo. Con orgoglio ci mostra il capannone inaugurato l’anno scorso: «Con 4 milioni ho raddoppiato gli spazi, qui ormai non si investe più per gli stipendi bassi, il costo della manodopera aumenta del 10% l’anno, piuttosto per la posizione strategica nel centro dell’europa». Questo imprenditore con trascorsi da deputato Pd ha visto lontano: «La rivoluzione dell’auto elettrica manderà via motori, pistoni, filtri e marmitte, ma noi facciamo connettività e il segnale sarà sempre più importante. In 2-3 anni ogni vettura sarà dotata da 9 a 15 antenne», prevede.
    Il futuro è smart
    Altra cosa però è il destino di un Paese che dal 2004, quando è entrato nella Ue, ha quasi raddoppiato il suo Pil. Di questo si preoccupa il giornalista Arpád Soltész, zazzera fluente e coraggio da vendere: è co-fondatore e direttore del Centro investigativo di Ján Kuciak, il reporter ucciso l’anno scorso insieme alla sua fidanzata, per le sue inchieste sulle collusioni tra governo e ‘ndrangheta: «L’auto all’inizio ci ha salvato, ma oggi dopo trent’anni non abbiamo quasi nient’altro: una monocultura pericolosa, se questa industria se ne andasse ora, la Slovacchia andrebbe in bancarotta», considera. Poi denuncia: «Stiamo ancora combattendo per attirare più fabbriche d’auto, una politica degli anni 90. Lo Stato è debole, la corruzione molto alta, così il Paese attrae anche il crimine internazionale». La redazione si trova in un vecchio edificio del centro storico. Alle pareti nessuna immagine di Kuciak: «Il tributo a Ján è il nostro lavoro, non la sua faccia su un poster».
    È tutto un Paese che ha reso omaggio al suo lavoro, prima scendendo in piazza in massa come non accadeva dalla rivoluzione di Velluto, poi scegliendo come presidente Zuzana Caputova, un’outsider della politica in prima linea nella lotta anticorruzione. Tra i suoi sostenitori (anche finanziari) c’è Simon Sicko, imprenditore di successo: nel 2007 ha fondato con la moglie Lucia e due amici la Pixel Federation, oggi con 220 dipendenti la più grande società di videogiochi per mobile in Slovacchia e una delle più grandi in Europa: «Le auto se ne andranno via — concorda lui — dobbiamo passare alla smart economy, questo è il futuro. Finalmente anche il nostro governo sta iniziando a supportare le start up». Ma siamo ancora lontani dai 130 milioni di euro concessi a Jaguar Land Rover.
    d I sindacati tedeschi hanno ottenuto di costruire in casa le auto elettriche
    d Stiamo ancora cercando di attirare più fabbriche d’auto, una politica vecchia
    d Le auto se ne andranno via, la smart economy è il futuro Simon Sicko ceo Pixel Federation

  10. #26000
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    Predefinito Re: Dura salita o "discesa" verso il default?

    A proposito di auto, la Polonia vuole costruire una fabbrica di automobili elettriche. Polonia: strategia per diventare leader nella mobilita sostenibile

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