Il PSOE ha fatto il Partito socialdemocratico ma adeguato ai tempi: né Old Left alla Corbyn o alla Sanders ma neanche accordi contro natura con il PPE.
Invece il PPE ha inseguito Vox sul terreno della repressione anticatalanista e mal gli è andata, visto che gli elettori con propensioni destrorse gli hanno preferito l'originale.
"In Africa non cresce il cibo. Non crescono i primi. Loro non hanno i contorni. Una fetta di carne magari la trovi, ma hanno un problema con i contorni. Per non parlare della frutta."
Ma guarda anche la costanza, la Romania cresce, poi va giù, poi ricresce, la Polonia sempre in crescita dopo il periodo di stagnazione dei primi anni 90. Neanche io credo che nei prossimi decenni raggiunga i paesi ricchi dell'Europa occidentale, ma in Europa occidentale ci sono anche paesi come Portogallo, Grecia, Italia che secondo me possono essere raggiunti nei prossimi decenni, soprattutto i primi due (parlo di pil pro capite nominale dollaro costante, come ppa mi sa che già ha superato la Grecia e sta come il Portogallo).
In realtà l'unica differenza è che la Romania è andata in recessione durante la crisi globale e la Polonia no. E la Polonia è più ricca.
Ad ogni modo raggiungere la Grecia non è che sia 'sto gran traguardo
"In Africa non cresce il cibo. Non crescono i primi. Loro non hanno i contorni. Una fetta di carne magari la trovi, ma hanno un problema con i contorni. Per non parlare della frutta."
Si, diciamo più alla Costa che alla Corbyn, ma dentro al partito ha trovato molta ostilità perché considerato troppo a sinistra e troppo aperto a Podemos.
Anche i media e i poteri economici non lo apprezzano particolarmente, adesso c'è una assurda mobilitazione per spingerlo a fare accordi con Ciudadanos (cui vedo si è unito anche il nostro Gentiloni) anche se alla festa per le elezioni i militanti gridavano ¡Con Rivera no! e lo stesso Rivera vorrebbe puntare a fare opposizione per egemonizzare il centro-destra
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Vabbè, @nevearoma, raggiungere la Grecia è un conto ma aspirare ad avvicinarsi o eguagliare una potenza economica come l'Italia(seppur dedita al suicidio e con una popolazione/elettorato con una straordinaria propensione a correre dietro a tutti i pifferai magici che si svegliano la mattina e in pieno e pluridecennale regresso culturale prima che economico) non sarebbe un obiettivo disprezzabile, @paxo ha ragione.
Poi, per carità, penso che il modello di sviluppo dei Paesi dell'Europa centro-orientale abbia mille limiti,che si paleseranno nei prossimi anni/decenni. Ma almeno un modello ce l'hanno.Noi no e neanche ci interessa averlo,a quanto pare.
Tra le millantamila riflessioni sull'argomento, questa è forse la migliore, @nevearoma, @snowaholic, @marco85 @paxo, @Perlecano e @Fabio68
CONVERSIONI SOVRANISTE
Corriere della Sera 5 May 2019
di Maurizio Ferrera
Gli europei non si amano più l’un l’altro: «hanno perso la libido». Così ha detto Jeanclaude Juncker in una recente intervista al quotidiano Handelsblatt. Ma quando è iniziato questo calo, ha chiesto l’intervistatore? Più o meno dieci anni dopo la fine della guerra, ha risposto il Presidente uscente della Commissione. Un’esagerazione, visto che il Trattato di Roma (il «matrimonio») entrò in vigore nel 1958. Magari posticipando un po’ il raffreddamento dei sensi, la diagnosi di Juncker è però corretta, l’europa non scuote più i cuori.
Dobbiamo stupirci? Non più di tanto. In quale unione la passione resiste più di mezzo secolo? Teniamo presente che i primi «innamorati» erano sei Paesi soltanto, oggi siamo in 28 (contando ancora il Regno Unito), e piuttosto diversi l’uno dall’altro. In aggiunta, nell’ultimo decennio abbiamo attraversato una crisi economica spaventosa, che avrebbe messo a dura prova anche le unioni più affiatate. In realtà la vera sorpresa è che gli europei stiano ancora insieme, a dispetto degli allargamenti e nonostante la recessione. Più litigi e divisioni, questo sì. Ma per ora nessun divorzio. Tutti si aspettavano che il referendum del 2016 avrebbe rapidamente condotto alla Brexit.
Emolti temevano l’effetto contagio: altri Paesi se ne andranno. Previsione sbagliata. A tre anni di distanza, il Regno Unito è ancora dentro, probabilmente voterà per mandare i suoi rappresentanti a Strasburgo. E il paventato domino non si è verificato. Nessuna Grexit, Frexit o Italexit.
Certo, sono aumentati i voti per i partiti euroscettici, alcuni sono andati al governo, come la Lega. Ed è praticamente certo che i cosiddetti sovranisti guadagneranno molti consensi il 26 maggio. Tuttavia nessuno di loro vuole più uscire. Il piano ora è quello di cambiare la Ue dall’interno. Anche a costo di allearsi con quelle forze (i popolari) che l’europa l’hanno costruita, grazie a leader del calibro di De Gasperi, Adenauer e Schuman.
Insomma, la Ue tiene, o meglio «rimbalza». Come si spiega? Diciamo subito che non si tratta di una rivincita dell’europeismo delle origini, passionale e federalista. Le ragioni sono più banali. Innanzitutto, la maggioranza degli euroscettici — compresi quelli nostrani— ha capito che uscire dall’euro o dalla Ue equivarrebbe a un salto nel buio. Un conto è pronunciare sentenze nelle piazze o nei talk show, un altro è fare un piano concreto e avviare un percorso istituzionale ad altissimo rischio.
Se l’exit è sconsigliabile, l’alternativa è mobilitarsi per cambiare le cose. In questo caso, tuttavia, bisogna fare i conti con i numeri. Per quanto in crescita, è impensabile che gli euroscettici conquistino la maggioranza necessaria per controllare il Parlamento. L’esigenza di stringere eventuali alleanze imporrà un’altra doccia fredda ai bollori sovranisti, moderando ambizioni e pretese. Se non travalica il perimetro della democrazia, il conflitto ha una sorprendente capacità di creare legami, di «fare sistema». La politica democratica è un pendolo che oscilla fra ideali e compromessi, tende all’impossibile ma realizza solo ciò che è di volta in volta fattibile. Stante la diversità di culture, tradizioni, interessi fra i Paesi membri e i loro leader, la Ue si muove lentamente, senza virate improvvise, come una grande corazzata.
Il rimbalzo dell’europa non è però soltanto una questione di capacità di resistenza, di effetto elastico. È probabile che ci sia qualcosa di più. Il mondo intorno a noi è drasticamente cambiato. Vi è una crescente e sempre più preoccupante instabilità economica e politica. La Russia e la Cina sono sempre più agitate, il Medio Oriente continua ad essere una polveriera, Trump minaccia di non difenderci più dal punto di vista militare e di danneggiarci da quello commerciale. La Ue ci appare spesso troppo austera, intrusiva, puntigliosa. Troppo economica e poco sociale. Ma resta una corazzata, mentre da solo ciascun Paese membro — persino la potente Germania — non sarebbe che una imbelle fregata, in balia delle onde.
Insomma, più che arrendersi al fatto che «lasciarsi non è possibile», molti europei e soprattutto i loro leader si sono convinti che, tutto sommato, restare insieme è anche desiderabile. Sarebbe bello se qualche leader fosse in grado di infondere un po’ di valore a questo desiderio, ora un po’ troppo utilitarista. Macron ci sta provando, ma ha problemi in casa propria e non può fare tutto da solo. A giudicare dalle prime uscite, i famosi Spitzenkandidaten (candidati di punta di ciascun gruppo politico, e anche aspiranti al ruolo di presidente della Commissione) non sembrano capaci di trasmettere visioni, di scaldare i cuori. A meno di qualche improbabile colpo di reni, la maggioranza degli elettori voterà senza entusiasmo.
Quello che conta è che si confermi la volontà di restare uniti. Magari in modo un po’ meschino e sicuramente senza «amore». Ma con la consapevolezza che la Ue è diventata nei fatti la «comunità di destino» di tutti gli europei. Lo è diventata in senso prosaico e realista, non patriottico. Ma per ora va bene così. A ravvivare la passione ci penseranno i nostri figli e, se non loro, i nostri nipoti.
Reddito di cittadinanza: 130mila rinunce, troppi controlli - IlGiornale.it
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