Odio la nebbia !!!
Con ogni mese di blocco aggiuntivo si perde circa il 2-3% in più del PIL annuale, per quanto siano valutazioni estremamente difficili da fare con precisione.
Questo si porta dietro 20-30 miliardi di maggior deficit e debito pubblico che si vanno ad aggiungere a quello già acquisito in precedenza.
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Ultima modifica di snowaholic; 11/04/2020 alle 12:57
Per cambiare le dinamiche, occorre che gli italiani abbandonino la versione su scala nazionale del vittimismo neoborbonico e la smettano,tanto per cominciare, di dare la colpa alla moneta delle loro debolezze strutturali. Poi magari capire che chiedere soldi senza condizioni e dall'alto della credibilità che dà il non essere riusciti a ridurre il proprio debito pubblico negli anni in cui la crescita mondiale lo avrebbe permesso(a voler tacere delle idee balorde che siamo stati capaci di mettere in campo negli ultimi anni, dagli 80 euro al reddito di nullafacenza a quota 100) con sacrifici contenuti è roba da asilo Mariuccia..ancor più se si minaccia di uscire dal mondo intero per ripicca.
Io infatti mi chiedo come mai ci tengano ancora in UE e nell'euro, e, leggendo i commenti ai giornali tedeschi, comincio a pensare che non sia perché ci stimano... Quando, infatti, qualcuno, nei suddetti commenti, dice qualcosa di poco carino nei confronti dell'Italia, viene in genere stigmatizzato dagli altri tedeschi, questo sì, ma le argomentazioni che portano non sono quasi mai di stima nei nostri confronti: infatti, o ci difendono dicendo che siamo simpatici, colorati, che cantiamo e balliamo ecc., e non è che sia propriamente un complimento; oppure il commento negativo viene stigmatizzato dicendo che la cosa è razzista, che "noi tedeschi dobbiamo farci perdonare il nazismo", ecc. Altri non stigmatizzano ma dicono che lasciarci ai nostri problemi sarebbe peggio perché poi la Germania sarebbe invasa da immigrati italiani.
Ricapitolando, credo che ci tengano essenzialmente per tre motivi: per pietà, per il terrore di essere tacciati di razzismo e nazismo, oppure per la paura che poi ci trasferiamo tutti lì.![]()
Intanto far come suggeriscono questi due (Daveri è il mio personale Seminerio, assieme a Benedetto Gui ed alla Castagnoli, @snowaholic) mai?
UTILIZZARE I CORONABOND PER LE RICERCHE SUL VACCINO
Contro la pandemia L’europa potrebbe vincere questa fondamentale battaglia tecnologica e sociale
Corriere della Sera 9 Apr 2020
di Francesco Daveri e Gianmario Verona
«P rovvedimenti per la riforma delle Amministrazioni dello Stato, la semplificazione dei servizi e la riduzione del personale». Sono passati novantanove anni dal giugno 1921 in cui l’allora ministro del tesoro Ivanoe Bonomi presentò un suo progetto per cambiare la burocrazia italiana. Novantanove. Eppure lo stesso titolo di quella lontana legge pare scritto ieri mattina. Non perché fosse spericolatamente futurista allora: perché è stravecchio il linguaggio burocratico di oggi.
La bozza del «Decretolegge recante disposizioni urgenti per il sostegno alla liquidità delle imprese e all’esportazione» dice tutto. Le migliori intenzioni, le più generose aperture, i più volenterosi obiettivi, rischiano infatti di impantanarsi in un testo che si srotola per cento pagine in 37.157 parole. Il quadruplo di quelle usate dai padri costituenti per la nostra Carta. Sinceramente: tutte parole indispensabili?
Un metro più in là del confine, in Svizzera, il modulo che un imprenditore deve riempire per avere un prestito pari a un decimo del fatturato 2019 a interessi zero fino a 500.000 euro, credito da restituire entro cinque anni, consiste in una pagina. Una.
ABruxelles è andata a finire come in altre occasioni. L’ennesimo incontro tra ministri finanziari, sedici ore di negoziati, un altro nulla di fatto. I tedeschi e gli europei del nord non vogliono sentire parlare di coronabond. Hanno paura che i fondi allocati dall’europa per uno scopo condiviso come la lotta contro una pandemia siano usati diversamente. Temono che i soldi raccolti con l’emissione di titoli europei si trasformino in una troppo ampia condivisione di una passività, cioè dell’obbligo di rimborsare il debito sovrano dei Paesi mediterranei, soprattutto dell’italia che a fine gennaio 2020 di debito pubblico aveva già accumulato 2.443 miliardi (il 135 per cento circa del suo Pil e il 18 per cento del Pil dell’area euro). Eppure proprio in queste settimane è evidente che servono tante risorse pubbliche per far fronte all’emergenza sanitaria ed economica che avanza drammaticamente non solo in Italia, Spagna e Francia, ma in tutti i Paesi Ue, oltre che nel mondo. Così come è altrettanto evidente che reperire queste risorse solo nei bilanci pubblici nazionali farebbe salire troppo i debiti pubblici.
Un modo di uscire dall’impasse sarebbe quello di spiegare bene a cosa potrebbe servire almeno una parte dei fondi raccolti con l’emissione di titoli europei. Con un obiettivo ben specificato, infatti, il rischio di distorsione nell’utilizzo dei fondi sarebbe ampiamente ridotto così come le resistenze dell’europa centro-settentrionale. E tra i vari obiettivi possibili ce n’è uno che deriva da un’urgenza chiaramente identificabile, che richiede cooperazione e che viene prima di tutto il resto. Si tratta della necessità di trovare un vaccino contro questa e altre pandemie future e — nell’attesa — di farmaci che, come avvenuto ad esempio nel caso dell’hiv, almeno rallentino il decorso della malattia, allungando la vita dei malati gravi. Ci vorrebbe un’iniziativa del G20, ma intanto si potrebbe partire dall’europa. L’europa che ha perso la battaglia del digitale potrebbe vincere questa improvvisa e fondamentale battaglia tecnologica e sociale.
Tutto però dipende dal «come», dalla modalità di realizzazione del progetto. Non sarà un mega laboratorio di scienziati concentrati a Bruxelles o Francoforte a scoprire il vaccino, ma piuttosto una o più società farmaceutiche o centri di ricerca che condividano costi e risultati dell’attività di ricerca. Non c’è più il mondo dei grandi laboratori di ricerca e sviluppo nelle grandi aziende che fino a pochi anni fa operavano in autonomia e custodivano gelosamente brevetti legati alle innovazioni. Con Internet è cominciata l’era dell’open science, cioè la conoscenza ha cominciato a fluire libera tra i computer di tutto il mondo. E con essa si è sviluppata l’open innovation, la pratica aziendale che permette di evitare di dipendere solo dalle proprie competenze, necessariamente limitate rispetto alla crescente complessità dei problemi affrontati, per fare innovazioni anche radicali grazie alla condivisione con terze parti. Proprio di open science e open
Programma
Il doppio risultato sarebbe preservare la salute e dare un supporto credibile alla competitività
innovation c’è bisogno per scoprire e produrre i farmaci, dato che in media si impiegano quindici anni per passare da un’idea di prodotto farmaceutico alla sua commercializzazione, con costi che vanno alle stelle per varie ragioni. Ci sono farmaci per ogni malattia, ma molti di essi non sono commerciabili per i danni collaterali che le molecole innovative comporterebbero per il corpo umano. E molti farmaci che superano i test preliminari in campo biologico, non superano comunque le fasi del test sull’uomo che richiedono altre complesse validazioni statistiche. E la loro commercializzazione è regolata diversamente da paese a paese anche entro la Ue, proprio per tutelare il bene più prezioso, cioè la salute. È per questo che, se a fine anni Novanta far arrivare un farmaco sugli scaffali costava mediamente mezzo miliardo di dollari, oggi il suo costo è triplicato. In più trovare un vaccino contro il coronavirus è oggettivamente complesso. Come hanno scritto Maurizio Cecconi, Guido Forni e Alberto Mantovani nel Rapporto Covid-19 per l’accademia dei Lincei, «abbiamo una lunga lista di gravi malattie infettive verso le quali i vaccini sono solo parzialmente efficaci e abbiamo una serie di clamorose sconfitte». E ancora: «la Covid-19 è una malattia giovane su cui si sa poco». A questo, insomma, servono la open science and innovation: ad abbattere i costi nella creazione di un vaccino seguendo strategie concettuali e tecnologiche tra loro molto diversificate, come sanno le grandi multinazionali del farmaco i cui laboratori si avvalgono di decine di partner per individuare e realizzare la molecola sperata. Già dal gennaio 2017 è nata la Cepi (Coalition for Epidemic Preparedness and Innovation), un’organizzazione internazionale con sede a Oslo, nata con lo scopo di promuovere lo sviluppo e lo stoccaggio di vaccini contro il rischio di nuove epidemie e ha raccolto fondi dalla Bill & Melinda Gates Foundation, dal Welcome Trust e dai governi di vari Paesi.
Ma ci vuole di più. E l’europa in particolare deve fare di più. Possibile che almeno su questo tema un continente di mezzo miliardo di persone come l’unione Europea, con il 19 per cento della popolazione sopra ai 65 anni, non sia in grado di coagulare il consenso necessario per integrare iniziative esistenti con un programma per la ricerca di frontiera e l’assistenza sanitaria che serve? Possibile che non si veda che un programma di questo tipo produrrebbe il doppio risultato di preservare la salute e di dare un supporto credibile alla competitività delle aziende e degli istituti di ricerca del continente in una filiera di punta come quella delle scienze per la vita in cui storicamente dominano soprattutto grandi multinazionali americane, britanniche, svizzere e asiatiche? Perché è a questo che potrebbero servire i coronabond: non a condividere una passività ma a salvare milioni di vite umane e a rafforzare la competitività dell’industria europea.
Alla fine in questa emergenza ci siamo rimboccati le maniche noi e di conseguenza sono arrivati aiuti.
Mi piacerebbe ce lo ricordassimo più spesso.![]()
Inverno 2016/17
16/1 Fiocchi
Mi metto nei panni di chi sta ai posti di comando, potrebbe arrivare il tempo di prendere decisioni immensamente ancor più difficili di quelle prese da un mese a questa parte. Temo che per il 3 maggio a livello di contagi non saremo ancora sotto la soglia di sicurezza. Penso altresi che oltre a quella data limite sia davvero difficile andare con le restrizioni per svariati motivi socioeconomici. Che si farà?
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Veramente, finora è stato anche relativamente facile, anche le prossime settimane sono corte tra pasquetta e primo maggio.
Vediamo come evolverà..
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