Originariamente Scritto da
burian br
Si discute da mesi sulle modalità con le quali l'infezione viene trasmessa. Ma qualche punto "semi-fermo" per risolvere la questione finalmente pare stia emergendo.
Ieri sera mi è capitato tra le mani questo splendido articolo del (sempre ottimo) Financial Times:
How to avoid the virus as the world reopens | Free to read | Financial Times
E' una sorta di riepilogo su quel che la scienza sa circa le modalità con cui avviene il contagio per Covid, anche se non vengono presi in esame tutti i possibili fattori che potrebbero essere coinvolti.
Il primo punto toccato è la questione "
contagi all'aperto vs contagi al chiuso".
Viene citato uno studio giapponese (
Nishiura et al, 2020) che ha tracciato i contatti di 110 persone con Covid-19 registrando dove il virus potrebbe essere passato dall'infettato alla nuova ignara vittima.
Sono stati divisi così in due gruppi:
- chi ha avuto contatti solo all'aperto (outdoors): 88 casi su 110
- chi ha avuto contatti solo all'interno (indoors): 22 casi su 110
Ebbene: di chi ha avuto contatti all'aperto, solo in 11 su 88 hanno trasmesso l'infezione.
Invece di chi ha avuto contatti al chiuso, ben in 16 su 22 hanno trasmesso l'infezione.
Screenshot_2020-06-11 How to avoid the virus as the world reopens Free to read.png
Possiamo derivarne che
il 12,5% dei contatti all'aperto ha prodotto un contagio,
contro l'abnormemente superiore quota del
73% all'interno di ambienti chiusi.
Al di là del
le percentuali (che
andrebbero depurate dalla quota di asintomatici: alla fine infatti su 110 positivi, solo in 27 hanno trasmesso l'infezione, che sia all'aperto o al chiuso, e non sappiamo quanti degli altri 83 non avrebbero mai trasmesso l'infezione), è possibile affermare che
il rischio di una trasmissione tra le quattro mura è decisamente maggiore che all'aperto.
Circa 6 volte maggiore, nello specifico, stando a questo studio (73:12,5= 5,84 ~ 6).
Per cui, il 59% (16 su 27) delle infezioni secondarie sarebbe accaduto al chiuso benchè solo il 20% abbia interagito con altri in edifici.
Un altro aspetto che conosciamo è che ovviamente
il rischio di infezione aumenta non solo se si è nello stesso ambiente in cui c'è una persona infetta (indipendentemente che questa persona sia, come noi, al chiuso o all'aperto), ma anche
in relazione alla prossimità spaziale e al tempo di esposizione.
La prossimità spaziale è il parametro su cui si fonda il distanziamento sociale: se si è troppo vicini, le droplets cariche di particelle virali possono essere inspirate dalla persona sana, e questa probabilità è inversamente proporzionale alla distanza: più aumenta quest'ultima, più diminuisce la probabilità.
Ma non basta la prossimità spaziale, ma serve anche che il tempo in cui ci si è esposti sia sufficiente.
Si fa l'esempio dei runner o dei ciclisti: se anche un ciclista dovesse essere infetto, e passarti a meno di 1 m di distanza all'aperto, difficilmente ti contagerei (benchè la probabilità non sia zero) perchè le droplets emesse dal ciclista o dal corridore (tra l'altro in dose maggiore perchè il respiro è più profondo e voluminoso) non hanno molto tempo per essere inspirate se la persona sana è in veloce transito.
Il rapporto prossimità spaziale/rischio, e tempo di esposizione/rischio, è ben condensato in questo studio citato dall'articolo (
Shen et al, 2020; integrato con dati da
Danis et al da un cluster sulle Alpi francesi):
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Si vede come il rischio è massimo in casa e nei mezzi pubblici. Il 14% dei contagi sarebbe avvenuto nelle abitazioni, e il 12% nei mezzi pubblici.
La diffusione nei mezzi pubblici di trasporto è in realtà fortemente dipendente e correlato alla presenza sul mezzo di eventuali super-diffusori. Basta che non ci siano infatti perchè (emerge dallo studio) il rischio diventi 1/6! Infatti solo il 2% dei contagi è avvenuto in mezzi pubblici in assenza di super-diffusori, contro il 12%, appunto, nel caso in cui ci fosse un super-diffusore. Argomento, questo del super-diffusore, su cui torneremo a breve.
Alto il rischio nei ristoranti, e nei bar, a ulteriore dimostrazione dell'importanza di assumere misure di controllo.
Il 7-8% dei contagi è avvenuto nei ristoranti, una percentuale quasi 4 volte superiore a quella dei luoghi di lavoro o degli ospedali (in quest'ultimo caso credo sia però per semplice questione di probabilità: è ovvio che il numero di contagiati, in senso assoluto, sia superiore nei bar che non in ospedale, dato che un bar è frequentato da moltissime persone in più che un ospedale!)
Sempre da Shen et al, si è trovato che nei luoghi di lavoro il 50% dei contatti avvenuti si è poi contagiato. Questo in 3 giorni.
Nel bus in 100 minuti di condivisione di spazi se ne sono infettati il 34%!
In un tempio, in 150 minuti di condivisione di spazi, solo il 3% (e solo perchè erano molto ravvicinati al caso primario).
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Ultimo aspetto che tocca il Financial Times: il numero di persone, tra i contagiati, che realmente infettano.
Colpisce che in proposito due studi indipendenti giungano a conclusioni pressocchè sovrapponibili:
l'80% dei contagi è causato da appena il 20% di positivi, e non solo,
ben il 65-70% dei positivi NON contagerebbe nessuno!
Gli studi sono stati condotti sui dati di Hong Kong (studio retrospettivo:
Adam et al) e su 391 positivi e i loro 1236 contatti a Shenzen, Cina (
Qifang et al):
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Davvero notevole.
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