Originariamente Scritto da
burian br
Grazie dello studio!
Gli ho dato una lettura.
Sono rimasto soddisfatto. Hanno anche usato il metodo Rogan and Gladen (mai sentito prima, ma da quanto ho cercato è il corrispondente del metodo statistico usato per omogeneizzare i dati nelle serie storiche meteorologiche; in questo caso si "omogeneizzano" e correggono, tenendo conto della sensibilità e della specificità dei test usati, sempre imperfetti, i dati ottenuti dagli studi di sieroprevalenza) per correggere e leggere con affidabilità i dati grezzi che hanno ricavato.
Un limite forte, da loro stessi indicato, è che lo studio è stato condotto su campioni di sangue da donatori a Manaus e San Paolo, e la fascia per donare sangue in Brasile è quella tra 16 e 64 anni, dunque taglia sia la fascia dei minorenni, sia quella degli anziani.
Hanno provveduto a correggere anche questa discrepanza, ad ogni modo.
Per ricavare la sieroprevalenza, hanno usato un test Abbott per la ricerca IgG e IgM.
Hanno usato
due misure di sensibilità e specificità: la prima fornita dalla ditta (
0,4 S/C:
92,2% sensibilità;
96,7% specificità) e l'altra ricavata dal confronto con la tecnica di immuno-assay della Roche (ad
altissima specificità, intrinseca al test:
99%) per stimare la
sensibilità (risultato da loro ottenuto:
84%).
Prima di esporre i risultati, vorrei sottolineare un aspetto interessante
Immagine
.
Non solo la quota di anticorpi diminuisce nel tempo sempre più, ma anche lo stesso test sierologico vede abbassare la sua sensibilità man mano che passa tempo dall'infezione!
In una coorte di pazienti ospedalizzati (dunque gravi), tra 20 e 33 giorni dal contagio, la sensibilità del test sierologico della Abbott era 91,8% (intervallo di confidenza 95%: 80-96%), suggerendo che l'8% circa dei pazienti gravi NON sviluppa anticorpi rilevabili (qui c'è una sfumatura di significato: non producono anticorpi, o non in dose sufficiente a essere riconosciuta dal test?).
In una coorte di pazienti sintomatici ma con malattia lieve, nello stesso intervallo temporale dal'infezione, la sensibilità scende all'84,5% (intervallo di confidenza 95%: 78,7%-88,9%) indicando come la sieroconversione sia più bassa nei casi lievi.
In campioni raccolti molto tempo dopo dal momento dell'infezione (50-131 giorni) la sensibilità del test diminuiva ulteriormente, fino a solo 80,4% (intervallo di confidenza 95%: 71,8%-86,4%), e ciò in accordo con la diminuzione ulteriore, con il tempo, degli anticorpi.
Questo significa che non è tanto il test a non essere capace di rilevare anticorpi per un suo limite intrinseco, quanto la diminuzione o assenza di anticorpi anche in soggetti che hanno avuto la malattia gravemente a determinare la minore performance del test.
Non solo: valutando come diminuiva la dose di anticorpi, hanno stimato la loro
emivita in 106 giorni (CI 95%: 89-132).
Ciò significa che ogni 106 giorni la quota di anticorpi di un soggetto si dimezza. E se molti partono già da una quota bassa, va da sè che questo è il motivo per cui dopo 100 giorni risultano negativi.
Passando ora ai risultati finali, questa tabella
li riassume, indicando anche gli intervalli temporali da cui i campioni sono stati attinti:
Allegato 538097
Nella sezione in alto, i dati di Manaus.
In quella in basso i dati di San Paolo.
Facendola breve:
- crude prevalence indica il dato crudo, cioè la percentuale di campioni positivi al test sul totale dei campioni
- weighted prevalence è il dato corretto per fasce d'età
- il dato finale filtrato e pulito corrisponde a sensitivity and specificity adjusted data, che costituiscono il corrispondente dei dati omogeneizzati in meteorologia come vi dicevo
- la seroreversion adjusted data corrisponde invece al dato della sieroprevalenza reale, cioè la percentuale di popolazione che si è infettata per davvero.
Può apparire controintuitivo che la "seroreversion adjusted data" sia superiore al dato della "sensitivity and specificity adjusted data", ma in realtà ha senso: come potete vedere, la percentuale di campioni positivi agli anticorpi sta diminuendo fin da Luglio, e questo perchè molti si stanno negativizzando come vi ho spiegato prima.
Di conseguenza, la reale percentuale di persone infettatesi è maggiore, ovviamente, del picco registrato a Giugno.
Sono riportati i dati di sieroprevalenza ottenuti sia con il solo test Abbott (1.4 S/C), sia con l'immunoassay (specificità 99%; 0.4 S/C).
A Manaus emerge una percentuale di popolazione che si è infettata compresa dunque tra il 44 e il 66% (il dato del 44% non tiene conto della falsa negatività e della perdita degli anticorpi con il progredire del tempo).
A San Paolo invece del 22,4%.
Ma soprattutto, considerando tutti i morti sia diagnosticati col tampone, sia con quadro sintomatico riconducibile al Covid,
l'IFR (cioè il vero tasso di mortalità) a Manaus è stato dello 0,28%.
A San Paolo invece dello 0,72%.
Posso dirvi che
la misura è ottima: ho adoperato il mio metodo standard di calcolo della mortalità, che è estremamente alto (lo so da Maggio, ma lo uso come "worst case scenario").
Ebbene, a Manaus sarebbe dello 0,5%. Considerando che appunto è uno scenario estremo,
la stima dello 0,3% è assolutamente realistica.
Il maggior IFR a San Paolo deriva dalla presenza più cospicua di anziani nella popolazione.
Ultima nota: viene detto che a metà Maggio un altro test sierologico era stato condotto a Manaus, ottenendo una sieroprevalenza del 12,5% (quando nello studio, come abbiamo visto, la "crude prevalence" stimata a Maggio era del 40%!).
Loro imputano la differenza al fatto che mentre lo studio è stato eseguito su campioni di sangue (prelevati dunque dalla circolazione principale), il test sierologico di metà Maggio era un test pungi-dito, che prelevava sangue dai capillari dell'ultima falange.
Probabilmente la sensibilità dei test al sangue capillare è dunque inferiore alla sensibilità al sangue profondo, e questo, concludono, dovrebbe far puntare a esaminare campioni di sangue da donatori.
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