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Non tutto il male viene per nuocere, anzi, forse addirittura allevia il
Gli strani effetti neurologici di COVID-19 - Le Scienze
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In quest’articolo si discute del meccanismo con il quale SARS-CoV 2 causa sintomi neurologici (mal di testa, annebbiamento mentale, stanchezza, anosmia, ageusia, artralgia, etc; in termini volgari
si tratta rispettivamente di perdita dell’olfatto, perdita del gusto e dolori articolari), i quali possono persistere anche mesi dopo, e anche senza che ci sia stata un’eccessiva risposta immunitaria.
Si discute della modalità con cui il virus potrebbe attaccare le cellule nervose, se penetrandone all’interno (e con quale recettore, visto che ad esempio le cellule olfattive non possiedono ACE2) o dall’esterno, e se direttamente o indirettamente (per esempio tramite le citochine evocate con la risposta infiammatoria e immunitaria).
Ma molto interessante ho trovato soprattutto la seconda parte dell’articolo, che potrebbe offrire spunti di ricerca sorprendenti per lo studio della terapia del dolore
Sappiamo come il virus causi un’improvvisa scomparsa o attenuazione delle sensazioni gustative e olfattive. Ma lo stesso virus potrebbe attutire anche un’altra sensazione a noi decisamente più sgradevole: il dolore.
È stato osservato infatti che a seguito dell’infezione da Covid si perde anche la chemestesi, ovvero la sensazione di piccante del peperoncino o di fresco della menta che non è mediata dalla papille gustative ma dai nocicettori, cioè i neuroni responsabili della sensibilità del dolore.
In un esperimento condotto sui topi, è stato usato VEGF (fattore di crescita endoteliale noto per stimolare l’angiogenesi in medicina, cioè la creazione di nuovi vasi, ma non entriamo troppo nel dettaglio) che è noto per legarsi a una proteina, la neuropilina 1 (NRP 1) cui è stato dimostrato legarsi anche la proteina Spike del virus. VEGF attiva legandosi a NRP1 la via del dolore.
Ebbene, somministrando contemporaneamente la proteina Spike del virus e VEGF, il dolore scompariva. La causa sarebbe nel legame della proteina Spike a NRP 1, che verrebbe “silenziata”.
In teoria, la proteina Spike potrebbe dunque essere prodotta farmacologicamente come terapia antidolorifica.
Si deve studiare però molto su questo fronte, si è alle primissime armi. E abbiamo visto come a volte una via promettente si rivela poi un fallimento o quasi, con osservazioni molto più basse delle aspettative che ci si era posti.
C’è però una testimonianza interessante, e ve la riporto integralmente dall’articolo:
L’esperienza di un paziente – Rave Pretorius, un quarantanovenne sudafricano – suggerisce che può valere la pena di proseguire questa linea di ricerca. Nel 2011, un incidente stradale ha provocato a Pretorius diverse fratture alle vertebre del collo ed estese lesioni ai nervi periferici. L’uomo dice di provare costantemente un bruciante dolore alle gambe che lo sveglia tutte le notti, verso le tre o le quattro del mattino. "La sensazione è che ci sia qualcuno che mi versa continuamente dell’acqua bollente sulle gambe", dice.
Ma quando, in luglio, è stato contagiato da COVID-19 nella fabbrica in cui lavora, c’è stato un drastico cambiamento: "È stato stranissimo. Quando stavo male per COVID-19, il dolore era sopportabile. In certi momenti sembrava che fosse sparito. Non riuscivo a crederci", dice. Per la prima volta dall’incidente, Pretorius è riuscito a dormire per un'intera notte. "Vivevo meglio quando ero malato, perché il dolore non c’era più", malgrado il senso di stanchezza e i mal di testa debilitanti. Ora che è guarito da COVID-19, il dolore neuropatico è tornato.
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