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verza81
Ristoranti, palestre, chiese: i luoghi a maggior rischio contagio secondo uno studio Usa
Ristoranti, palestre, chiese, caffè e alberghi. Sono i luoghi in cui è più facile contagiarsi secondo una ricostruzione fatta in dieci metropoli americane. Ridurre la capienza di questi locali al 20-30% del normale abbasserebbe il rischio dell’80%, secondo una ricerca di Stanford e Northwestern University. Lo studio pubblicato su Nature cerca di rispondere a una delle domande più pressanti della pandemia: dove ci si contagia di più e dove è più alto il rischio di incontrare quel nemico invisibile che è il virus?© Fornito da La RepubblicaLa ricerca americana ha la peculiarità di aver usato i dati dei cellulari per ricostruire gli spostamenti di quasi 100mila persone (rese anonime) a marzo e aprile. Tragitti, luoghi visitati, contatti con altri individui sono stati messi su una mappa e usati per costruire un modello delle relazioni fra gli abitanti di una grande città. Allo stesso modello è stato poi chiesto, con successo, di prevedere la trasmissione del virus. A quel punto è bastato ordinare al computer di chiudere (virtualmente) varie attività. A ogni serranda abbassata corrispondeva un determinato calo dei contagi. La riduzione più marcata è avvenuta per i ristoranti: 600mila in un mese solo a Chicago, una metropoli da 3 milioni di abitanti. Le palestre chiuse – il secondo luogo più a rischio - sono in grado di risparmiare 149mila casi, un quarto rispetto ai ristoranti.L’avevamo intuito, ma i quartieri poveri delle grandi città sono più pericolosi di quelli affluenti. I dati dei cellulari confermano che in quelle aree è più difficile permettersi il telelavoro e i negozi sono più affollati. Un supermercato ha il 59% di clienti in più per metro quadro in un’ora e la permanenza è del 17% più lunga. Il rischio di contagiarsi è due volte più alto rispetto a un supermercato di un’area benestante.Galleria: "Lockdown" è la parola dell'anno per il dizionario Collins (Rai News)"Racchiude l'esperienza condivisa da miliardi di persone". Per questo motivo i lessicografi del dizionario della lingua inglese Collins hanno scelto "lockdown" come parola dell'anno 2020. "Il lockdown ha influenzato il modo in cui lavoriamo, studiamo, facciamo acquisti e socializziamo" ha detto Helen Newstead, consulente linguistico, "con molti paesi che entrano in un secondo lockdown, non è una parola dell'anno da celebrare ma, forse, è quella che riassume l'anno per la maggior parte del mondo". Il Collins, che definisce "lockdown" come "l'imposizione di severe restrizioni sui viaggi, interazione sociale e accesso agli spazi pubblici", ha registrato più di 250 milioni di utilizzi del termine quest'anno, contro i soli 4.000 del 2019. A causa del modo in cui la pandemia ha influenzato l'uso quotidiano della lingua, ben sei delle 10 parole dell'anno dell'edizione 2020 Collins sono legate alla crisi sanitaria globale. Come "Coronavirus", "furlough" (congedo non retribuito), "key worker" (lavoratore essenziale), "self-isolate" (auto-isolarsi), "social distancing" (distanziamento sociale). Il solo "lavoratore essenziale" ha visto un aumento di 60 volte nell'utilizzo, riflettendo l'importanza attribuita quest'anno alle professioni considerate essenziali per la società. Secondo il dizionario, il coronavirus è: "Uno qualsiasi di un gruppo di virus contenenti RNA che possono causare malattie infettive delle vie respiratorie, incluso COVID-19". Le altre parole tra le dieci più usate del 2020 riflettono le turbolenze sociali e politiche di quest'anno. Ad esempio c'è "BLM", acronimo del movimento Usa contro la discriminazione razziale e le violenze della polizia Black Lives Matter, spesso utilizzata come hashtag sui social media, il cui uso è quintuplicato. Poi c'è "Megxit", il termine mutuato da Brexit per descrivere l'abbandono da parte di Harry e Meghan del loro lavoro di reali britannici. Ci sono infine i social, con "TikToker", utente della piattaforma TikTok e "mukbang", un termine nato in Corea del Sud che descrive chi posta video di se stesso mentre ingoia grandi quantità di cibo.Anche se lo studio americano è basato su dati in parte virtuali, non tiene conto dei contagi che avvengono in casa e sono rari i casi in cui una catena di contagio riesce a essere ricostruita con precisione nel mondo reale, le conclusioni di Nature confermano i sospetti: il coronavirus si trasmette in luoghi chiusi, dove si resta per tempi lunghi e non sempre si usa la mascherina, anche quando vengono mantenute le distanze.Secondo un ricercatore dell’università di Warwick, Thiemo Fetzer, autore di un rapporto pubblicato a ottobre, la decisione inglese di pagare una parte del conto ai cittadini che mangiavano al ristorante nel mese di agosto sarebbe colpevole di un aumento fra l’8 e il 17% delle infezioni. Un’altra ricerca americana, pubblicata a settembre sul sito dei Centers for Disease Control, aveva ricostruito che i contagiati negli Usa avevano il doppio delle probabilità di aver mangiato recentemente in un ristorante o un caffè rispetto ai non contagiati.Così come si è visto che l’80% dei contagi nasce solo dal 19% dei positivi, anche i luoghi dove avviene la trasmissione del virus tendono a essere pochi, ma assai rischiosi. “Il nostro modello – scrivono i ricercatori – prevede che una piccola quantità di locali visitati sia responsabile della grande maggioranza delle infezioni. Pensiamo che abbassare la capienza di questi luoghi sia una misura più efficace del ridurre in modo uniforme la mobilità” nell’intera città. A Chicago per esempio (sempre secondo il modello virtuale) il 10% dei locali pubblici è stato sede dell’85% dei contagi.
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