Originariamente Scritto da
Musoita
Cosa dicono oggi i numeri
In data 29 marzo l’incremento nazionale dei casi, con il solito calo che segue il fine settimana a causa del basso numero di test elaborati, è +0,36% (ieri +0,55%) con 3.544.957 contagiati totali, 2.870.614 dimissioni/guarigioni (+19.725) e 108.350 deceduti (+417); 565.993 infezioni in corso (-7.242). Ricoverati con sintomi +462 (29.163); terapie intensive +42 (3.721) con 192 nuovi ingressi del giorno. Elaborati 156.692 tamponi totali (ieri 272.630) di cui 100.180 molecolari (ieri 164.868) e 56.518 test rapidi (ieri 107.762) con 54.751 casi testati (ieri 90.590); 12.916 positivi (target 4.311); rapporto positivi/tamponi totali 8,24% (ieri 7,19% - target 2%); rapporto positivi/casi testati 23,59% (ieri 21,64% - target 3%). Nuovi casi soprattutto in: Emilia Romagna 2.011; Lombardia 1.793; Campania 1.169; Piemonte 1.504; Lazio 1.403; Toscana 1.021; Puglia 786; Veneto 728. In Lombardia curva +0,24% (ieri +0,48%) con 21.137 tamponi totali (ieri 43.334) di cui 17.631 molecolari (ieri 32.224) e 3.506 test rapidi (ieri 11.110) con 5.815 casi testati (ieri 10.650); 1.793 positivi (target 1.000); rapporto positivi/tamponi totali 8,48% (ieri 8,12% - target 2%); rapporto positivi/casi testati 30,83% (ieri 33,05% - target 3%); 728.270 contagiati totali; ricoverati -75 (6.994); terapie intensive +2 (870) con 22 nuovi ingressi del giorno; 30.550 decessi (+88).
Ci risiamo, come se il passato non ci avesse insegnato nulla: anche sulla campagna vaccinale le Regioni avanzano in ordine sparso, interpretando in modi diversi le linee guida e costringendo a verifiche sul campo (e sperabilmente anche interventi di ripristino della normalità) chi deve effettuare il coordinamento a livello nazionale. Da mesi viene sottolineata l’impossibilità di affrontare un’epidemia come quella in corso (virus nuovo, tutta la popolazione potenzialmente esposta) con strategie e interventi disomogenei. I risultati finora ottenuti non sono stati brillanti: l’Italia (fonte Bollettino epidemiologico Oms del 23 marzo 2021) tra i 186 tra Paesi e territori monitorati dall’Organizzazione mondiale della Sanità si trova in decima posizione con 173 decessi per 100.000 abitanti. Tuttavia tra i cosiddetti “grandi Paesi” risale in seconda posizione, preceduta solo da Uk con 185 decessi per 100.000 abitanti. Tra i primi dieci troviamo Repubblica Ceca, Ungheria, Bosnia Erzegovina, Slovenia, Montenegro, San Marino, Gibilterra e Belgio: con una forte concentrazione di Paesi dell’Est Europa e/o di Paesi con un numero di abitanti molto più basso di quello dell’Italia (Belgio incluso, 11 milioni contro i nostri 59).
Se allarghiamo lo sguardo agli altri “grandi”, con 173 decessi per 100.000 abitanti precediamo gli Usa (161) nonostante i molti mesi trascorsi con scarso impegno nelle misure di prevenzione; ancora più indietro Spagna (155), Francia (140) e Germania (89). Utilizzando il criterio dei decessi per 100.000 abitanti, e non i valori assoluti, elimina le differenze legate alla diversa popolazione residente. Peraltro, usando i valori assoluti (dati Oms, dashboard con valori aggregati al 27 marzo 2021) troviamo l’Italia non in decima ma in sesta posizione, preceduta da Usa, Brasile, Messico, India e Uk: tutti con un numero di abitanti superiore a quello del nostro Paese.
La giustificazione del “siamo stati presi alle spalle” è ormai priva di fondamento: perché al termine della prima ondata della scorsa primavera (31 maggio 2020) i decessi nel nostro Paese erano 33.415. Nei mesi successivi, caratterizzati dalla narrazione del “siamo stati bravi”, ne abbiamo aggiunti altri 74.935: quando l’essere sopresi alle spalle era ormai impossibile. Per lunghi periodi la pressione sul sistema sanitario è stata mantenuta al di sopra dei livelli di allerta, sia per i reparti di area medica, sia per quelli di area critica. Non abbiamo volutamente analizzato in precedenza l’andamento della campagna vaccinale perché nelle prime fasi, e con numeri ridotti, molte differenze avrebbero potuto essere del tutto casuali. Ma ora (dati ufficiali Governo italiano, Report vaccini aggiornato alle 6.01 del 29 marzo 2021 e Report settimanale del 26 marzo 2021), con 9.413.886 dosi singole somministrate, 2.968.706 italiani protetti con una doppia dose e altri 3.476.474 che hanno ricevuto almeno la prima dose, i numeri sono abbastanza solidi da permettere confronti attendibili. Ne sintetizziamo qualcuno, ricordando come punto chiave che questa epidemia si esprime con letalità crescente al crescere dell’età dei pazienti, e restando a livelli quasi trascurabili (fonte Iss) al di sotto dei 50 anni. Già la fascia 40-49 esprime una letalità dello 0,1%, all’incirca in linea con l’influenza stagionale, crolla allo 0,05% in quella 30-39 anni e quasi scompare (0,01%) al di sotto di questa età. La strategia vaccinale, alla luce di questi dati, appare quindi obbligata: con la messa in sicurezza in via prioritaria del personale sanitario, delle Forze dell’ordine e dei soggetti che, indipendentemente dall’età, abbiano particolari condizioni di rischio (pazienti immunodepressi, oncologici, cardiopatici, diabetici, disabili e così via). Parallelamente, basandosi sull’evidenza del rischio, l’ordine delle vaccinazioni può essere basato su un solo criterio: l’età. Scopriamo invece che questo non accade: una delle categorie più a rischio, quella 70-79 anni che esprime una letalità del 9,0% da inizio epidemia, con 568.743 inoculazioni viene preceduta da tutte le altre incluse quelle 20-29 anni (630.863), 30-39 anni (912.840) e 40-49 anni (1.229.295). Solo al di sotto dei 19 anni sono state somministrate meno dosi (10.588) ma non ci sono al momento vaccini approvati per uso al di sotto dei 16 anni. Potremmo attribuire questa situazione alla copertura di personale sanitario e forze dell’ordine, che sono ovviamente più giovani in quanto in età lavorativa: ma i dati ufficiali ci dicono che 1.230.912 dosi sono andata a una non precisata categoria “altro” (sarebbe interessante sapere chi ne fa parte); 951.966 al personale scolastico; 483.305 a personale non sanitario. Sempre guardando alla protezione della categoria 70-79 anni, il divario tra le Regioni appare ampio e ingiustificato: le vaccinazioni effettuate con prima dose, sul totale delle popolazione in questa fascia di età, varia dall’1,4% della Puglia al 16,0% della P.A. di Bolzano. Così pure, guardando al totale del personale sanitario, le vaccinazioni con doppia dose vanno da un minimo del 57,9% (Liguria) al 94,7% della P.A. di Bolzano. Nelle ultime settimane, come era logico attendersi, si è invece normalizzato l’utilizzo delle dosi ricevute dalle singole Regioni: le differenze molto evidenti delle prime settimane sono scomparse, e oggi il divario è compreso in una forbice tra il 76,7% (Calabria) e il 94,4% (Provincia autonoma di Bolzano). Affronteremo in dettaglio il tema della campagna vaccinale, oltre all’andamento dell’epidemia, nella prossima analisi settimanale. (M.T.I.)
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