Originariamente Scritto da
barry
@
Musoita
commento Lab24.
si sono accorti delle inconsistenze dei dati indiani. tasso di positività dei tamponi sopra il 20%.
Proviamo oggi a rispondere, in modo sintetico e comprensibile vista la complessità scientifica dell’argomento, alle molte domande ricevute sulle varianti del Sars-CoV-2 e in particolare su quella indiana. L’Oms cataloga le varianti in due categorie distinte: Voc (Variants of concern) e Voi (Variants of interest). Come si evince dai nomi le prime destano preoccupazione; le seconde, almeno per il momento, solo “interesse”. In altri termini, meritano di essere studiate in modo approfondito per capire quale direzione possano prendere nel futuro. Per ora nel primo gruppo troviamo solo 3 varianti: inglese, sudafricana e brasiliana. Nel secondo gruppo, oltre a quella indiana, ne troviamo altre 6: rilevate per la prima volta in Uk e Nigeria; Usa; Brasile; Filippine e Giappone; di nuovo Usa (un secondo tipo) e Francia. Quella indiana è l’ultima in ordine di tempo, ed è arrivata agli onori della cronaca soprattutto per i valori assoluti che ha saputo generare: fino a 400.000 casi in un solo giorno. Abbiamo visto, tuttavia, come questi numeri debbano essere rapportati a un Paese con 1,4 miliardi di abitanti; e che, visti in quest’ottica, non sono molto diversi da quelli espressi oggi nei principali Stati europei. Ci sono però due aspetti importanti da considerare a proposito della variante indiana: ogni giorno vengono eseguiti (dati dell’ultima settimana) da 1,5 a 1,9 milioni di test, dato che ci restituisce un’altissima percentuale positivi/tamponi (tra il 20 e il 26% circa). Con questi valori, come abbiamo visto in passato nei Paesi occidentali a partire dall’Italia, è probabile che il numero dei contagiati reali sia 4-5 volte superiore, con una vastissima platea di asintomatici. Secondo aspetto: l’età mediana della popolazione indiana è di soli 25 anni, e dimostra come questa variante del Sars-CoV-2 sia in grado di diffondersi rapidamente in una popolazione molto giovane. Un po’ come quella che, vaccinando in prima battuta gli anziani, stiamo in qualche modo selezionando nei Paesi occidentali (non ci sono alternative possibili nel contrastare una malattia dove il rischio di morte è direttamente correlato all’aumento dell’età). Per questi motivi la variante indiana deve essere studiata in modo approfondito: per comprenderne meglio le caratteristiche inclusa la capacità (o meno) di eludere la risposta immunitaria delle persone vaccinate, oppure guarite dopo aver contratto la malattia con una variante differente. Per capire quanto sia complessa la situazione in India non bisogna poi trascurare altri due elementi: 1) Sul territorio stanno circolando contemporaneamente anche le due varianti inglese e sudafricana, con prevalenze diverse su base territoriale: il che rende più difficile capire di quanto sia incrementata la capacità diffusionale del virus. 2) A spingere il contagio hanno sicuramente contribuito gli incoraggiamenti a riprendere le manifestazioni religiose, caratterizzate da assembramenti oceanici (come la festa di Holi di fine marzo, da noi più nota come festa dei colori); oppure le tornate elettorali, a cavallo tra marzo e aprile, in 5 diversi Stati. Chiudiamo con una considerazione più generale, che per ora resta solo una pura ipotesi di scuola: osservando dove si localizzano le mutazioni del Sars-CoV-2 si nota una certa predilezione per alcuni punti precisi della proteina Spike. Non essendo questi punti composti da elementi “infiniti”, anzi esattamente il contrario, potremmo assistere a una crescente difficoltà del virus a produrre nuove mutazioni e, di conseguenza, varianti. Ma per ora, lo ripetiamo, è solo un’ipotesi basata sulla mera osservazione delle localizzazioni più ricorrenti delle mutazioni. (M.T.I.)
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