Chiaro che dove il lavoro non permette, si deve andare in presenza. E poi scusa i bambini di 1 o 4 anni, se fossi stato in azienda, con chi sarebbero stati? È anche vero che chi ha una casa piccola e non può ritagliarsi uno spazio per il lavoro, la questione dello Smart working è più complessa.
Ma credo che il discorso fosse incentrato sulla mentalità medievale in genere delle aziende italiane. Io sono un informatico, andare in ufficio o stare a casa per me non cambia nulla, se l’azienda mi fornisce tutti gli strumenti per lavorare. Posso stare anche in spiaggia o alle Maldive, il risultato sarebbe lo stesso, al netto della socialità tanto evocata da tutti. Mi dite cosa cambia stare in ufficio con 1 o 2 colleghi in stanza per 8 ore e stare a casa dove non sei legato dagli orari rigidi, puoi organizzarti il lavoro e pianificare la giornata, andando in palestra, a sbrigare faccende e tanto altro, che stando in ufficio non potresti fare?? Anzi organizzandomi la giornata la mia “socialità” è anche migliorata rispetto alla vita d’ufficio: faccio attività all’aperto prima del lavoro o dopo, colazione al bar con gli amici, i bambini sono contenti che il papà sia a casa molto più partecipe alla vita familiare, e al lavoro la produttività è addirittura aumentata. Si deve lavorare per obiettivi, ed è questo che la società italiana non vuole capire, come se tenere un lavativo in ufficio per 8 ore cambi qualcosa: starà 8 ore su Facebook, al bar, al bagno e in giro a non fare nulla, esattamente come non farebbe nulla stando a casa.
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Ultima modifica di scoutman; 27/01/2022 alle 08:13
Che poi continuo a non capire perché un no vax che non crede nella scienza, poi debba andare in ospedale a farsi curare e togliere un posto a gente veramente bisognosa. Devono spingere soprattutto per l’obbligo di cure a pagamento in strutture convenzionate per tutti i soggetti che non si sono vaccinati senza un motivo valido, per non far confluirli poi negli ospedali, come successo per questi deficienti, e negare le cure a tanta gente bisognosa. Sei un novax? Ingresso vietato in ospedale e Ambulanza diretta in una struttura a pagamento o altrimenti rispediti a casa con le cure fai da te trovate su internet.
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Se i giovani sapessero, se i vecchi potessero!!!
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Fra l'altro, se risaliamo così indietro nel tempo - al secolo scorso se parliamo di nonni, quindi con Italia già unita ma con quadri socio-economici e culturali molto diversi da oggi - oltre alle differenze geografiche sicuramente incisive, comprese quelle di contesti locali quali città vs. valli o vs. campagne, occorre tenere conto della differenza di genere, che ha pesato molto almeno sino alla seconda guerra mondiale.
Ricordo ancora quando ero bambina, la zia di mia mamma - cittadina peraltro, impiegata alle poste quindi emancipata - tentare di dami le sue "pillole di educazione", spiegando che mio fratello in quanto maschio avrebbe avuto "gli amici e l'esperienza"... sottinteso che io invece aspettavo a casa che qualcuno venisse a sposarmi. Valutazione di una collega anziana di mia mamma, insegnante, su di me: "il primo che conosce lo sposa, non andrà in giro perché si vede che è una brava ragazza". Questa la mentalità delle generazioni a cavallo del secolo, insomma, ormai fossilizzata anche dopo il boom economico.
Ecco, almeno per la fascia femminile, la "socialità" era moooolto diversa, un tempo...
Grazie per aver ripreso l'argomento e per le specificazioni tecniche. Non avevo pensato al fattore psicologico che, sì, in effetti pesa eccome! certo che se dopo un intervento di tale importanza e sbattimento da parte di un'equipe numerosa di specialisti, il paziente improvvisamente si sveglia e decide di togliersi i tubicini delle flebo perché secondo lui il medicinale è sbagliato...
cioè, veramente, o lo abbatti dopo
con gran spreco di risorse, o lo selezioni naturalmente prima
Queste le risposte che Dzeko ha dato in una intervista presente oggi sulle pagine del Corriere (Dzeko, Inter: «La felicità non è un gol. Da bambino vivevamo in 15 in 40 metri quadri. Inzaghi un maestro»- Corriere.it)
Lei è cresciuto in Bosnia, durante la guerra degli anni 90. Che infanzia ha avuto?
«Non facile. Quando la guerra è iniziata avevo 5 anni. I miei rischiavano la vita per andare a lavorare in fabbrica e portare il cibo in tavola».
Stavate a Sarajevo?
«All’inizio sì, poi era troppo rischioso, ci siamo spostati fuori città, dai nonni: in 15 in un appartamento di 40 metri. C’erano tanti bambini, i miei cugini: eravamo contenti anche se fuori era un disastro».
Durante i bombardamenti ha avuto paura di morire?
«Quando suonavano le sirene, ci portavano in cantina e non si sapeva se uscivamo dopo un’ora o un giorno. Lì avevo paura. Per fortuna i bambini dimenticano in fretta».
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