la domanda è: le hanno ridotte davvero?
non è che magari (è la quarta volta che scrivo 'sta cosa) importando prodotti cinesi (o cambogiani, o vietenamiti, o del Bangldesh, dove sfruttano anche il lavoro minorile) e mangiando bistecche sudamericane spiana-foreste la riduzione è solo una pia illusione (e cmq largamente insufficiente)?
Si, sappiamo anche come le hanno ridotte, principalmente eliminando il carbone dalla produzione di energia elettrica e dai processi industriali, sostituito da gas naturale e rinnovabili.
Analysis: Why the UK’s CO2 emissions have fallen 38% since 1990 | Carbon Brief
Adesso stanno cercando di intervenire con più decisione anche sugli altri settori, decarbonizzare tutta l'economia richiede una molteplicità di interventi.
Se prendi i dati dell'impronta ecologica che incorporano le emissioni prodotte dalle importazioni il calo è del 35% rispetto al picco del 2007 e del 20% rispetto al 1990. Visto che ti interessa tanto la carne le isole britanniche importano pochissimo dal Paesi non EU, hanno una grossa produzione locale ed esportano molto verso il resto d'Europa.
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grazie
non è che la carne mi interessi sopra ogni cosa, era solo l'esempio più banale che mi è venuto alla mente per collegare i "nostri" consumi (non necessariamente quelli inglesi) al fenomeno drammatico della deforestazione.
Non ho dubbi che l'Europa sia sulla strada giusta per ridurre le emissioni carboniche. Certo eliminando il carbone (non dimentichiamo la Germania, apparentemente virtuosa, quanto carbonaccio consuma ancora) si fa presto a fare balzi significativi nella decarbonizzazione ... la parte più difficile viene dopo, per questo è imperativo uscire dalle dinamiche disumane del consumismo e dalla trappola della crescita.
"Per oltre mezzo secolo, la crescita della ricchezza a livello mondiale ha fatto aumentare il consumo di risorse e le emissioni inquinanti molto più velocemente di quanto i miglioramenti tecnologici siano stati in grado di ridurre entrambi. I cittadini benestanti del mondo sono responsabili della maggior parte degli impatti ambientali e sono essenziali in qualsiasi futura prospettiva di rientro all’interno di condizioni ecologiche più sicure.(…) La transizione verso la sostenibilità potrà realizzarsi solo se gli avanzamenti tecnologici saranno accompagnati da profondi cambiamenti dello stile di vita. (…).” (Wiedmann et al.: Scientists’ warning on affluence. Nature communications 11 (2020)
grazie ancora per il tuo contributo alla discussione
Ultima modifica di ldanieli; 14/12/2020 alle 12:55
Fai bene ad evidenziare questo aspetto, come vedi tra le misure delle emissioni che includono le importazioni e quelle che non lo fanno c'è una differenza non piccola (per questo l'impronta ecologica è un indicatore più corretto). Il lato positivo tuttavia è che se la Cina e gli altri Paesi in via di sviluppo cominciassero a ripulire i loro processi industriali e di produzione di energia elettrica (cosa che stanno cominciando a fare, specie in Cina) anche la nostra impronta ecologica scenderebbe di conseguenza.
È vero che le riduzioni fatte finora sono quelle più semplici, ma è anche vero che le tecnologie più promettenti non sono state ancora impiegate in maniera massiccia. Passare dal carbone al gas naturale non è un cambio fondamentale di paradigma, l'impatto della combinazione di rinnovabili più elettrificazione dei trasporti è di un ordine di grandezza maggiore.
Altre tecnologie, ad esempio in ambito edilizio, che sono in fase sperimentale, potrebbero azzerare o anche rendere ad emissioni negative processi molto impattanti come la produzione di cemento.
La strada non è semplice ma sono molto più ottimista di qualche anno fa.
L'articolo che citi è piuttosto pessimista ma non credo sia molto rappresentativo della comunità scientifica. Per quanto abbiano molti spunti interessanti è forzato il modo in cui liquidano le riduzioni di emissioni dei Paesi industrializzati come non facilmente replicabili e anche il modo in cui abbracciano teorie economiche non ortodosse in maniera acritica, liquidando in due righe l'approccio della crescita sostenibile con la sua enorme mole di letteratura scientifica come insufficiente.
Ben vengano gli approcci alternativi all'organizzazione delle attività economiche ma il confine tra scienza è attivismo politico ad un certo punto diventa molto labile e gli approcci ideologici ai problemi economici sono un grosso rischio.
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Ultima modifica di snowaholic; 15/12/2020 alle 12:14
Certamente, però non definirei BAU chi comunque propone di azzerare le emissioni entro pochi decenni.
Però frasi come "Estimates of the needed reduction of resource and energy use in affluent countries, resulting in a concomitant decrease in GDP of similar magnitude, range from 40 to 90%" sono sparare numeri a caso, non si può passare dalle risorse al PIL il quel modo. È un discorso che non ha proprio senso rispetto al concetto stesso di PIL, fatto evidentemente da persone che non hanno molto chiaro come venga effettuato il calcolo di questo indicatore. Purtroppo la statistica economica è un esame opzionale anche nella maggior parte dei corsi di economia, ci sono un sacco di economisti che non conoscono i metodi di stima, figurarsi chi viene da altre discipline.
In generale quando trovo questo approccio teorico tipicamente neo-marxista è sempre accompagnato da un livello inaccettabile di astrazione e approssimazione, mentre trovo molto più interessante e costruttiva l'analisi dettagliata dei processi produttivi e degli strumenti che possono andare concretamente a ridurre il loro impatto ambientale. Sarà anche una deformazione professionale, ma una quantificazione accurata è imprescindibile in questi ambiti.
ormai perfino in confindustria hanno capito che bisogna uscire dalla trappola della crescita e degli iperconsumi ... (Ratti è una storica tessitura comasca)
Ottimo: spieghi anche come pensa di sostenere tutti quelli che campano oggi...
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