Per il Veneto non è solo questione di "regionalismo", ma pesa invece il dato storico.
La Serenissima è già un Ducato a sé stante - dipendente dall'Esarcato - a fine VII secolo, e nel X secolo è ormai una solida realtà economica e politica, che si autogoverna. Da lì in poi si sviluppa come stato, espandendo e poi mantenendo i propri domini nella Terraferma e nel Mediterraneo sino almeno al XVI secolo. La sua presenza al tavolo delle grandi potenze europee arriva sino all'epoca napoleonica, fine XVIII.
Sono almeno mille anni di storia con la coscienza di Stato, con una propria cultura e lingua. Questo va un bel po' po' più in là del "regionalismo", e fa sì che sino all'altro ieri - sino a prima intendo dire delle rivendicazioni di autonomie sparse che hanno attraversato la politica italiana degli ultimi quarant'anni - anche le classi dirigenti veneziane non si scomponessero a parlare nella loro lingua.
Mia nonna che si era trapiantata nella "Terraferma" italiana, confrontandosi con il mondo esterno percepiva il veneziano come un dialetto, e quindi me lo vietava, ma suo fratello, laureato in economia negli anni '20 (quando a laurearsi lì erano una ventina all'anno...), dirigente di non ricordo quale banca di allora, residente drio de l'Arsenal , non ricordo di averlo mai sentito parlare in italiano.
Una lingua locale muore o quando non esistono più i parlanti - quello che sta accadendo ad esempio a Milano - oppure quando i parlanti non la usano più, perché essa è divenuta manifestazione di una realtà periferica. Venezia non è "periferica" nemmeno oggi, e quindi i suoi abitanti non hanno problemi non solo a esprimersi nella loro lingua locale, ma neppure a trasferirla a chi si inserisce nel loro tessuto sociale. Ho sentito ancora nelle calli ragazzini delle origini più varie, ma nativi locali, parlare veneziano... e fa abbastanza impressione a volte a sentirli...ricordo i due fratellini con gli occhietti a mandorla adottati dalla vicina di casa, che a sette anni si mandavano allegramente "in mona" fra loro...
Qui ancora è diffuso il dialetto e soprattutto la cadenza. Quando si parla con gli anziani (over 50) è uso parlarlo per facilitare la conversazione (dialetto più "intenso" o.... "Shpappato" ). Con amici diciamo si parla una via di mezzo con qualche intercalare più dialettale se bisogna rafforzare un concetto.
Parlo Maceratese ma già 20 km o da paese a paese si sente la differenza: es. a Treia/Appignano l'oliva viene detta la "Gìa", da me la G è dolce... la Jia. Sulla costa si usa più la O: il porto è detto Lo porto... nell'entroterra si adotta la U (lu portu).
Io noto uno spartiacque costituito da Macerata verso Nord e Macerata verso Sud (infatti da me a Corridonia si parla molto più simile al Fermano che alla zona di Appignano/Treia che è più vicina. L'Ascolano invece è un'altra lingua, a me sembrano napoletani. Invece il dialetto Anconetano è pure diverso ma almeno riesco a capirli e mi sta simpatico. Più a nord non mi spingo, probabilmente è più simile l'umbro al mio dialetto rispetto a Pesaresi ed Ascolani.
Parlavo in genovese (variante melese-voltrese, che foneticamente è un po' diversa dal genovese urbano, ad esempio cade la "v" in inizio di parola e apriamo quasi tutti i dittonghi) coi miei nonni paterni. A volte mi capita di pensare in "dialetto", soprattutto quando guido... Capisco bene il masonese-campese e i dialetti orbaschi (che sono dialetti liguri d'Oltregiogo con una certa "interferenza" del piemontese orientale), capisco altrettanto bene i dialetti ingauni (che comunque non sono troppo lontani dal genovese) e quelli intemeli. Capisco discretamente anche il roiasco (Olivetta, Briga, Tenda) gli altri dialetti liguri alpini (Garessio, Priola), i dialetti della Val Bormida ligure (anche quelli più "piemontesizzati" come quello di Dego) e quelli delle zone confinanti del Piemonte (es. il dialetto "langhese" di Mombarcaro o quello di Ceva) e in generale riesco a seguire una conversazione in piemontese. Ho molte più difficoltà con il lombardo orientale (bergamasco-bresciano-cremasco-cremonese) e con i dialetti emiliani, nel senso che "perdo molti pezzi"...
Ultima modifica di galinsog@; 19/11/2022 alle 10:50
Io a casa mia parlo in dialetto della Bassa Atesina in Alto Adige avamposto nord della lingua italica. E' un mix tra dialetto trentino e dialetto tedesco sudtirolese.
Capisco bene tutti i dialetti del nord Italia fino alla Lunigiana in toscana. più scendo nello stivale e meno capisco.
Parecchio adattate, se ad esempio guardi le commedie genovesi di Gilberto Govi e della sua compagnia (registrate dalla RAI a fine anni '50) ti accorgi di come Govi ripetesse spesso in italiano il contenuto dei dialoghi principali e delle battute salienti di ogni scena. Tra l'altro il genovese cittadino si era parecchio italianizzato già prima degli anni '50, ci fu anche una tendenza letteraria (es. Remigio Zena) volta ad introdurre vocaboli italiani leggermente modificati dal punto di vista fonetico per renderli più comprensibili ai lettori "foresti", questa tendenza poi è passata nel genovese parlato, sopratutto in quello cittadino, per cui tra gli anziani senti sempre più spesso dire "fiure" in luogo di "sciua" (che tra l'altro è femminile), "pransà" (in luogo di "dirnà"), "traslocà" al posto di "desbarassà", "piattu" al posto di "tundu". Senza considerare che in alcuni testi di fine '800/inizio '900 si trovano ancora parole arcaiche dimenticate di lì a un paio di decenni, mi viene in mente la famosa canzone "Ma se ghe pensu" nella cui ultima strofa viene utilizzato, forse per l'ultima volta in un testo con pretese letterarie, la parola "Madunà", mentre già la generazione nata negli anni '30 e '40 del secolo scorso utilizzava "nonna" e "nonno" al posto di "madunà" e "messià" (nelle campagne si utilizzavano anche "muae-grande" e "puae-grande", similmente ai francesi "grand-mère" e "grand-père")...
Ultima modifica di galinsog@; 19/11/2022 alle 10:56
Nelle Marche poi convivono ben 3 gruppi linguistici diversi, i dialetti gallo italici, i dialetti centrali e meridionali senza contare le zone di transizione dove si fondono i diversi gruppi. Ho conosciuto diverse persone marchigiane da posti diversi e la differenza è abissale.
Ultima modifica di frankie986; 18/11/2022 alle 13:14
Parlo quasi esclusivamente italiano, con accento abbastanza standard (in generale i brindisini hanno un accento meno marcato dei restanti salentini, e lontano anni luce da quello barese o napoletano, anche se si avverte, per cui basta poco per renderlo vicino a quello italiano), e ogni tanto ci inserisco qualche termine dialettale se mi scappa.
Da piccolo i miei genitori mi hanno sempre detto di parlare italiano, non era una costrizione, semplicemente era la lingua "colta" e quindi mi sono abituato a non usare il dialetto perchè "volgare". Ma in casa loro stessi spesso si esprimono in dialetto quando magari gli animi si accendono.
Anche i miei nonni non parlavano un dialetto stretto, mio nonno poi era sardo quindi...comunque capisco il dialetto brindisino, salvo alcuni termini ormai in disuso e che hanno scarso collegamento con l'analogo italiano.
Di intercalari che uso anche quando mi esprimo in italiano c'è ad esempio "mena", che troverete in molti salentini. Renderlo in italiano è complesso, non esiste un analogo, può assumere varie sfaccettature dal "eddai" al "sbrigati" fino alla domanda "davvero?".
Negli ultimi anni quando mi "altero" uso qualche termine dialettale in più, ma poca cosa sempre. Mi piacciono le commedie in vernacolare però, le gusto e sono divertenti.
In generale il dialetto brindisino è abbastanza intelliggibile anche per i forestieri, perchè non è così distante dall'italiano salvo qualche parola. Certo, se incontrate un anziano che parla dialetto spedito si capirà poco, ma ci sta.
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