... un articolo che rispecchia abbastanza il "mio modo di vedere", il mio giudizio sulla "politica", e sulla "politica Italiana".-
E' un pò lungo, molti, dalla firma, lo rifiuteranno a priori......
eccolo:
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Il Foglio 1.4.2006
Bisognerebbe scrivere un manifesto sugli italiani e le libertÃ*, perché su questo la divisione è profonda. La fiducia nella capacitÃ* di scelta dei cittadini si va perdendo. Meglio un “contratto” o il “bene” del paese?
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Ci sarebbe da scrivere un manifesto della societÃ* libera, contro la societÃ* del divieto. L’Italia dell’iniziativa privata versus l’Italia delle regole. L’una e l’altra si confrontano il 9 e 10 aprile prossimi alle urne, ma è dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi che queste due Italie sono emerse con qualche chiarezza. Non è una questione di destra o di sinistra, di Polo o di Unione, nemmeno di mettere in discussione quei fondamentali paletti etici sulla vita e sulla morte che appassionano questo giornale. Il problema è lo stato, anzi la funzione del governo nella vita pubblica. Una societÃ* libera è libera quando è libera dagli intralci posti da politici e burocrati che si arrogano il diritto di pianificare, programmare, scegliere al posto di chi è legittimato a decidere, cioè i cittadini, le famiglie e le imprese. Il problema è l’idea malsana che il governo del paese debba occuparsi di tutti gli aspetti della vita quotidiana, in particolar modo del bene dei suoi cittadini.
Una parte del mondo politico e intellettuale continua a pensare che la complessitÃ* della nostra societÃ* abbia bisogno di un maggior ruolo dello stato per poter essere governata al meglio, quando è vero il contrario. Più poderoso è l’intervento dello stato, più pericoli corre la libertÃ* dei cittadini. Il dibattito sul conflitto di interessi, sulle tasse e sulla flessibilitÃ* del lavoro, al di lÃ* dei tecnicismi, verte esattamente su questo punto.
A grandi linee, c’è chi preferisce che sia l’opinione pubblica a sanzionare le violazioni dell’interesse pubblico, mentre gli altri non si fidano del libero arbitrio del popolo sovrano e si battono per regolare a priori e vietare per legge un eventuale conflitto di interessi, a patto che sia quel particolare conflitto di interessi a cui sono particolarmente interessati.
Sulle tasse c’è un’Italia che crede sia ingiusto lavorare metÃ* anno per sé e gli altri sei mesi per lo stato, contrapposta a un’Italia che vuol tassare ancora di più i ricchi perché convinta che la povertÃ* si sconfigga combattendo la ricchezza, non favorendola. E, non contenta di ciò, questa Italia inquadra nel mirino quel ceto medio costretto a lavorare in nero non perché mascalzone, ma a causa dell’eccessiva tassazione. C’è, infine, chi pensa che la libertÃ* di poter licenziare in realtÃ* significhi libertÃ* di assumere, e non penserebbe mai di risolvere il problema del cosiddetto “precariato” proponendo di tassare i precari salvaguardando i giÃ* garantiti, come da programma dell’Unione. Il direttore uscente dell’Economist, Bill Emmott, un giornalista molto amato dalla sinistra italiana, nel suo commiato ha scritto di una “apparente incapacitÃ* dei francesi ad adattarsi a un mondo che cambia”, a proposito del tentativo di “iniettare una piccola dose di liberalismo nel rigido mercato del lavoro” che, peraltro, il governo Berlusconi ha giÃ* ampiamente iniettato, ma che è pronta a essere depotenziata in caso di vittoria dello schieramento delle regole e della rigiditÃ*.
C’è chi crede che un paese si governi liberando i cittadini dal controllo dello stato e dall’altra c’è chi, al contrario, pensa che il modo migliore sia regolamentare ogni aspetto della vita civile e sociale. Gli uni credono che bisogna fare da sé, gli altri aspirano a dare il buon esempio per decreto. I primi immaginano un governo che intralci il meno possibile la ricerca del proprio benessere personale, gli altri pensano che lo stato sia uno strumento capace di poter dispensare la felicitÃ*. “Contratto con gli italiani”, si chiamava il programma-simbolo dei berlusconiani. “Per il bene dell’Italia”, si intitolano le 281 pagine dell’Ulivo. Sono due visioni della realtÃ* opposte e incompatibili, sebbene questa netta divisione culturale sia meno evidente nell’offerta elettorale. Nel centrodestra, infatti, restano ampie fette statocentriche, più che altro dentro An e l’Udc, mentre nell’Unione ci sono i libertari e liberisti della Rosa nel Pugno che un liberale integrale come Antonio Martino, a 8 giorni dal voto, vedrebbe volentieri con i berlusconiani.
Nel linguaggio politico corrente lo schieramento delle libertÃ* viene definito conservatore, quello delle regole invece progressista. E’ vero il contrario. Archiviato nella pattumiera della storia il socialismo reale, l’inganno semantico nasce in America, ovvero nel paese che non ha mai conosciuto né fascismo né comunismo. Gli Stati Uniti sono una societÃ* liberale, nella quale i conservatori vogliono conservare le proprie libertÃ* e i progressisti, che peraltro si chiamano liberali, si limitano a voler temperare gli eccessi del capitalismo, per farlo diventare più equo, più stabile e metterlo quindi al riparo da controrivoluzioni socialiste. Entrambi condividono la necessitÃ* di proteggere la societÃ* capitalista e il libero mercato. In Italia e in Europa quelle libertÃ* non ci sono. Viviamo, piuttosto, in societÃ* rigide, ingessate e ingabbiate da regole che l’omicidio di Marco Biagi e le rivolte di piazza a Parigi dimostrano quanto siano difficili da superare. Eppure c’è un’Italia che a queste difficoltÃ* replica proponendo, anzi minacciando, ulteriori regole che necessariamente limiteranno le nostre libertÃ*. E’ un’Italia che non si limita a voler normare tutto il normabile, ma espropria i genitori del diritto di scegliere l’istruzione dei figli, decide dove è più conveniente investire i propri risparmi, impone il servizio civile obbligatorio ai diciottenni, spiega agli imprenditori come si fa il loro mestiere. Tutto ciò, si badi, “per il bene dell’Italia” e, come ha detto lo stesso Romano Prodi, per “organizzare anche un po’ di felicitÃ*”. Ecco, ce la lasci organizzare a noi italiani adulti la nostra felicitÃ*. Anche perché in agguato c’è sempre il rischio di arrivare a quella Nord Corea chic proposta da un ex candidato a sindaco di Milano, Nando Della Chiesa, che si era presentato con un programma di governo cittadino contro la grande distribuzione alimentare e a favore delle latterie e delle osterie.
La laicitÃ*
Questa campagna elettorale ha avuto uno dei suoi punti focali nel tema della laicitÃ* dello stato, sicché si fa un gran parlare della necessitÃ* di separare lo stato dalla chiesa. Si dimentica però di aggiungere che quel principio costituzionale in America è nato per difendere la libertÃ* religiosa dall’invadenza dello stato, non viceversa. Si dimentica inoltre che in una societÃ* libera vige anche la separazione tra lo stato e l’economia, tra lo stato e la vita quotidiana dei suoi cittadini. Noi, invece, viviamo in una societÃ* dei divieti che a destra, con Girolamo Sirchia, ci impone di non fumare, mentre a sinistra, con i coniugi Prodi, vuol togliere le merendine dalle mense scolastiche. C’è il paradosso per cui risulta legittimo che un interesse economico organizzato come il sistema coperativo possa fare politica, mentre il proprietario di tre televisioni (e molto altro) rischia di essere fatto fuori per legge. Ma anche che il sindacato possa intervenire nel dibattito politico, mentre per qualche strano motivo la Conferenza episcopale italiana no.
C’è sempre, o almeno quando conviene, un allarme ingerenza, un allarme democrazia, un allarme rincretinimento degli italiani. Come dice Sergio Ricossa, mai una volta che il partito delle regole e dei divieti dimostri stima dell’intelligenza altrui o che faccia fiducia agli elettori, alle loro capacitÃ*, alla loro libertÃ* di espressione. Questo, ovviamente, non vuol dire che il conflitto di interessi berlusconiano non esista, ma non si può non tenere conto che, malgrado ciò, metÃ* degli italiani continua a votare liberamente per il Caimano. Tanto più che l’anomalia berlusconiana ha origine da un’anomalia precedente, anch’essa unica al mondo, quella di un sistema televisivo bloccato, di proprietÃ* dello stato, finanziato dai contribuenti, che le televisioni private hanno contribuito a rompere e a modernizzare contro la volontÃ* del partito delle regole e dei divieti. Un partito che, successivamente, ha pure provato a far fuori la tv privata con tre referendum punitivi. La societÃ* libera allora disse di no.
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Ciao,
Giorgio![]()
Amante della Natura:Monti,meteo,mare,una piccola margherita.....
Non posso che dir grazie a tanto Artefice!
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