Il salentino, ha evidenti affinità con il
calabrese e con la
lingua siciliana, mentre si differenzia nettamente dal resto dei dialetti della
Puglia (
barese o
foggiano). Meno accentuata è invece la distanza con i dialetti pugliesi che sono di transizione fra il meridionale e il meridionale estremo (
dialetto tarantino e altri dialetti pugliesi parlati nell'area settentrionale della
penisola salentina, ad esempio a
Ceglie Messapica o a
Ostuni).
La distinzione tra il
dialetto pugliese e il salentino si ritrova soprattutto nella
fonetica: il dialetto pugliese tende a rendere sonori i gruppi latini come “nt”, “nc”, “mp” in “nd”, “ng”, “mb” come le “s” in “z”, mentre il dialetto salentino
li conserva intatti. Un abitante di
Bari pronuncerà: “candare” per “cantare”, “angòra” per “ancòra”, “tembo” per “tempo” e “penziero” per "pensiero”.
Una particolarità fonetica, dovuta all'influenza sannita è stata la trasformazione dei gruppi “nd” e “ll” in “nn” e “
ḍḍ” (ad esempio “quannu” per “quando”, “cava
ḍḍu” per “cavallo”). La trasformazione del gruppo latino
str in
sc (
nostra viene reso con
noscia), tipica solo della variante leccese, così come la presenza di alcuni suoni invertiti (
ṭṛ -
ḍ) - presenti anche nella
Calabria meridionale e in gran parte della
Sicilia - fa sospettare la presenza di un substrato non indoeuropeo.
Da un punto di vista sintattico, caratteristica del salentino è la costruzione dei tempi progressivi utilizzando l'indicativo invece del gerundio (
sta bae: "sta andando";
sta scìa: "stava andando").
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