
Originariamente Scritto da
paolo zamparutti
non è opera mia, ma ho chiesto alla nuova funzione di chatgpt (solo 10 chiamate al mese disponibili)
l'argomento lo conosco bene avendolo trattato, di fatto l'unica correzione che farei è quella relativa ai minimi solari visto che oramai è acclarato che le fasi piu' fredde della PEG erano causate da eruzioni vulcaniche, avrei allegato alcune alcune ricorsuzioni paleoclimatiche ad esempio di Luterbacher come mappe o grafici ma insomma, è tanta roba
ci sarebbe la possibilità di approfondire le dinamiche di ogni zona d'italia, io ho chiesto specificatamente il friuli, ma i restanti tentativi mi servono per lavoro
L’inverno del 1709: clima eccezionale e conseguenze storiche. Contesto climatico e caratteristiche dell’evento (1708-1709)
L’inverno 1708-1709 è ricordato come uno dei più rigidi degli ultimi 500 anni in Europa.
Le temperature scesero ben al di sotto delle medie stagionali, con anomalie stimate di diversi gradi (fino a ~7°C in meno rispetto alle medie del XX secolo secondo alcune ricostruzioni) e nevicate eccezionali su gran parte del continente.
Questo periodo si colloca nel culmine della Piccola Era Glaciale (PEG), una fase di raffreddamento climatico tra il XIV e il XIX secolo, in particolare coincidente con il Minimo di Maunder (1645-1715) caratterizzato da bassissima attività solare.
La combinazione di fattori climatici fu estrema: nei primi giorni di gennaio 1709 un potente anticiclone termico russo (alta pressione gelida siberiana) si estese insolitamente verso ovest, invadendo l’Europa e bloccando le miti correnti atlantiche. Inoltre, eruzioni vulcaniche occorse negli anni immediatamente precedenti (es. Santorini, Vesuvio 1707, Fuji 1707, Teide 1706) potrebbero aver immesso polveri in atmosfera contribuendo al raffreddamento.
Queste concause inserirono l’Europa in una morsa di gelo eccezionale, talmente anomala che gli studiosi odierni ancora faticano a spiegarla completamente in termini di oscillazioni note: “Qualcosa di insolito sembra essere accaduto”, ha notato il climatologo Dennis Wheeler riferendosi all’inverno 1709.Dinamica meteorologica: Il freddo iniziò a manifestarsi già a fine 1708 in Russia, con un gelo intenso persino per quelle latitudini. Tra la notte del 5 e 6 gennaio 1709 (Epifania) l’aria siberiana dilagò bruscamente sull’Europa: nel giro di poche ore, in molte regioni la temperatura crollò di circa 20-30°C, congelando istantaneamente pozzi, fontane e corsi d’acqua minori.
L’ondata di gelo investì in particolar modo l’Europa centrale e meridionale; poche zone furono risparmiate (solo la Scandinavia rimase ai margini, isolata dall’alta pressione nelle settimane successive). In tutta Europa si registrarono condizioni eccezionali: fiumi, laghi e perfino tratti di mare gelarono completamente.
La fase più acuta durò fino alla fine di gennaio 1709, seguita da un breve disgelo (es. pioggia gelida a Parigi il 26 gennaio). In febbraio il gelo tornò ad intensificarsi – soprattutto nell’Europa centrale e orientale – protraendosi, con varie oscillazioni, fino a marzo e in alcune aree del nord fino ad aprile. Si segnalarono ghiacci tardivi perfino a inizio luglio 1709 in zone della Germania, indice di un clima fortemente perturbato per l’intera prima metà dell’anno.
Numerose cronache riferiscono fenomeni diffusi: in Pianura Padana cadde fino a 1,5 metri di neve al suolo; tutti i fiumi grandi e piccoli gelarono (dal Po all’Ofanto in Puglia); perfino il porto di Genova e quello di Marsiglia divennero lastre di ghiaccio. L’eccezionale gelo prolungato causò gravi danni alla biosfera: la vegetazione mediterranea soffrì ovunque. Furono riferite mortalità di massa di olivi, viti e alberi da frutto (insieme a piante selvatiche) in vasti territori. In Italia, persino specie considerate resistenti fino a –40°C, come melo, noce, susino e ciliegio, risultarono compromesse in regioni come l’Emilia.
Molte piante secolari si spaccarono per il gelo intenso, intere foreste deperirono.
Nelle campagne, la neve abbondante e il gelo persistente distrussero i seminativi autunnali, mettendo in crisi i raccolti successivi.
Testimonianze storiche dell’epoca
Le cronache e i documenti coevi descrivono vividamente gli effetti catastrofici di quell’inverno.
In Francia, ad esempio, una cronaca dalla città di Angers riferisce: *«Il freddo cominciò il 6 gennaio 1709 e perdurò in tutto il suo rigore fino al 24. Tutto quello che era stato seminato andò completamente distrutto. La maggior parte delle galline morì di freddo, e così pure il bestiame nelle stalle. Al poco pollame sopravvissuto si videro congelare e cadere le creste.
Molti uccelli – anatre, pernici, beccacce e merli – morirono e furono trovati stecchiti sulle strade e sullo spesso strato di ghiaccio e neve. Querce, frassini ed altri alberi di pianura si spaccarono per il gelo: due terzi dei noci morirono. Anche due terzi delle viti perirono, e tra queste le più vecchie.»*. Questa testimonianza riassume la devastazione totale: perdita completa dei raccolti, moria di animali da cortile e selvaggina, distruzione di alberi e vigneti.Anche dall’Italia giungono resoconti impressionanti. A Reggio Emilia, il fiume Po gelò con 71 cm di spessore di ghiaccio, permettendo il transito di uomini, cavalli e carri sopra il fiume.
Da Parma, una cronaca ricorda che la neve raggiunse 88 cm dopo l’Epifania, e annota: *«Il freddo crebbe di giorno in giorno fino al 12 febbraio, a tale segno che gelarono tutti i fiumi. … Da più di 300 anni (dal 1408) non si era visto un freddo simile, soffrendone noci, fichi ed olivi, e salvandosi solo le viti perché erano sepolte dalla neve»*. Questa nota evidenzia come la neve abbondante in Pianura Padana avesse almeno protetto parzialmente i vigneti sotto il manto nevoso, mentre altrove (come in Francia) le viti esposte al gelo morirono. Nella Laguna di Venezia, il ghiaccio profondo bloccò i trasporti tradizionali ma “si poteva tranquillamente andare a piedi a Mestre sulla laguna ghiacciata”, mentre molti pozzi gelarono impedendo l’approvvigionamento d’acqua potabile.Le corrispondenze private confermano lo sgomento dei contemporanei: la duchessa Elisabeth-Charlotte d’Orléans (principessa palatina) scrisse che “mai in vita sua aveva visto un inverno simile”, descrivendo in una lettera come tremasse dal freddo nonostante il fuoco nel camino e gli abiti di pelliccia. D’altra parte, studiosi e scienziati dell’epoca lasciarono memorie meteorologiche formali: il reverendo William Derham in Inghilterra registrò a Londra –12°C il 5 gennaio (record della sua serie di osservazioni dal 1697) e pubblicò su Philosophical Transactions un resoconto intitolato “The History of the Great Frost…” definendo quel gelo *“il più intenso entro la memoria umana”*.
Queste fonti storiche – diari, lettere, cronache locali e rapporti ufficiali – concordano nel tratteggiare un inverno straordinario, in cui la vita quotidiana fu sconvolta dal clima.Impatti economici, sociali e politici in EuropaGli effetti dell’inverno 1709 furono drammatici sull’economia prevalentemente agricola dell’Europa preindustriale. Dopo mesi di gelo, i raccolti risultarono decimati: i cereali autunno-vernini (grano, segala) gelarono nei campi e le scorte alimentari si esaurirono rapidamente.
In Francia si verificò una delle peggiori carestie della sua storia: la Grande Famine del 1709. Lo storico Emmanuel Le Roy Ladurie stima in 600.000 i morti per fame e stenti in Francia (circa il 3% della popolazione dell’epoca). Intere comunità rurali, già impoverite da anni di guerra (la Guerra di Successione Spagnola, 1701-1714), si trovarono senza cibo. Il prezzo del grano schizzò alle stelle e il governo francese dovette prendere misure straordinarie, come distribuire pane e farina ai poveri sotto la supervisione delle autorità. Un’incisione dell’epoca mostra il ministro delle finanze di Luigi XIV distribuire grano da un magazzino pubblico nell’inverno del 1709. Nonostante gli sforzi, la crisi fu tale da provocare anche un dissesto finanziario nel regno di Francia.Anche in altri paesi si registrarono gravi difficoltà. In Inghilterra, denominata Great Frost, l’ondata di freddo durò circa tre mesi continuativi, provocando ingenti perdite nell’agricoltura e nell’allevamento. Fonti inglesi riportano che, alla successiva disgelo di primavera, vaste aree finirono sott’acqua per le inondazioni (i terreni gelati non assorbivano l’acqua), danneggiando infrastrutture rurali e contribuendo a rovinare il raccolto di tutto l’anno.
L’economia inglese, fortemente basata sull’agricoltura, ne uscì compromessa e alcuni storici parlano di “rovina” finanziaria diffusa nelle campagne. In regioni della Germania meridionale (es. Palatinato) la devastazione agricola, unita alle distruzioni della guerra, innescò fenomeni migratori: nel 1709 migliaia di contadini tedeschi (i “Palatini”) abbandonarono le loro terre e migrarono verso l’Inghilterra e le Americhe in cerca di sostentamento.Sul piano sociale, oltre all’aumento della mortalità (fame e malattie legate alla malnutrizione), si ebbero episodi di disordine e proteste. In alcune città europee si verificarono tumulti per il pane, con assalti ai forni e ai granai, sintomo della disperazione popolare. Le autorità, dove possibile, adottarono politiche di emergenza: ad esempio molti governi sospesero le esportazioni di cereali e vietarono l’uso di grano per produrre alcolici, destinandolo invece alla panificazione.
La Chiesa organizzò processioni e preghiere collettive per implorare la fine del freddo, mentre i cronisti dell’epoca interpretarono l’evento spesso come una punizione divina o un segno prodigioso.Anche gli equilibri politici e militari subirono l’influsso di questo inverno anomalo. Durante la Grande Guerra del Nord in Europa orientale, le armate svedesi del re Carlo XII furono colte dalla morsa di gelo durante la campagna in Ucraina: migliaia di soldati svedesi perirono assiderati nel gennaio 1709, indebolendo gravemente l’esercito prima della battaglia di Poltava (1709) in cui infatti la Russia di Pietro il Grande ottenne una vittoria decisiva.
La maggiore resilienza logistica dei russi – abituati a climi rigidi e meglio riforniti durante l’inverno – rispetto agli svedesi fu un fattore determinante in quella svolta bellica. In generale, le operazioni militari in Europa occidentale nel 1709 subirono rallentamenti: nella Guerra di Successione Spagnola le campagne militari dovettero essere posticipate, e gli eserciti (già provati dal conflitto) dovettero far fronte a carenze di vettovaglie e foraggi durante e dopo l’inverno. Si può dunque affermare che il clima del 1709 contribuì a plasmare eventi storici, aggravando crisi già in atto e influenzando decisioni politiche (ad esempio, priorità alla ricostruzione delle scorte alimentari, gestione dell’emergenza da parte dei governi, ecc.).Il caso italiano e il focus sul Friuli Venezia GiuliaAnche nella penisola italiana il grande gelo del 1709 ebbe ripercussioni gravissime, sebbene la situazione variò da regione a regione. Le coltivazioni tipiche del clima mite mediterraneo subirono danni estesi: ad esempio oliveti e agrumeti furono devastati dal nord al sud. Fonti dell’epoca riportano che in Liguria, Toscana, Lazio e Puglia gli ulivi secolari morirono in massa a causa del gelo intenso. Numerosi agrumi (limoni, aranci) gelarono: sul Lago di Garda, zona famosa per le limonaie, l’evento del 1709 segnò un punto di non ritorno, rendendo impraticabile la coltivazione di agrumi senza protezioni: *«il congelamento della Laguna di Venezia nell’inverno del 1709 rese ancora più difficile la coltivazione dei limoni sul Garda»*. In Pianura Padana e nelle regioni settentrionali si persero non solo vigneti e frutteti ma grandi quantità di cereali: il grano e il mais nei campi risultarono distrutti. Le Cronache Bolognesi lamentano che “non rimase nulla da mietere nei campi l’estate seguente”, a indicare un’annata agraria praticamente compromessa. Nevicò eccezionalmente anche al sud (si ricorda una nevicata storica a Napoli nel gennaio 1709), seguita da gelate che raggiunsero le coste meridionali: persino in Sicilia e Sardegna si registrarono brinate fuori stagione. Nel complesso, l’Italia sperimentò una carestia diffusa nel 1709-1710: il prezzo dei grani aumentò ovunque e molte comunità dovettero ricorrere a importazioni di emergenza o aiuti governativi per evitare la fame.
Un caso emblematico fu quello dei territori della Repubblica di Venezia, in particolare il Friuli e le zone del Veneto orientale. Il Friuli Venezia Giulia odierno era allora diviso tra domini veneziani (la Patria del Friuli con Udine, e l’Istria veneta) e domini asburgici (Gorizia, Trieste e l’entroterra limitrofo). Tradizionalmente il Friuli fungeva da “granaio” per la Serenissima, esportando frumento verso Venezia e le province limitrofe. Nel 1709, però, anche il Friuli languiva nella penuria, col raccolto locale falcidiato: *“nella penuria generale […] il Friuli, tradizionale fornitore, stava languendo e l’unico frumento che transitava nei porti era quello della Dalmazia, destinato però obbligatoriamente a Venezia”*. Questo quadro, tracciato dallo storico Egidio Ivetic, sottolinea che nemmeno le fertili pianure friulane furono risparmiate dalla carestia. I fiumi della regione (Tagliamento, Isonzo, Livenza, etc.) gelarono così come altrove, ostacolando i mulini ad acqua e i trasporti interni. La laguna di Marano e Grado (a cavallo tra Veneto e Friuli) si ghiacciò, isolando ulteriormente le comunità costiere. Le cronache locali friulane dell’epoca – spesso scritte in latino o in friulano – parlano di “inverni memorandi” nel 1709, con nevicate e geli eccezionali, inserendo il 1709 tra gli *“inverni più freddi e nevosi della storia friulana”*.Di fronte all’emergenza, le autorità veneziane dovettero intervenire per sostenere le province affamate. Documenti d’archivio testimoniano l’attivazione di spedizioni di grano verso le zone più colpite: il Senato veneziano ordinò al Luogotenente del Friuli di permettere l’estrazione di 1500 staia di frumento dai magazzini friulani a beneficio delle comunità disperate. Navi cariche di cereali dalla Dalmazia approdarono nei porti dell’alto Adriatico per rifornire Trieste, l’Istria e la costa friulana, poiché via terra molti collegamenti erano interrotti. In Istria, territori oggi corrispondenti in parte al Friuli VG (all’epoca sotto Venezia), si distribuì grano d’emergenza a vari villaggi – ad esempio a Villanova di Parenzo e in altre comunità rurali dove *“500 abitanti di origine albanese languono per la fame”*. Per sostenere la ripresa agricola, Venezia concesse anche prestiti e sussidi: ad esempio, alla città di Pirano (oggi in Slovenia) furono dati 1000 ducati per far fronte ai danni causati dalla “mortalità delle viti e degli oliveti” e per ripiantare le colture perdute.
Non mancò l’impatto sul patrimonio arboreo del Friuli VG: se in pianura la vite talvolta si salvò grazie alla neve, in altre zone più esposte molti filari perirono.
Nelle zone collinari del Friuli (Collio, Carso) e lungo la costa istriana praticamente tutti gli ulivi gelarono fino alle radici. A Rovigno d’Istria si dovettero emanare “ordini severi per la conservazione dei nuovi germogli” di olivo e si nominarono guardiani (saltèri) per proteggerli, segno della volontà di far rinascere gli oliveti dopo l’evento distruttivo.
La morìa di bestiame aggravò ulteriormente la situazione nelle campagne friulane: già durante il gelo molti animali da allevamento morirono per mancanza di foraggio (i pascoli erano congelati e i fienili vuoti). Come se non bastasse, negli anni immediatamente successivi una terribile epizoozia di peste bovina (1711-12) colpì tutto il Nord Italia – Friuli incluso – decimando i buoi da aratura e le mucche da latte, e completando il quadro di crisi agricola. Si entrò così, in Friuli Venezia Giulia e zone limitrofe, in un periodo di congiuntura economica negativa prolungata: gli storici parlano di “anni della fame” dal 1709 fino a circa il 1715, segnati da raccolti scarsi, spopolamento di alcune campagne e difficoltà commerciali.In sintesi, l’inverno del 1709 fu un evento climatico eccezionale che ebbe ripercussioni profonde in tutta Europa. Le ricostruzioni paleoclimatiche moderne confermano l’anomalia di quella stagione, inserendola nel contesto della Piccola Era Glaciale e studiandone le cause (minimo solare, eruzioni, circolazione atmosferica anomala). Sul piano umano, le conseguenze furono disastrose: carestie generalizzate, crisi demografiche (con aumento di mortalità e migrazioni), sconvolgimenti sociali e effetti a cascata sull’economia e sulla politica del tempo. Le cronache coeve – dai villaggi friulani fino alle grandi capitali – hanno lasciato una testimonianza unanime di quel “Grande Inverno” che congelò un continente intero. Le lezioni di quell’evento riecheggiano ancora oggi negli studi di storia del clima, ricordandoci come un improvviso cambiamento meteorologico possa influenzare la società umana su larga scala.
Fonti:
Le informazioni e i dati presentati provengono da fonti accademiche (es. studi storici e climatologici peer-reviewed) e da cronache dell’epoca. In particolare si è fatto riferimento a studi di paleoclimatologia europea, ricerche storiche sulla crisi del 1709 (es. E. Le Roy Ladurie, W. G. Monahan, R. Cigui), articoli divulgativi autorevoli, nonché a documenti d’archivio veneziani e memorie locali relative al Friuli e all’Istria. Queste fonti concordano nel dipingere il 1709 come un anno nero dal punto di vista climatico, con impatti socio-economici eccezionali in tutta Europa e approfondimenti specifici sul caso italiano e friulano.
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