Ma ci sono già stati grandissimi miglioramenti a livello sanitario.
L'aspettativa di vita alla nascita è sopra i 50 anni in tutti i Paesi africani, nella maggior parte anche sopra i 60. Life expectancy at birth by country - Thematic Map - Africa
Per chi arriva a 5 anni quindi sarebbe anche di più (e non c'è nessun bisogno di passare da quasi zero a 15-20 anni di istruzione come in occidente), quindi il discorso sugli anni di lavoro rimanenti non regge. L'Italia per dire è arrivata ai livelli di aspettativa di vita attuali della Somalia negli anni '30, quando già la natalità era scesa ben sotto i 4 figli per donna e l'istruzione primaria obbligatoria ben diffusa.
Lo sviluppo passa necessariamente dalla meccanizzazione del settore primario per reimpiegare i lavoratori negli altri settori, su tutto il resto si può discutere. In Africa per ora non c'è una grande spinta verso l'industria pesante come in Cina, si parla molto di terziario avanzato su cui ci sono diversi esperimenti interessanti ad esempio a livello di sistemi di pagamento elettronico (l'accesso ad internet ormai è piuttosto diffuso tramite rete mobile) e di superare l'industrializzazione per raggiungere direttamente una economia post-industriale.
I passaggi cruciali per ridurre l'impatto ambientale sono la produzione di energia elettrica pulita (in Africa il potenziale del solare è enorme anche grazie alla minore stagionalità) al posto del carbone prevalente in Cina, uno sviluppo urbano con un minimo di attenzione alla sostenibilità, una agricoltura meccanizzata ma a basso impatto ambientale sfruttando tecniche agrarie moderne, una crescita industriale più equilibrata che non sia unico volano della crescita. Industria significa anche industria alimentare (per esportare semilavorati anziché prodotti agricoli grezzi), abbigliamento, materiali edili, oggetti di uso quotidiano, non necessariamente acciaio e automobili.
C'è una discreta letteratura in materia (che conosco molto superficialmente), credo che la sensibilità ambientale in Africa sia comunque relativamente sviluppata, più di quanto fosse in Cina negli ultimi decenni (si sono svegliati giusto ora dopo il grande smog degli anni '10).
Progetti ci sono, speriamo si realizzino
Credo comunque ci voglia del tempo per recepire certi cambiamenti. Si parla appunto di aspettativa di vita, ma l'età media è ancora molto bassa. Intendo dire che per la nuova generazione si avrà ancora probabilmente "la sensazione" di vivere in una società in cui si muore relativamente giovani, e basta vedere le piramidi demografiche per accorgersene.
Bisogna dunque attendere che questa aspettativa, appunto, si tramuti in realtà.
Per dire: in Zambia oggi hanno 60-64 anni circa 225mila persone. Ma nel 1960, quando queste persone nacquero, erano 600mila gli infanti (0-4 anni). Significa che ne sono sopravvissuti meno della metà fino a oggi, che è di sicuro un progresso, ma per chi vive e non studia sui libri che significhi "aspettativa" non è che si noti granchè, ancora per il momento, la differenza, ecco.
Se fai 6 figli per donna l'età media sarà sempre molto bassa, perché in due generazioni il numero di nuovi nati si moltiplica per 9 (in media ogni nonno ha 36 nipoti).
Il problema è proprio che hanno beneficiato di un miglioramento delle condizioni sanitarie senza uno sviluppo socio-economico corrispondente, questo genera le esplosioni demografiche esagerate. Che infatti sono particolarmente acute nei grandi esportatori di petrolio, dove i proventi del settore petrolifero (che impiega pochissime persone, in parte stranieri) vanno a finanziare sussidi e altre spese ma il resto dell'economia resta molto arretrato, quindi a livello di sicurezza alimentare e condizioni sanitarie gli indicatori sono molto buoni, ma la natalità non scende.
C'è poco da fare, in una agricoltura di sussistenza i figli sono braccia in più nei campi e una garanzia per la vecchiaia, quindi c'è un forte incentivo a farne più possibile. Nelle società un minimo più complesse (non necessariamente ricche) i figli richiedono un maggiore investimento economico e di tempo, anche perché almeno fino ai 14-15 anni non portano reddito. Di conseguenza il numero di figli cala drasticamente.
Storicamente l'elevata mortalità (specie sotto i 5 anni) teneva a bada la crescita della popolazione anche con una natalità molto elevata, calo di natalità e aumento dell'aspettativa di vita andavano di pari passo. Dove questo non è avvenuto hai una crescita di popolazione ingestibile, con il miglioramento delle condizioni sanitarie che aggrava i problemi di sicurezza alimentare, risorse idriche e sviluppo economico in genere, specie se la natalità in partenza era già superiore ai livelli occidentali precedenti alla rivoluzione industriale. Quindi servono politiche attive di riduzione delle nascite che devono andare in parallelo con il miglioramento delle condizioni sanitarie.
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Ecco, io con queste non sono molto d'accordo dal punto di vista etico. Una politica del figlio unico, come avvenuto in Cina, non la ritengo moralmente ma soprattutto umanamente accettabile.
Si potrebbe puntare sulla diffusione della contraccezione, ma credo che ad esempio in Africa molto si sia fatto al riguardo visto l'HIV, eppure le cose non sono migliorate del tutto. C'è dunque qualche altro fattore culturale (o forse è come dici tu semplicemente il fatto che in società agricole servono braccia per l'agricoltura) che non punta a favore del calo delle nascite.
In questo contesto, senza dover necessariamente ricorrere a politiche repressive e di controllo sulla popolazione tramite sterilizzazioni o imposizioni di un numero di figli massimo, bisognerebbe cercare un'altra soluzione a mio parere.
Le politiche di controllo delle nascite non sono necessariamente coercitive, su possono fare campagne di informazione, garantire l'accesso ai contraccettivi e alla sterilizzazione anche per le coppie sposate, misure per favorire l'emancipazione femminile (spesso le donne sarebbero ben felici di non fare figli a raffica). Le politiche anti-aids possono aver avuto un piccolo effetto collaterale positivo ma nei rapporti coniugali comunque è più una questione culturale. Purtroppo c'è molta resistenza anche tra le classi dirigenti al principio stesso del controllo delle nascite (per non parlare dei leader religiosi).
Misure alla cinese non sarebbero comunque necessarie, già se tutti i Paesi africani riuscissero a ridurre la natalità a 3-4 figli per donna in tempi rapidi sarebbe un gran risultato.
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La politica del figlio unico è una ca.ata pazzesca. Quello che farei, se fossi io consigliere supremo del mondo, è incentivare economicamente la politica dei due figli.
Con 2 figli l'umanità è a crescita zero, ma al contempo non invecchia. I due figli sostituiscono i due genitori e così via.
Quindi lo stato dovrebbe sostenere e incentivare le famiglie fino al 2 figlio, dopodichè trovare strumenti di dissuasione dal terzo in poi
http://golfodigaeta.altervista.org/
Webcam Formia su http://www.meteoliri.it/#!prettyPhoto/10/
Stazione meteo http://www.wunderground.com/weathers...p?ID=ILAZIOFO2
Qualsiasi politica di controllo di un aspetto intrinsecamente privato quale la propria idea di famiglia o la sessualità non dovrebbe essere regolato da leggi umane, a mio parere. Vanno bene i principi morali, che sono connaturati al gruppo culturale cui si appartiene (non necessariamente dipende dalla religione questo discorso).
Su questo aspetto mi fermo personalmente, perchè credo sia un passo oltre il limite di ciò che è consentito.
Accetterei magari una proposta come quella di Marco, con incentivi economici a famiglie con meno figli, ma anche qui temo che se un terzo figlio scappasse (non esiste un controllo assoluto su questo) i danni sarebbero più numerosi di quanto ci si aspettava.
O agirei sulla cultura, per l'appunto, cercando di modificare questo aspetto, il che avrebbe molto più successo (corrisponderebbe alle campagne di informazione, che però sono già in atto ad esempio in molti paesi africani proprio per l'HIV). L'accesso alle sterilizzazioni chirurgiche, in paesi con un così scarso sistema sanitario, non saprei quanto successo potrebbe avere...come sempre ci sarebbero altri problemi a monte da risolvere prima.
Ci sarebbe da analizzare semmai la ragione per cui in passato, nel nostro Occidente, le persone hanno iniziato a fare meno figli, e provare ad emularle in quei paesi per porre un freno.
Mi potresti spiegare il senso di questo post (rispondo qui per non essere OT)?
Il monossido di carbonio è prodotto dalla combustione incompleta, quindi è estremamente raro nelle emissioni e prevalentemente legato a malfunzionamenti di apparecchi domestici.
Inoltre è un composto instabile e quindi permane poco in atmosfera, poi si ossida e diventa CO2.
La CO2 invece è prodotta in quantità enormi, più che sufficienti a spiegare l'aumento delle concentrazioni in atmosfera, che è misurato con precisione e tutt'altro che fantomatico.
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Il livello di anidride carbonica in atmosfera e' misurato da decenni ,
maggiore fonte di misurazione livello di CO2 e' Mauna Loa Hawaii
In passato , la CO2 in tempi antichi , e' stata rilevata dai carotaggi
https://www.open.online/2020/09/16/...Qiw2ReN-eBOUUKM
Oltre 15 miliardi di euro l’anno. È solo una delle somme esorbitanti che il cambiamento climatico in Italia porterà a perdere nel periodo che va dal 2071 al 2100. I 15 miliardi, legati in particolare al rischio dissesto causato dalle alluvioni, non sono una previsione futuristica ma alcuni dei dati del nuovissimo report scientifico pubblicato dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti climatici.
Lo studio, intitolato “Analisi del Rischio. I cambiamenti climatici in Italia”, è il rapporto finora più completo della conoscenza degli impatti economici e dell’analisi di rischio integrato della crisi climatica in Italia. 30 autori per 5 capitoli hanno calcolato le cifre effettive che il Paese sarà costretto a perdere, insieme a paesaggi, risorse e salute.
Più di 160 miliardi per il basso valore dei terreni agricoli
Secondo lo studio della Fondazione Cmcc, il caso peggiore di aumento della temperatura terrestre di fine secolo potrebbe toccare i +5 gradi. Uno scenario spaventoso non solo per gli innumerevoli disastri ambientali che verranno ma anche per le cifre di denaro perse. La prospettiva non vale purtroppo solo per il settore delle infrastrutture per cui è stato previsto il dato riportato all’inizio. Per l’innalzamento dei mari si arriverà infatti a una perdita pari a 5,7 miliardi di euro. Non più incoraggiante la cifra per la decrescita del valore dei terreni agricoli, tra gli 87 e i 162 miliardi.
Cifre alte anche per incendi e turismo
Nel rapporto è anche Sos incendi: nei prossimi decenni il rischio aumenterà del 20% con una stagione di +20-40 giorni l’anno. Previsione poco confortante anche sulla percentuale di superficie percorsa dai roghi con un aumento tra il 21% e il 43% a fine secolo. Anche parlando di viaggi si continuano a registrare cifre enormi. La contrazione della domanda turistica registrerà 52 miliardi di euro persi.
Pil e tasso di mortalità ne risentiranno
Oltre allo scenario peggiore previsto per il 2100, il report della Fondazione Cmcc disegna un’Italia destinata a essere sempre più calda, anche in riferimento al futuro più vicino dei prossimi 30 anni. L’aumento della temperatura prevista è pari a 2 gradi in più rispetto al periodo 1981-2010.
Anche in questo caso l’impatto ambientale corrisponderà all’impatto economico, e in particolare a un aumento esponenziale dei costi che si riverserà anche sul Pil. Il report osserva fino a fine secolo un condizionamento da parte delle spese relative ai cambiamenti climatici fino all’8% del Pil pro capite. Senza politiche mirate a fermare la grande crisi climatica si amplierà il divario tra ricchi e poveri, Nord e Sud.
Senza escludere poi i danni alla salute. Secondo quanto si legge nel rapporto «saranno attesi incrementi di mortalità per cardiopatie ischemiche, ictus, disturbi metabolici da stress termico», aggiungendo un incremento delle malattie respiratorie dovuto al legame tra i fenomeni di concentrazioni di ozono (O3) e polveri sottili (PM10). Le persone più fragili come anziani, disabili e bambini saranno dunque sottoposte a maggiori rischi anche per la salute.
Notti tropicali e rischio di disastri aumentato
Oltre a un’Italia che brucia per l’innalzamento delle temperature, l’indicatore climatico del report prevede altri segnali importanti. Da qui al 2050 si registreranno notti tropicali con una temperatura mai al di sotto dei 20 gradi fino a 18 giorni in più rispetto al periodo 1981-2010.
I disastri ambientali non raccontano scenari migliori. Negli ultimi vent’anni c’è stato un aumento del 9% della probabilità del rischio, con una particolare incidenza sull’ambiente marino e sull’agricoltura in cui si è registrato un’evidente calo delle rese di molte specie coltivate.
Donatella Spano, membro della Fondazione Cmcc e docente dell’Università di Sassari, che ha coordinato i 30 autori della ricerca, sottolinea come «tutti i settori risultano impattati negativamente dai cambiamenti climatici». Tuttavia, secondo quanto riportato dal report e confermato da Spano, le perdite maggiori vengono a determinarsi «nelle infrastrutture, nell’agricoltura e nel settore turistico sia estivo che invernale».
Un’ analisi senza dubbio preoccupante che però può ancora trovare una via di mitigazione. Come spiegano anche i ricercatori nello studio, «i cambiamenti climatici richiederanno numerosi investimenti», ma l’ impegno oneroso può trasformarsi in «un’opportunità» decisiva. Su questo il Green Deal europeo si rivela ancor di più strategia necessaria per il futuro.
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