Global Warming, un’altra prova cosmica

Maurizio Blondet

17/02/2007

La variazione di raggi cosmici nell’atmosfera sarebbe la causa delle variazioni climatiche: questa è l’ipotesi avanzata da Henrik Svensmark, meteorologo e fisico del Danish National Space Center di Copenhagen.
Lo scienziato danese, rivedendo i dati meteo satellitari degli ultimi decenni, ha notato una apparente relazione tra la nuvolosità e la quantità di raggi cosmici, ossia il numero di particelle atomiche che colpiscono la Terra provenendo dagli spazi interstellari.
Il numero delle particelle, per parte sua, varia in proporzione con l’attività del Sole: quando il Sole è molto attivo, il suo campo magnetico rafforzato deflette («spazza via») i raggi cosmici, che giungono sulla Terra in quantità minore.
La minor quantità di raggi cosmici ridurrebbe la nuvolosità, provocando dunque il riscaldamento del nostro pianeta.
Sembra confermarlo l’instaurarsi della «piccola glaciazione» durata dal 1500 al 1700: fu un periodo di ridottissima attività solare e dunque di maggior irradiazione di raggi cosmici.
Più raggi cosmici significa, secondo Svensmark, più nuvole in cielo: e più nubi, significa che una parte maggiore dell’irraggiamento solare viene riflessa nello spazio, raffreddando la Terra sotto le nuvole.
Per contro il Sole è molto attivo attualmente: più attivo che negli ultimi mille anni, come dimostrano i carotaggi dei ghiacci polari.
Dunque spazza via i raggi cosmici con più energia, dunque la nuvolosità è diminuita, le giornate serene sono aumentate, e così il caldo.
Il problema è che i metereologi negano decisamente che i raggi cosmici abbiano qualcosa a che fare con la nuvolosità.
Come la provocherebbero?
Finalmente Svensmark e il suo gruppo ha potuto provarlo con un esperimento durato dal 2000 al 2005. (1)
Il gruppo ha allestito una «camera a nebbia» (2) nei sotterranei dell’istituto danese: in pratica una scatola trasparente e con illuminazione radente, contenente aria umida, che viene raggiunta dai raggi cosmici che «trafiggono» il suolo e l’edificio sovrastante.
Nella camera a nebbia, il passaggio dei raggi cosmici creava la nascita di elettroni.
Ossia di particelle caricate elettricamente che perciò «coagulano» insieme microscopiche goccioline d’acqua ed acido solforico, i «semi» di condensazione delle nubi.
Svensmark considera questo esperimento la prova che il riscaldamento globale non è causato dalle industrie umane.
E difatti, la sua teoria spiega perché il «global warming» non è affatto global, riguardando solo l’emisfero Nord del pianeta; mentre nell’Artide i ghiacciai si sciolgono a ritmo accelerato, nell’Antartide orientale lo strato di ghiacci è aumentato dell’8 % dal 1978.
E i pinguini Adélie che vi abitano ritardano la costruzione primaverile dei loro nidi di nove giorni rispetto a mezzo secolo fa, segno che l’inverno antartico dura di più.
Perché l’Antartide diventa più fredda, nonostante sia anch’essa colpita da meno raggi cosmici?
Perché lì, risponde Svensmark, la vastissima superficie nevosa è più «bianca» delle nubi, e riflette-deflette di più il calore.
E’ una tesi per lo meno interessante.
Ma non ha interessato: Svensmark e il suo gruppo hanno avuto difficoltà, per ben dieci anni, a raccogliere i modesti fondi per il loro esperimento.
E quanto ai risultati, sono stati rifiutati da tutte le riviste scientifiche internazionali.
Solo la Royal Society britannica ha accettato di pubblicare il suo studio nel 2006 .
Secondo Svensmark (che già aveva ventilato la sua ipotesi in un volume del 1997) la lobby dell’effetto-serra ha ostacolato le sue ricerche.
Questa lobby come si sa ha prodotto e finanziato lo studio di sir Nicholas Stern, ben propagandato e da Tony Blair adottato come politica ufficiale del governo inglese, che minaccia l’apocalisse climatica se le industrie mondiali non vengono obbligate a ridurre le emissioni di CO2, in pratica raccomandando una drastica fase di de-industrializzazione e di arretramento controllato dall’alto.
E ha radunato la nota riunione di 2.500 scienziati sotto egida ONU che hanno giurato (con probabilità al 90 %) che la causa del riscaldamento globale è l’uomo.
Adesso qualcosa si muove.
Una sessantina di fisici e metereologi hanno deciso di ripetere l’esperimento di Svensmark su scala più vasta e con maggiori costi, impegnando l’’acceleratore di particelle di Ginevra per replicare l’effetto dei raggi cosmici quando colpiscono l'atmosfera. (3)
Gli scettici ovviamente sono ancora molti.
Giles Harrison, specialista di nuvole alla Reading University, ritiene che l’effetto dei raggi cosmici sia «tenue» rispetto alle emissioni umane, e sostiene che la nuvolosità sulla Gran Bretagna degli ultimi 50 anni mostra una scarsa relazione con il bombardamento cosmico.
Tuttavia, cresce il numero di scienziati che cominciano a credere che l’effetto - Svensmark possa essere determinante.
«E’ un’idea relativamente nuova, ma c’è più di un indizio sulla veridicità di questo effetto sulle nubi», dice ad esempio Robert Bingham, meterologo delle nubi al Central Laboratory del Research Council di Rutheford.
E’ così che avanza la conoscenza scientifica.
O che dovrebbe avanzare: con discussioni aperte e non censurate da lobby, da ideologismi e da sete di potere totale.

Maurizio Blondet

Note
1) Nigel Calder, «An experiment that hints we are wrong on climate change», Times, Londra, 12 febbraio 2007. Calder è l’ex direttore di New Scientist.
2) Cosa sia e come si costruisca una semplice camera a nebbia - un esperimento a portata di un bravo liceale - è descritto e illustrato nel sito della Cornell university, http://w4.lns.cornell.edu/~adf4/cloud.html . Anche in questo semplice esperimento si può vedere che i raggi cosmici provocano il coagularsi di goccioline.
3) Richard Grey, «Cosmic rays blamed for global warming», Telegraph, 11 febbraio 2007.

link: http://www.effedieffe.com/interventi...ametro=scienze