Per quanto riguarda il limite superiore medo della faggeta, in Appennino Settentrionale (Appennino Ligure e Tosco Emiliano), negli ultimi secoli (diciamo dal 1200 in poi) è ragionevole collocarlo tra i 1700 e i 1800 m, al di sopra si dovrebbe estendere la cosiddetta fascia "soprasilvatica" che è quella degli arbusteti a mirtillo nero e mirtillo rosso e (molto localmente) a rododendro rosso o a Empetrum nigrum, dove le condizioni ecologiche non sono favorevoli a questo tipo di arbusteto (sostanzialmente le creste più ventose e in cui d'inverno la neve non si accumula per via del vento) ci sono forse lembi di prateria primaria subalpina-alpina, però parliamo di superfici con estensioni veramente minime (praticamente le aree di crinale del Cimone, del Cusna e del Prado, sopra i 2000 m). Ovviamente a quote prossime a tale limite la faggeta diventa meno compatta e cominciano già a presentarsi le specie tipiche del piano soprasilvatico, per cui si ha una compenetrazione dei due piani di vegetazione (montano e soprasilvatico o se preferite montano e subalpino) anche per parecchie decine di metri di dislivello, a seconda dei versanti.
Quindi quasi tutte le formazioni prative del piano montano superiore, fino a 1700 m e anche qualche decina di metri più in alto, sono dovute a deforestazione, attuata per varie ragioni (es. pascolo, legname per costruzioni o per ricavarne carbone).
In pochissime zone, ossia sostanzialmente nell'Appennino Ligure orientale (confine tra le province di Piacenza, Parma e Genova) esisteva probabilmente una fascia di vegetazione subalpina a conifere (pino mugo e abete bianco) di cui si notano ancora lembi abbastanza estesi nella zona del Monte Nero (PC) e più frammentati e molto degradati sui monti Ragola (PR) e Aiona (GE). Tranne situazioni particolari (es. rupi e suoli molto acclivi e instabili, in cui la vegetazione arborea non può attecchire) al di sotto dei 1700 m in Appennino Settentrionale la copertura arborea della faggeta o al limite della faggeta con abete bianco (fino ad epoca medievale) doveva essere sostanzialmente continua.
Vi sono alcuni nuclei di bosco di abete rosso naturale (pecceta) nella valle del torrente Sestaione, molto vicina al Passo dell'Abetone, si ipotizza che siano il relitto di una precedente copertura boschiva, che probabilmente raggiunse la massima espansione durante il postglaciale nella cosiddetta "Fase preboreale recente" (8000-7000 AC) e che regredì durante la cosiddetta "Fase atlantica" (5500-2000 AC), quando è iniziata l'espansione del faggio, specie che in Italia è probabilmente giunta dai Balcani meridionali e non come si potrebbe pensare dalle coste atlantiche.
Sulle Alpi la questione è talmente complessa da non essere nemmeno riassumibile in un post... Per ora i principali effetti dei cambiamenti climatici si avvertono molto in quota, ad esempio al confine tra piano alpino superiore e piano nivale, dal momento che, con la ritirata in quota dei ghiacciai, gli spazi lasciati liberi vengono colonizzati rapidamente da piante erbacee, che comunque sono già presenti a quelle quota nelle aree libere dal ghiaccio. In pratica dove 50-100 anni fa c'erano fronti glaciali, che sono retrocessi di centinai di metri a monte (e di decine di metri in altitudine) oggi ci possono essere estese praterie pioniere a Carex firma.
Infine si osserva anche la presenza di piante legnose a quote insolite, cosa che avveniva anche 50, 70 o 100 anni fa, ma con minore frequenza... Se un seme di abete rosso germina a 2600 m oggi la pianta che ne nasce ha molte più possibilità di sopravvivere per più annate consecutive di quante ne avesse nel 1880 o nel 1960... ovviamente questo è il probabile preludio a una risalita del bosco di conifere e a uno spostamento dei piani vegetazionali verso quote più elevate. Tuttavia l'accelerazione di questo processo, a quote medie e basse (diciamo sotto i 1800/2000 m) è meno evidente, probabilmente perché mascherata da altri fattori e soprattutto perché la scomparsa delle zone prative alto montane e subalpine, sotto i 2000-2200 m, è in gran parte attribuibile alla normale e fisiologica espansione del bosco di conifere e delle lande a mirtilli, rododendri e ontani verdi e non direttamente ai cambiamenti climatici.
Ultima modifica di galinsog@; 08/11/2019 alle 14:14
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Ottima analisi di posti che mi ricordano l'infanzia ( la Liguria ) mi ricordo un aspetto circoscritto ma interessante: oltre i 900 m. dove si colloca il limite superiore del bosco misto con quercie ed inizia generalmente la faggeta, su alcuni pendii molto assolati ed acclivi (i ripidi versanti sud del monte Ramaceto e del monte Zatta), il bosco finisce e comincia una fascia steppica con solo qualche albero cespuglioso sparso.
Penso sia un fatto naturale e non dovuto a sfruttamento antropico ( versanti sono quasi inaccessibili e sotyo quella quota il bosco c'è) ma è forse dovuto a picchi di aridità estiva di quri versanti assolati, eccessiva per il faggio e fuori dai limiti altitudinali delle quercie.
Sarebbe un posto per i pini silvestri...
Sugli stessi monti, ma sui versanti a nord vegeta una bellissima faggeta sino ai crinali.
Anche il versante sud del monte Aiona presenta tale particolarità ma sembra più una fascia ricreata artificialmente per il pascolo ed il versante non è ripido.
No Ennio, non è naturale, probabilmente si è creato un feed-back tra taglio della copertura arborea, tra Basso Medioevo ed Età moderna, dilavamento dei versanti e conseguente asportazione del suolo. La faggeta non si è reinsediata perché il suolo è troppo sottile e il suolo è troppo sottile perché non ha copertura arborea e viene dilavato dalle piogge. Tra l'altro per quanto l'esposizione possa favorire il soleggiamento non sono per nulla zone aride in estate, né dal punto di vista precipitativo (le cumulate trimestrali estive in quell'area sono vicine ai 300 mm) anche l'u.r. non è per nulla bassa, anzi spesso oltre i 1000-1100 m si hanno nebbie orografiche e ulteriori precipitazioni "occulte". Secoli fa si sono tagliati alberi in posti veramente assurdi per acclività dei versanti, per cui non mi stupisce affatto che il taglio degli alberi sia stato effettuato anche sul ripido versante meridionale del Monte Zatta... poi ovvio che su roccia viva il faggio non attecchisca, ma di roccia viva non ce n'è tantissima...
Il caso dell'Aiona è particolare: l'altopiano sommitale va da 1630 m circa ai 1702 m di quota, quindi è prossimo al limite naturale della faggeta e, vuoi per i forti venti da cui è investito per molti giorni all'anno, vuoi per il cosiddetto effetto vetta, è probabilmente troppo ostile per ospitare una faggeta d'alta quota e infatti ospitava quasi sicuramente estese formazioni di pino mugo e alcune piante di mugo ci sono ancora oggi in mezzo alla prateria alto/montana. L'Aiona è costituito in gran parte da affioramenti ultramafici che prevalgono anche sul versante meridionale, almeno dai 1200 m in su... questi substrati sono particolarmente ostili all'insediamento di comunità vegetali evolute e di fatto rallentano ulteriormente un'eventuale colonizzazione.
Ciao Galinsoga, bella disamina.
Cosa sarebbe l'effetto vetta?
Come ti immagini tra 100 anni, in caso di aumento termico di 2°, il limite delle specie vegetali in quota? Spostato verso l'alto? O una situazione "ibrida" in cui vecchi residui del clima passato resistono in una vegetazione che cresce grazie al nuovo clima?
Insomma: se dovesse aumentare la temperatura, ci sarebbe un complessivo cambiamento della vegetazione a una data quota?
nell'agosto 2018 ho fatto un'escursione ad anello dal Lago Santo Modenese (m 1.501) alla cima del Monte Giovo (m 1.991) e ritorno. Sopra i 1.600 m, dove finisce la faggeta, (in realtà è quello il limite sull'Appennino settentrionale) ho notato la prevalenza del ginepro.
Ridisceso e fatta la mia traversata a nuoto del lago, ho conversato con un mio coetaneo stabilitosi a Bologna, ma cresciuto proprio a Tagliole, il villaggio lì sotto, a 1.100 m, uno dei posti più sperduti della nostra montagna.
Mi ha raccontato che ai tempi della sua infanzia, quindi ancora nei '60, le praterie di quota erano nere di pecore. Allora ho pensato che adesso ciò sarebbe impossibile: è tutto ginepri. A quei tempi evidentemente i pastori badavano a toglierli appena provavano a diffondersi. Adesso sarebbe un lavoro immane.
Ultima modifica di alnus; 09/11/2019 alle 10:51
Tieni conto che la forma alpina del ginepro (Juniperus communis var. saxatilis) alle quote inferiori tende ad avere un comportamento da pianta pioniera, conosco abbastanza bene la conca del lago Santo e del Lago Baccio e secondo me, anche per le specie erbacee che trovi attualmente nelle formazioni a ginepro, il limite naturale del bosco è un centinaio di metri più in alto di dove è collocato oggi, ossia più verso 1700 che sui 1600 m...
In prossimità delle vette, specie nelle aree di clinale, i forti venti possono impedire la formazione del bosco anche in aree poste poco al di sotto del limite della faggeta. Direi che mi attenderei più una situazione ibrida a quote medie e medio-alte e una maggiore avanzata del bosco alle quote più elevate (insomma non mi stupirei se il limite superiore del bosco subalpino di conifere dai 2100-2300 m attuali salisse in media magari verso i 2500-2600). Soprattutto mi attenderei un generale spostamento verso l'alto di quello che oggi è il piano alpino, in funzione dell'arretramento in quota di quello nivale.
Galinsog sicuramente di vegetazione e geologia ne sai molto più di me, ma ti invito ad esaminare, tramite google earth i monti di cui parlamo:
Zatta (1404), Ramaceto (1345),ma anche il più basso Caucaso mostrano tutti il diradamento degli alberi sui versanti sud oltre i 900 metri ( limite delle quercie) ma non sono abbastanza alti per la faggeta sempre su quei versanti sud, infatti sull'Aiona ,sul versante sud,la faggeta rimane alta (parte dai 1300-1400 ed arriva in alto a 1600, mentre scende negli impluvi fino a 1240, sempre su pendii a sud).
Se c'è stato disboscamento, perché hanno preso solo i faggi e non le quercie poste in terreni più accessibili, e perché hanno trascurato le belle fustaie di faggio che occupano a perdita d'occhio i versanti nord di quei monti?
Del resto ho osservato fenomeni simili sulle Alpi: ricordo da ragazzino sopra Bardonecchia, salendo una valle orientata da ovest ad est , il versante nord ricoperto di larici ed il versante sud assolutamente privo di alberi: una piccola valle ove questa dissimetria era osservabile a poche decine di metri di distanza,quindi a parità di condizioni metro, ma non di giacitura dei terreni)
Per versante Nord, intendi quello esposto a Nord? Sarebbe in realtà il versante Sud, a bacìo, quello più in ombra?
Penso che possa derivare sempre dalle esigenze di pascolo e/o fienagione: specie sulle Alpi, ma anche in Appennino, viene sempre preferito in quanto si libera della neve molto prima.
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