quindi ricapitolando
un globo mediamente caldo sia in atmosfera con una maggior presenza di evaporazione al netto di altri fattori favorisce la proliferazione degli organismi fotosintetici a terra
nei mari stante la buona risposta del fitoplancton a temperature sino a 26 c'è ugualmente più sensibilità all'assorbimento della co2, a questo si contrappone la minore solubilità in acqua calda
la presenza di polveri abbondante nei periodi di massimo secchi e ventosi quindi anche ben redistribuita, in calo progressivo con l'aumentare progressivo dell'evaporazione, delle superfici marine libere dai ghiacci e delle prc su fasce latitudinali sempre maggiori
copertura nuvolosa come avevamo detto via via in aumento ma controbilanciata da un'atmosfera più pulita in minor presenza di nuclei di condensazione
sui parametri orbitali comunque c'è da considerare che l'eccentricità con i suoi cicli superiori da te ottimamente esposti potrebbe trovare allineamenti favorevoli con gli altri cicli su tempi ben superiori a quello del suo ciclo primario dei 100000
Non abbiamo citato un altro fattore, anche se è molto dibattuto non essendoci stati studi che ne misurassero con precisione l'entità. Sto parlando dell'upwelling oceanico.
In effetti l'upwelling è scatenato dal vento. In un modello ideale di avvio di una glaciazione l'abbassamento dei fronti perturbati dovrebbe esporre a forti venti aree prima interessate prevalentemente dalla fascia di anticicloni subtropicali, causando quindi risalita delle acque più fredde in profondità. In teoria ciò dovrebbe accelerare il raffreddamento delle latitudini temperate.
Durante l'inizio di un interglaciale, invece, configurazioni più stabili dovrebbero ridurre l'upwelling, e facilitare dunque il riscaldamento per minore rimescolamento con le acque profonde.
Ho letto anche di ipotesi (non suffragate da prove però, pure speculazioni) che immaginavano come la glaciazione potrebbe, a un certo punto, produrre un pattern atmosferico stabile che tuttavia limita l'upwelling, innescando un riscaldamento nel momento in cui il forcing orbitale diventa positivo.
Ultima modifica di burian br; 17/10/2019 alle 00:19
Bravissimo burian, ottimo lavoro. Questo è uno degli articoli a cui mi riferivo, che ipotizzano la combinazione di maggior stabilità delle calotte glaciali e riduzione di CO2 come causa della transizione.
Sull'upwelling sono più dubbioso, perché il discorso non è affatto semplice. Se c'è upwelling ci deve essere anche downwelling da qualche parte, quindi bisogna anche vedere dove avviene il downwelling. L'accelerazione della circolazione termoalina è una delle classiche situazioni in cui un maggior upwelling produce riscaldamento (perché il downwelling avviene ai poli e produce l'inabissamento di acque molto fredde).
Quindi un feedback in cui la circolazione termoalina è fortemente ridotta e quindi l'oceano tende ad accumulare calore in profondità anche se il clima è relativamente freddo potrebbe essere tranquillamente associato ad un upwelling ridotto (situazione enso+ permanente tipica delle fasi glaciali) e una sua successiva accelerazione potrebbe portare ad un riscaldamento improvviso.
Ci vorrebbe una analisi molto rigorosa per dire qualcosa di sensato sul tema.
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Di illuminante in quelli studi ho trovato il fatto che la sensibilità climatica alla CO2 può variare fortemente a seconda delle condizioni. Forse se la Terra ancora non si è scaldata molto oggi è dovuto al fatto che c'è ancora ghiaccio a sufficienza a controbilanciare il tutto, ma vien da sè che se si scioglierà sempre più senza altri feedback negativi a contrastare per ogni ppm di CO2 in più nell'atmosfera, ne deriverà un forcing radiativo "indiretto" maggiore.
L'assenza di analisi rigorose, come dici, è proprio il motivo per cui sono speculazioni e nessuno studio serio ha affrontato ancora adeguatamente l'argomento, non almeno tra quelli che ho rintracciato. Un ruolo dell'upwelling è stato supposto e tentato di dimostrare nella transizione Pliocene-Pleistocene, ma credo sia ancora presto per parlarne, e al di là del titolo dello studio e dell'abstract non ho approfondito.
Ne approfitto per porre una premessa importante: prima del Pleistocene, a parte che in Antartide, di calotte glaciali permanenti non ve n'era traccia, un po' come avviene negli interglaciali. Ciò significa che solo 2,6 milioni di anni fa cominciarono a comparire le glaciazioni, e l'alternanza glaciale-interglaciale.
Lo dico perchè ci si poteva chiedere come mai le dinamiche delle calotte glaciali abbiano modificato il suolo continentale solo nel corso del Pleistocene, e non prima.
Questo appunto perchè prima di 2,6 milioni di anni fa a parte i normali agenti erosivi (pioggia, vento) nessun fattore scavava il letto roccioso, che era ricoperto da sedimenti, non essendoci glaciazioni. Solo quando le calotte si formarono e crebbero a ritmi alterni cominciò l'opera di "scavo".
In altre parole, potrebbe essere benissimo che la MPT (se le ipotesi di quegli studi fossero corrette) non si sarebbe verificata senza prima avere una fase della durata di 1,5 milioni di anni in cui le glaciazioni si verificano ogni 41000 anni.
Circa le circolazioni termoaline: ho letto anche che un ruolo (seppure minimo) nel maggiore sequestro di CO2 dall'atmosfera potrebbe aver giocato "la superficializzazione dell'AMOC" (in inglese parlava di "AMOC shoaling"). Non so bene di che si tratti, o se abbia tradotto e capito bene.
Da quanto ho capito da rapide ricerche del tutto imperfette avrebbe reso disponibili più nutrienti per il plancton attivando ulteriormente la fotosintesi e il sequestro di CO2 (sebbene giocando un ruolo del tutto secondario rispetto alla polvere di ferro).
Parlando del Pleistocene, diviene fondamentale la distinzione tra periodo glaciale e interglaciale.
Quest'oggi vi sottoporrò quindi una discussione epistemologica, più che scientifica, che concerne un concetto tanto apparentemente semplice e banale, quanto in realtà dannatamente complicato: come definire un interglaciale?
La domanda sembra stupida, ma credetemi, non lo è per niente!
D'altronde quando si vogliono imporre dei limiti netti, in qualsiasi campo, ci si domanda se siano validi, e si scopre spesso che una definizione stringente è impossibile da dare, e anche come quelle più generaliste non tengano bene in ogni situazione...
Capire cosa sia un interglaciale è importante per definire tutti gli altri, e distinguerli dagli interstadiali.
Questo perchè tutti i MIS (Marine Isotope Stages) indicati con numeri dispari segnalano picchi verso l'alto delle temperature, ma non tutti raggiungono lo stesso livello: alcuni infatti si collocano più in basso, pur rappresentando fasi più miti.
Non solo: molti MIS sono "scomposti", e mostrano più picchi in periodi di tempo ravvicinati. Ognuno di questi picchi, collocati all'interno dello stesso MIS, è sottoclassificato con lettere dell'alfabeto:
Come si nota, i MIS 5, 7, 9, 15 hanno addirittura 3 picchi (a, c, e).
Molti di questi nemmeno sono indicati in tutti i proxy: questo perchè in alcune aree del pianeta un picco di un MIS può essere più evidente di un altro, oppure altri possono essere assenti. Talora i proxy di diverse zone del mondo mostrano lo stesso MIS, ma esso appartiene a un picco differente (per esempio A e non C o E). Ce se ne accorge dalla datazione temporale, perchè lo stesso MIS (come il 5) può avere una collocazione temporale risalente a migliaia di anni prima (o dopo) in un sito o in un altro, e ovviamente si riferiscono ad eventi di aumento termico differenti.
Guardando quel grafico si vede anche come alcuni MIS sono del tutto su livelli diversi rispetto ad altri: i MIS 1, 5, 9, 11 sono infatti più alti rispetto agli altri (7, 13, 15, 17). Ma quindi quali sono interglaciali? Tutti? O alcuni sono interstadiali?
La definizione di interglaciale sarebbe quella di un periodo di clima più mite incluso tra due glaciazioni.
L'interstadiale sarebbe invece una fase più mite che tuttavia non è tale da consentire un adeguato ritiro dei ghiacci e l'espansione delle foreste verso il polo. L'interstadiale pertanto sarebbe sempre parte di una glaciazione.
I problemi sorgono a questo punto: quando inizia un interglaciale? Quale è un interglaciale e quale no?
Si è discusso intanto del criterio da adottare:
- un concetto manicheo di cambiamento, in cui o si è in una glaciazione, o si è fuori. Purtroppo in ambito climatico è praticamente impossibile sostenerlo, e non si trova riscontro nei dati
- un interglaciale deve essere caldo quanto o più dell'Olocene. Ovviamente pone problemi, per quanto sarebbe buono come criterio, perchè innanzitutto non ci sarebbero interglaciali tra 800 e 450mila anni fa (vedi i MIS più bassi) e inoltre non si può calcolare la temperatura media globale dato che come già detto diverse aree del pianeta possono esperire il riscaldamento non nello stesso momento, ma anche con ritardi considerevoli l'uno dall'altro
- fissare un limite netto. Sarebbe ottimo perchè fissa un criterio oggettivo, ma dipende dal parametro scelto (CO2? Volume dei ghiacci? Temperatura? Livello del mare?) e anche dal punto in cui si fissa tale limite (e così ritorniamo al punto precedente: se si fissa un limite troppo basso, si calcolano come interglaciali anche quelli che sarebbero più probabilmente interstadiali, ma se fissato troppo in alto si escluderebbe che siano esistiti interglaciali tra 800 e 450mila anni fa)
- fissare un limite variabile a seconda del periodo: poco oggettivo, anche se pratico perchè ovvia al problema di prima
- fissare un limite netto, ma anche una deviazione standard entro cui poter parlare di interglaciale
- un interglaciale inizia con la terminazione di una glaciazione: difficile capire cosa sia questa fine di una glaciazione
- considerare come interglaciale solo il picco più alto di ogni MIS: limitante, perchè ad esempio in MIS 7 un picco predominante vero e proprio non esiste, e definire come interglaciale solo il 7e sarebbe davvero esagerato
Al di là di questa scelta "concettuale" resterebbe capire quale parametro adottare per fissare un limite.
Indipendentemente dal parametro, sarebbe desiderabile che il metro usato abbia significato globale, tale da definire gli interglaciali come fenomeni che possono essere considerati su ampie aree (o del globo intero) anche se la loro espressione regionale non è uniforme o sincrona.
Si può pensare di usare il forcing orbitale esterno al sistema climatico terrestre, che è poi quello predominante e determinante. L'analisi dei record paleoclimatici tuttavia mostrano come non sia possibile usare i parametri orbitali (eccentricità, precessione e obliquità) per definire gli interglaciali, soprattutto dopo l'MPT.
Si può definire l'interglaciale come un periodo in cui il clima globale è incompatibile con un'estensione molto ampia delle calotte. Ciò si traduce quindi in un aumento dei livelli del mare. Ergo, l'interglaciale sarebbe annunciato da una trasgressione marina. Ma a parte che è difficile capire dove e quando i livelli del mare aumentino nei dati, questi possono essere usati come una spia appunto di un interglaciale "coming soon" piuttosto che di un interglaciale già in corso...salvo non voler far iniziare l'interglaciale con ogni aumento termico e del livello dei mari (ma lo stesso accade con gli interstadiali).
Ancora, si può scegliere di definire un interglaciale come il periodo in cui il livello del mare è alto tra 0 +/- 20 m rispetto ad oggi (Olocene), e distinguere gli interstadiali dagli interglaciali sulla base di presenza di calotte glaciali significative fuori dalla Groenlandia nell'emisfero Nord. Un esempio è dato dal MIS 5 (Eemiano). In realtà si distinguono tre massimi, di cui due relativi e uno assoluto (che corrisponde poi a quello che correntemente chiamiamo Eemiano appunto: MIS 5a). I MIS 5a/c infatti videro molto ghiaccio in Scandinavia, pur in un clima che improvvisamente divenne più mite rispetto al calo netto tra i MIS 5a/c e 5e. Sarebbero dunque interstadiali.
La questione diviene più spinosa con i MIS 7. In questo caso sarebbe difficile parlare di un solo interglaciale, perchè nel mezzo si ebbero crolli termici degni dell'era glaciale, ma picchi positivi non sui livelli dell'Olocene, ma comunque più alti dei MIS 5a/5c. Sarebbe un'unico interstadiale? E' interglaciale solo un periodo di quei MIS alti?
Insomma: se è vero che oggi si notano ogni 100mila anni degli interglaciali, forse è meglio parlare di picchi significativi di clima mite, perchè molti picchi caldi considerevoli nel mezzo di quei 80-100mila anni di "glaciazione" sono degni forse di essere chiamati interglaciali.
La questione è approfondita in questo studio, che ho citato parzialmente. Credo sia una peer review anzi, e cita tantissimo altro che in futuro potremmo trattare.
Interglacial of the last 800000 years
Ultima modifica di burian br; 19/10/2019 alle 06:20
Il problema dei 100mila anni insomma potrebbe essere relativo: in effetti i picchi degli interglaciali precedenti i 500mila anni fa difficilmente sono stati alti quanto l’Olocene, e questo già dall’inizio del Pleistocene. Poche sono state le volte in cui si è raggiunta una temperatura paragonabile a oggi.
Molti degli interglaciali “mancati” degli ultimi 500mila anni potrebbero essere dunque tali sono apparentemente, in quanto siamo fuorviati dal confronto con i picchi dell’Olocene, dell’Eemiano e dei MIS 9 e 11.
Ma a ben guardare da tutti i grafici che posterò gli altri interglaciali hanno avuto picchi paragonabili a molti MIS dispari più recenti, i quali seguono un ciclo simile a quello dei 41000 anni.
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Tra laltro, alcuni interglaciali major (cioè degni dell’Olocene), come i MIS 9 e 11, sono distanti tra loro solo 50-60mila anni. Altro caso la distanza temporale tra MIS 7e e MIS9. O tra MIS5e (Eemiano) e MIS7a-c. Volendo il ciclo sarebbe rispettato se considerassimo 13a come interglaciale vista la equidistanza da MIS 15 e MIS 11 (anche perché “saltando” 13a come interglaciale avremmo una glaciazione di ben 120-140mila anni!).
Se considerassimo poi MIS 7e e MIS7a/c come interglaciali distinti (visto che nel mezzo c’è un vero e proprio clima glaciale), avremmo rispettato nuovamente il ciclo dei 41000 anni alla perfezione. Stesso caso considerando distinti per eguale motivo 15a e 15c.
Forse dunque la domanda diviene un’altra. Non più perché gli interglaciali si distanziano 100mila anni circa, ma perché ogni 80-120mila anni c’è un interglaciale major da circa 500000 anni, e come mai i picchi verso il basso siano più profondi.
Ultima modifica di burian br; 19/10/2019 alle 06:21
sul discorso della classificazione del periodo glaciale penso che il riferimento non debba essere la caratteristica dell'interglaciale stesso ma del picco glaciale
quindi una volta stabilita la consistenza del massimo glaciale si potrebbe fissare un intervallo di confidenza tra arretramento glaciale-aumento termico-livello dell'oceano che del resto sono tutte interconnesse
quanto al problema che hai posto qui sopra (a proposito io non voglio responsabilità per la tua carenza di sonno ) sinceramente non mi spaccherei il cranio sui valori puntuali e gli intervalli e mi accontenterei di prendere atto di una ciclicità che rimane tutto sommato coerente nell'arco dell'ultimo milione di anni
parliamo pur sempre di riferimenti spannometrici
poi naturalmente all'interno di ogni oscillazione sono coinvolti dei caratteri peculiari endo-esogeni che si combinano a seconda dei casi in modo diverso e vale il discorso che son sempre le sfumature a fare la differenza, cosa che non possiamo pretendere di cogliere compiutamente a queste distanze
p.s.
se non l'hai già fatto puoi inserire la fonte dei grafici
I grafici sono gli stessi usati in questo thread. L'ultimo è ricavato da quello studio che ho citato nell'intervento sugli interglaciali, l'altro da qui (Three Million Years of Climate Change | Climate Concerns) e infine il primo da qui (Dust deposition on ice sheets: a mechanism for termination of ice ages? | Climate Etc.).
Gli ultimi due sono siti scettici sul GW antropogenico. Lo dico per non destare dubbi sull'attendibilità dei dati che comunque sono validi.
Il fatto è che finchè ne parli genericamente va bene, ma quando devi riferirti a uno specifico di quelli non sai se chiamarlo interglaciale o meno, perchè il problema dei 100mila anni pare essere relativo: praticamente ogni 60mila anni comunque continua a esserci una fase più calda (o più fredda), e quelle fasi più calde sono sugli stessi livelli degli interglaciali precedenti l'MPT. Le differenze che portano a non considerarli interglaciali "puri" insorgono solo dal confronto con gli ultimi (come Olocene ed Eemiano).
Infatti in tutti gli studi i periodi caldi sono indicati solo con i relativi massimi dei MIS (per esempio MIS 7), e non con il nome dell'interglaciale, che possiedono solo Eemiano e Olocene (e l'interglaciale Holstein). Per le glaciazioni il problema si pone meno.
Su Wikipedia si capisce bene come ci sia confusione nei termini (addirittura sulle Alpi si parla di "Gunz complex" come il complesso glaciale per l'intero periodo tra 1 milione e 370mila anni fa).
A questo link c'è una tabella: si distingue infatti tra "interglaciali forti" (come l'Olocene) e "interglaciali moderati". Se consideriamo solo quelli forti, sarebbero interglaciali solo i MIS 1, 5, 9, 11 nell'ultimo milione di anni.
Timeline of glaciation - Wikipedia
Se invece consideriamo anche gli "interglaciali moderati" avresti 11 interglaciali, quindi 1 ogni 80mila anni, ma con alcuni distanti solo 50mila anni.
In ogni caso c'è stata di certo una dilatazione e una variazione nella lunghezza d'onda.
Diciamo che per il nostro discorso da appassionati e non da studiosi va bene prendere atto della ciclicità senza soffermarci più di tanto, però per gli scienziati non è del tutto indifferente.
PS: Non ti preoccupare, sono io ad essere andato a letto ieri tardi per altri motivi, non per gli interglaciali
Ultima modifica di burian br; 19/10/2019 alle 15:38
no ma non fraintendere, non volevo liquidare frettolosamente il tema che giustamente hai posto
solo che dubito ci siano gli strumenti per scendere nei dettagli che caratterizzano la differenza tra le oscillazioni per le ragioni di cui sopra
però se vogliamo provarci non mi metto a piangere
una cosa che possiamo dire con certezza invece è che la pendenza rispetto alla direzione dellle oscillazioni è coerente con le tempistiche che ci aspettiamo in rapporto agli effetti domino che si mettono in moto
estremamente rapidi per le transizioni calde e viceversa
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