Ricordo che in Puglia ho visto zone dove c'erano tantissimi ulivi, ovunque ti giravi c'erano solo ulivi e nient'altro. Per alcuni forse sarà bello un paesaggio del genere ma per me no, troppo monotono e modificato dall'uomo.
Idem per le Marche. Quello che servirebbe è riuscire a connettere questi boschi residui collinari e planiziali con quelli di montagna per permettere lo scambio genetico e vie preferenziali per gli animali con riduzione incidenti etc.).
Boschi collinari residuali come l'Abbadia di Fiastra sono importantissimi ma purtroppo si stanno impoverendo anche perchè la gestione (non gestione) lascia a desiderare: Nei primi anni '90 resero addirittura protetto il Ruscus aculeatus (pungitopo) che ha invaso parte del bosco e dando fastidio alla rinnovazione. Inoltre questo bosco (un tempo gestito a ceduo composto con grandi alberi per la ghianda ed il resto per la legna) non è più utilizzato nè diradato per cui si sono chiusi gli spazi facendo ridurre il nome delle specie vegetali arboree, arbustive ed erbacee da circa 400 alle attuali 150.
Un altro esempio di come l'abbandono dei boschi e delle praterie porti effetti negativi e di come l'incremento della superficie boschiva non sia sempre positiva ma dipende : dipende dove, come , con quali specie, con quale gestione!
Stiamo perdendo un sacco di praterie secondarie e i relativi habitat unici al mondo!
Gran parte del territorio pugliese ha subito nel corso dei secoli un progressivo disboscamento delle aree rurali per poterle adibire a pascolo e coltivazioni, miste seminativo/fruttifero fino al 1800 e con fortissima prevalenza di oliveti e vigneti a seguire. Il territorio del resto si presta benissimo, considerando le scarse pendenze. Il risultato vede oggi una larga percentuale del territorio priva di boschi e prevalentemente coltivata (la pastorizia è limitatissima ormai). Prima della xylella si contavano circa 60 milioni di esemplari di olivo nella nostra regione.
Tuttavia nel corso del XX secolo (diciamo dalla fine degli anni 20 fino agli anni 60) è stata realizzata un'opera di rimboschimento della Murgia con l'utilizzo di conifere: in prevalenza pini (pinus pinea e halepensis), cipressi (comune, dell'arizona) e cedri (deodara e atlantica). Questi rimboschimenti, che hanno dato vita ad alcuni dei boschi più grandi dell'area come quello di Mercadante e Acquatetta, miravano a contenere l'erosione del suolo, evitare le alluvioni a valle (a Bari ce ne sono state di disastrose proprio nei primi decenni del 900) e a favorire il rimboschimento con le sue specie endemiche latifoglie.
Oggi infatti, sotto la coltre di conifere, è possibile osservare esemplari di quercia che ormai cercano di farsi largo tra gli aghi di pino. Non è improbabile infatti che quei boschi diventino, nel giro di qualche altra decina se non centinaia di anni, dei veri e propri boschi misti di conifere e latifoglie tipiche dell'areale mediterraneo. Non mancano comunque i boschi endemici, anche se sono davvero di piccole dimensioni specie se confrontati ai boschi di altre aree della penisola. Tutti questi boschi sono esclusivamente di latifoglie (roverella, fragno, cerro, leccio, orniello, perastro, prugnolo) e si trovano prevalentemente lungo il versante nordorientale della Murgia. In passato non è improbabile che questi boschi si estendessero fino alla costa, un po' come oggi è possibile osservare in molte aree adriatiche più settentrionali. Una testimonianza, in tal senso, è il bosco dell'Incoronata: uno dei pochi boschi planiziali sopravvissuti in Italia e situato nel cuore del Tavoliere, poco più a nord.
In allegato un'immagine da google maps in cui ho evidenziato alcuni dei rimboschimenti della Murgia (giallo) e i residui boschi di latifoglie (arancio)
Ultima modifica di Marco*; 27/04/2022 alle 09:55
A Lanciano per esempio nei fitti boschi dei valloni intorno alla città ( composti da ornielli, carpini neri, aceri, roverelle, cerri, pioppi , ecc) si sono insediati spontaneamente dei cervi , che sono monitorati dalle guardie forestali.
Presumibilmente la discesa di cervi e caprioli verso le aree collinari e costiere è causata dell'espansione del lupo in montagna.
Sarebbe da indagare a dovere ma sì, anche io penso il motivo sia questo.
Riguardo l'ennese aggiungerei:
- piovosità fra le più basse d'Europa, le propaggini sud orientali della provincia credo fatichino a raggiungere i 400mm.
- suoli troppo argillosi che rendono difficile l'arboricoltura. In pratica, non puoi impiantare un albero e sperare che ti cresca, anzi significa condannarlo a morte certa. E questo lo dico anzitutto per esperienza diretta.
- mancanza di una "mentalità verde". Questo punto vale praticamente per ogni comune della regione, tranne forse per quelli montani che hanno inevitabilmente una migliore predisposizione al mantenimento del verde. Faccio un esempio. In due mesi ho visto piantare a Padova una quantità di alberi che qui posso solo sognare e anzi, tornato in paese, ho trovato intere vie di alberi capitozzati o tagliati direttamente alla base, che mi è venuta una meravigliosa voglia di cavarmi gli occhi.
- è stato già detto, gli incendi. Solo l'anno scorso nel territorio del mio comune saranno andati in fumo qualcosa come 500 ettari, ad essere ottimisti. Ma dove vogliamo andare?
Continuando il discorso sul mio comune, c'è da dire che nel secondo dopoguerra vennero effettuati rimboschimenti più o meno diffusi, volti più che altro al mantenimento di costoni e pendii, ma che hanno comunque creato una discreta oasi montana di verde. Mi ha lasciato interdetto osservare foto degli anni 30'-50' di paesaggi desolanti!
Riguardo la provincia, i rimboschimenti furono condotti soprattutto con piantumazioni di Eucalipto concepiti, credo, per una ipotetica produzione di carta e legno. Il risultato è che oggi, soprattutto nelle zone meridionali della provincia, è più comune vedere boschetti di questi immensi alberi piuttosto che di conifere o macchia.
In definitiva, fai bene a definirlo simil-desertico, perchè lo è. Paesaggisticamente e anche a tratti climatologicamente. Ma c'è da dire (anche questo penso sia stato già scritto nella discussione) che la mappa non ha la risoluzione adatta a rilevare quei pochi fazzoletti di bosco\macchia mediterranea che comunque, pur in una situazione desolante, sono presenti.
Foto del mio comune dell'anno scorso
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Foto del 1953. Sbarramento della diga Ancipa appena terminata. Oggi tutto quel territorio è molto più ricco di boschi e proprio l'anno scorso è stato vittima di incendio.
Entrambe le foto fanno parte dell'archivio del signor Basilio Arona.
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Il territorio pugliese è stato profondamente modificato dall'uomo, al tempo dei Romani probabilmente ci vivevano quasi un milione di persone (di cui più di 150mila probabilmente solo tra le città di Brindisi e Taranto; Brindisi forse era popolata quanto oggi!), quindi non è mai stato disabitato e già all'epoca era molto antropizzato.
Lungo le pianure (fondamentalmente piane costiere + Salento) non è rimasto quasi nulla delle antiche foreste che ricoprivano il territorio, ed era così già secoli orsono.
Gli ulivi sono monotoni (condivido che la monotonia pugliese non l'ho riscontrata mai altrove), ma almeno sono degli alberi esteticamente molto belli, sinceramente li preferisco a distese coltivate senza alberi nell'impossibilità di avere foreste che non possono più esistere.
Se non sbaglio i boschi visibili non c'erano, sotto al Corso Calabria c'era un terreno brullo sede del periodico mercato del bestiame.
Non so i boschi intorno al lago Sartori, quello originato dalla diga di Ancipa, che non sono di conifere.
Mi avevano detto (decenni fa, ero un ragazzino) che i rimboschimenti a conifere erano il pri,o passo di un successivo rimboschimento con altre essenze ma non ho mai visto tale sostituzione.
Così come decenni fa lessi che il disboscamento serio ci fu in età romana, per far largo alla coltivazione di cereali.
Poi magari il disboscamento ha a sua volta innescato un meccanismo di erosione della parte di terreno adatta agli alberi e forse anche del clima.
Teniamo conto che fino all'avvento del carbone da miniera il legno era la sorgente energetica utilizzata ovunque per cucinare, in Sicilia probabilmente fino all'arrivo del gas in bombola, per cui fino a meno di 100 anni fa ancora si usava la legna che veniva da sempre più lontano in quanto il consumo non era compensato dalla ricrescita.
Anche l'Abete siciliano infatti (Abies nebrodensis), che ho mostrato sull'altro 3d, in epoca romana ricopriva estese zone dei Peloritani e delle Madonie, è stato sull'orlo dell'estinzione (tanto che da inizio '900 fino agli anni 50 fu considerato estinto) per decenni anche per l'intensissimo disboscamento dei secoli passati.
Questa cosa che cito si riconduce che ci sono pochi alberi per colpa dell'intenso disboscamento
Sì tutto il territorio attorno al paese erano praticamente lande desolate, anche a sud, dalla parte dei due monasteri di San Michele e verso il monte Salice. Ci sono diverse foto (sempre dall'archivio del signor Arona) dalle quali appare evidente.
Ma c'è da dire che tutti gli altri terreni, quelli coltivati e coltivabili a quote via via minori, erano invece distese di mandorli e vigne, un po' meno olivi. Quindi nel complesso doveva apparire molto più verde rispetto ad ora.
Al lago Sartori io ho visto abbattere solo i pini domestici, ma penso per il loro vizietto di cadere in caso di forti raffiche. Sarebbe interessante osservare che ricrescita si sia messa in atto dopo l'incendio dell'anno scorso. La zona colpita era ricca soprattutto di robinie, quindi credo che già adesso abbiano messo fuori diversi ricacci.
Senza ombra di dubbio fino a quando, circa 60 anni fa, i terreni erano coltivati e curati dalle mani sapienti dei contadini erano più fertili ed estranei a fenomeni di erosione. Con l'abbandono delle campagne e l'avvento della meccanizzazione si è andati incontro ad un impoverimento, (e qui sta la desertificazione, non la mancanza di piogge in senso assoluto) e a fenomeni di erosione sempre più pesanti. Oggi senza concime non puoi sperare di fare un raccolto di grano e non c'è rotazione che tenga. Allo stesso tempo, se in autunno ti fa quei 50mm di troppo parte la sagra delle frane, e qui contribuiscono invece le caratteristiche argillose del suolo e la mancanza di tutta la rete di canali e rigagnoli che un tempo stavano alla base di ogni coltivazione.
Più che il legno in se io direi il carbone che se ne ricavava. Tipica era la figura del carbonaio, poco diffusa dalle nostre parti ma comunque presente, stando almeno ai racconti di mio nonno.
In ogni caso si sta parlando di secoli di utilizzo del carbone, dato che come hai detto bene già al tempo dei romani probabilmente ben poco era rimasto delle foreste siciliane.
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