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  1. #21
    Vento fresco L'avatar di alnus
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    Predefinito Re: Vaia e le peccete delle Dolomiti

    20250427_173542.jpg

    Pecci tra faggi ed ostrye nel versante destro della valle Posina, circa m 500.

    Considerate alche le due foto del mio messaggio precedente, che si riferiscono ad un bosco a tre km dal piano padano, considerata anche l'abbondanza di selvaggioni, l'idea che il peccio nelle Alpi sia stato soprattutto introdotto dall'uomo mi sembra irreale.

    Chiunque abbia conoscenza della vegetazione reale sa che le specie introdotte dall'uomo non si comportano così, ma bensì come per esempio il castagno, fino a pochi decenni fa diffusissimo nelle Alpi ed ora, almeno nella loro sezione centro-orientale, praticamente sparito.
    Ultima modifica di alnus; 29/04/2025 alle 08:41

  2. #22
    Vento fresco L'avatar di alnus
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    Predefinito Re: Vaia e le peccete delle Dolomiti

    Citazione Originariamente Scritto da DuffMc92 Visualizza Messaggio
    Come prova dovrei portarti gli appunti di selvicoltura applicata oppure il libro di Del Favero del 2004.

    Ma comunque, raffazzonando un po' quel che mi ricordo:
    - fino ai primi del '900 non c'era un bosco (inteso alla maniera moderna) sulle montagne, tutti pascoli (e qui salta ogni possibile confronto con i danni di Vaia); al massimo le faggete erano ben estese, ma il faggio è veramente la pianta più forte di tutti ad accaparrarsi il territorio;
    - anni '20 autarchia, piantumazione con scopiazzatura del modello tedesco, ossia abete rosso sulle montagne (sopravvive ancora bene sulle prealpi trevigiane, dove a 1400-1500 di quota vedi la linea fatta col righello tra pecceta artificiale e prato d'alta quota), insieme al pino nero sui calcari e, più giù, altri pini come lo strobio;
    - fine seconda guerra mondiale boschi distrutti, allora completamento del lavoro di ''nobilitazione'' dei boschi attraverso, nuovamente, conifere; abete rosso sempre in pole, come dici era facile da diffondere; piantare abete rosso era anche un'opportunità economica per le famiglie locali, che avendo campi e orti bombardati vedevano una fonte di reddito a lungo termine nelle piantagioni di conifere;
    - anni 50-70 feste degli alberi, e giù di nuovo abeti, larici e faggi rispettivamente piantati dai bambini a quote improponibili (300-700);
    - anni sempre 50-70 abbandono ''elegante'' dei pascoli, previa piantumazione a fini ''estetici'' (e forse anche un po' di reddito) di conifere.

    Ecco qui un esempio di lembi di pecceta piantati negli anni '20, belli scuri e quadrati, a 1300-1400 di quota e direttamente sopra l'ostrio-faggeta xerica, molto più rappresentativa della reale composizione del bosco a quella quota e in quell'area geografica (prealpi trevigiane).
    Poi in mezzo ci sono anche dei larici, piantati anche loro col righello appena sotto al prato d'alta quota.

    Immagine


    Questo per quanto riguarda le PRE-alpi, dove Vaia fece la maggior parte dei danni.

    Riguardo alle peccete ''plurisecolari'' (lo disse il TG2 Dossier, poi non importa se il turno medio al di qua del Brennero si aggira sui 90-120 anni) delle Alpi, penso appunto a quella di Paneveggio, ma siccome si parla di abeti ben anzianotti io non so quanto fossero alti nel 1966 perciò non posso fare confronti, come non se ne possono fare di realistici prendendo in considerazione una sola valle (è come farlo coi downburst).

    E prima del '66, considerando i tempi di ritorno di un evento del genere (poniamo di volare indietro alla fine del 1800, tanto per dire), si ritorna al punto 1, cioè all'assenza di peccete pure/a tappeto sulle Alpi - quantomeno fino al settore mesalpico incluso - perché c'erano più pascoli che altro.

    Parlare di prove magari è ardito, ma di sicuro sono tanti indizi.
    Indizi, invece, del fatto che Vaia non abbia precedenti ancora non ne ho e continuo a non capire come possano saltar fuori.
    Posso supporre a tutto spiano che Vaia sia stata la tempesta più forte di sempre, ma oltre alle prove mi mancherebbero anche, appunto, gli indizi.

    Dunque confrontare i danni del 2018 su boschi monospecifici ''intensivi'' che c'erano con i danni del '66 (o prima) su boschi monospecifici che invece NON c'erano (o non così, parlando soprattutto di statura delle piante) rimane per me una supposizione tanto verosimile quanto fantasiosa.
    Sarebbe come dire che io ho la febbre perché il mio termometro rileva 37.2° mentre tu non ce l'hai perché non hai il termometro a casa: faccio ''notizia'' io in qualità di malato, ma magari tu hai 38.3° e non lo sai.
    E' proprio una questione ''strumentale''.

    Le faggete, per contro, hanno subìto molti meno danni e le zone dove c'è abete bianco meno ancora, sono pezzi di foresta ben misti che sanno il fatto loro in termini di resistenza alle tempeste.
    Le peccete non solo sono esageratamente diffuse in lungo e in largo ma l'abete rosso ha le radici talmente superficiali che favorisce l'effetto domino sul resto delle piante, ben spinto anche dal fatto che, a quote basse, la chioma dell'abete rosso è ''a tendone'', quindi intercetta tutte le bave di vento (che quando sono forti vincono a occhi chiusi). Non è come, per esempio, a casa sua - vedi in pieno Cadore o a Cortina - dove le fronde di abete sono piatte, tagliando l'aria.
    Sul punto che Vaia potrebbe anche non essere stata la tempesta più forte di sempre non insisto.

    Invece sull'indigenato del peccio nelle Alpi osservo che nelle ultime righe scrivi che in Cadore e a Cortina esso è "a casa sua", quindi in sostanza mi dai ragione.


    A proposito, sono passato di nuovo da Cortina due settimane fa e bostrico ancora niente.
    Sono ripassato anche dal Livinallongo e devo correggermi: è devastato ma non è vero che non ci siano più alberi vivi (avevo esagerato); ho anche trovato un bel nucleo di abeti bianchi presso il bivio di Cernadoi.

  3. #23
    Burrasca L'avatar di basso_piave
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    Predefinito Re: Vaia e le peccete delle Dolomiti

    Citazione Originariamente Scritto da alnus Visualizza Messaggio
    20250427_173542.jpg

    Pecci tra faggi ed ostrye nel versante destro della valle Posina, circa m 500.

    Considerate alche le due foto del mio messaggio precedente, che si riferiscono ad un bosco a tre km dal piano padano, considerata anche l'abbondanza di selvaggioni, l'idea che il peccio nelle Alpi sia stato soprattutto introdotto dall'uomo mi sembra irreale.

    Chiunque abbia conoscenza della vegetazione reale sa che le specie introdotte dall'uomo non si comportano così, ma bensì come per esempio il castagno, fino a pochi decenni fa diffusissimo nelle Alpi ed ora, almeno nella loro sezione centro-orientale, praticamente sparito.
    Almeno nelle prealpi trevigiane di castagni ce ne sono in abbondanza anche per la raccolta delle castagne. Da Cornuda al Grappa, da Segusino a Combai e fino Vittorio Veneto.

  4. #24
    Vento fresco L'avatar di alnus
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    Citazione Originariamente Scritto da basso_piave Visualizza Messaggio
    Almeno nelle prealpi trevigiane di castagni ce ne sono in abbondanza anche per la raccolta delle castagne. Da Cornuda al Grappa, da Segusino a Combai e fino Vittorio Veneto.
    Va bene, ma ho scritto "praticamente" sparito e se consideri com'era diffuso due secoli fa, non ho sbagliato di molto, anche sul nordappennino.
    Ha sempre necessitato la coltivazione; laddove viene meno sparisce.

  5. #25
    Vento fresco L'avatar di alnus
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    Predefinito Re: Vaia e le peccete delle Dolomiti

    20250504_160658.jpg

    Anche in Wipptal bostrico che disdegna accuratamente abete bianco e larice

  6. #26
    Vento forte L'avatar di DuffMc92
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    Predefinito Re: Vaia e le peccete delle Dolomiti

    Citazione Originariamente Scritto da alnus Visualizza Messaggio
    Sul punto che Vaia potrebbe anche non essere stata la tempesta più forte di sempre non insisto.

    Invece sull'indigenato del peccio nelle Alpi osservo che nelle ultime righe scrivi che in Cadore e a Cortina esso è "a casa sua", quindi in sostanza mi dai ragione.


    A proposito, sono passato di nuovo da Cortina due settimane fa e bostrico ancora niente.
    Sono ripassato anche dal Livinallongo e devo correggermi: è devastato ma non è vero che non ci siano più alberi vivi (avevo esagerato); ho anche trovato un bel nucleo di abeti bianchi presso il bivio di Cernadoi.
    Cioè io ti starei dando ragione per aver affermato che l'acqua è bagnata?

    Qua nessuno mette in dubbio l'indigenato dell'abete rosso sulle Alpi e Prealpi

    Indigenato vuol dire tutto e niente, un tutto e niente che va dal formare boschi puri al trovare un esemplare ogni tot km quadri di bosco.

    Difatti qua si attesta la mancata spontaneità delle peccete laddove l'abete rosso esiste solo come specie sporadica, cioè sulle prealpi e in generale tutta la zona eso-mesalpica a quote inferiori a 1000-1200 m, dove si sono verificati (ma guarda un po'!) almeno l'80% dei danni di Vaia.
    Che strano.
    'Sti boschi di 50-70 anni con gli alberi tutti nati spontaneamente in fila perfetta e così freddolosi che sono scesi persino a 400 m di quota.

    Se non distingui indigenato (boschi del Cadore o di Cortina) e indigenato (1 peccio qua e là in mezzo all'ostrio-faggeta) il problema è tuo.

    Goditelo, non so che altro dirti

  7. #27
    Vento fresco L'avatar di alnus
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    Predefinito Re: Vaia e le peccete delle Dolomiti

    Citazione Originariamente Scritto da DuffMc92 Visualizza Messaggio
    Cioè io ti starei dando ragione per aver affermato che l'acqua è bagnata?

    Qua nessuno mette in dubbio l'indigenato dell'abete rosso sulle Alpi e Prealpi

    Indigenato vuol dire tutto e niente, un tutto e niente che va dal formare boschi puri al trovare un esemplare ogni tot km quadri di bosco.

    Difatti qua si attesta la mancata spontaneità delle peccete laddove l'abete rosso esiste solo come specie sporadica, cioè sulle prealpi e in generale tutta la zona eso-mesalpica a quote inferiori a 1000-1200 m, dove si sono verificati (ma guarda un po'!) almeno l'80% dei danni di Vaia.
    Che strano.
    'Sti boschi di 50-70 anni con gli alberi tutti nati spontaneamente in fila perfetta e così freddolosi che sono scesi persino a 400 m di quota.

    Se non distingui indigenato (boschi del Cadore o di Cortina) e indigenato (1 peccio qua e là in mezzo all'ostrio-faggeta) il problema è tuo.

    Goditelo, non so che altro dirti
    Sul primo gassettato ti consiglio di andare a fare un giro in zona Vaia e ti renderai conto dell'inesattezza che hai scritto.

    Sul secondo, i pecci di zona Arsiero, nati da samare portate dal vento, dimostrano quanto freschi siano quei versanti esposti a bacìo e in una zona dove evidentemente in estate piove molto. Le samare di peccio, per come sono piccole e leggere, possono benissimo provenire da peccete del Cadore, che anche tu consideri spontanee, oppure da quella piantagione del versante Sud della catena prealpina veneta che tu hai mostrato e dove anch'io riconosco che i pecci naturalmente non ci sarebbero, oppure anche, come credo io, dai più vicini altipiani di Folgaria-Lavarone o Asiago, dove io li considero spontanei.

    Questo, e tanto altro, per me dimostra la vacuità delle categorie " esalpico" ed "endalpico". Il peccio è spontaneo in tutta la regione alpina, la sua maggiore o minore presenza dipende dall'esposizione dei versanti, dai microclimi locali, non dalla distanza dallo spartiacque principale alpino.
    Stessa cosa per le altre specie, altrimenti non si potrebbe trovare una faggeta pura a Sottoguda, proprio sotto la Marmolada!

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