"Il cielo è nero sopra Linfen città più inquinata del mondo
Repubblica — 14 dicembre 2009 pagina 13 sezione: POLITICA ESTERA
LINFEN - Nella città più inquinata del mondo il sole si ferma, per qualche ora, tre giorni all' anno. Il resto della vita trascorre al buio. Non si distingue la notte da un mezzodì, o l' inseguirsi delle stagioni. Il cielo nero di un temporale è lo stesso di quello azzurro di un ottobre splendente. I condannati di Linfen, senza potersi chiedere troppi perché, si sono adattati. Quasi tutti, specialmente i bambini, vestono di nero. Fuori di casa, infilano le scarpe dentro sacchetti di plastica. Nessuno gira senza cappello. Sopra le vie non pende alcun panno steso. Il nemico più visibile è la polvere. Qui però non c' è la polvere volante che conosciamo. È, piuttosto, un muro nero di sabbia, terra, lapilli, una coltre spessa di cenere che senza sosta si accumula e ricopre ogni cosa, come una nevicata all' inferno. La gente preferisce confondersi con la tenebra, rinunciare ai colori e figuriamoci al bianco, per non vedere il veleno che la uccide. Questo universo scuro e soffocante, cuore morente dei giacimenti di carbone della Cina, è l' immagine di come può diventare il pianeta, in pochi anni, se l' amore per la natura continuerà ad essere una bugia. È una tragedia sapere che al mondo è possibile che esista un luogo come Linfen: forse l' unico dove gli scolari non sanno come si disegna una luna, o un pugno di stelle. Fino alla metà del secolo scorso, in Cina Linfen era conosciuta come «la città della fruttae dei fiori». Quattromila anni fa, fu la capitale del leggendario regno dello Yao, ricco di grano e di carpe che dal Fiume Giallo risalivano le acque del Fen. Oggi sulla superficie popolata da quattro milioni di persone, nella regione dello Shanxi, non c' è un albero e anche i crisantemi per le feste sono di plastica. La sua ricchezza è stata la sua rovina. Le colline attorno alla città custodiscono 260 miliardi di tonnellate di carbone. In un decennio sono state aperte 2.598 miniere, grandi, piccole, autorizzate o illegali. Ogni anno vengono estratte 650 milioni di tonnellate di carbone, due terzi del fabbisogno nazionale. In un Paese dove il 70 per cento dell' energia elettrica deriva dal carbone, il serbatoio della crescita si è trasformato in uno spaventoso palcoscenico dell' annientamento. Attorno alle miniere sono sorte raffinerie, stabilimenti siderurgici, fonderie, ogni genere di fabbriche e addirittura industrie alimentari che consumano 50 milioni di tonnellate di carbone all' anno. La popolazione è fatta di povera gente: minatori, operai, ex contadini invecchiati, famiglie di figli unici. Sono ammassati in case rotte che commuovono, nascoste tra montagne di detriti. Chi resta qui non ha alternative, ma sa che la sua vita durerà, per i più robusti, dieci anni in meno della media cinese. Solo i proprietari delle miniere, o gli alti funzionari del partito, amano un posto così. Ci vengono un paio di volte alla settimana, per fare i conti di profitti favolosi. Non è la polvere, a spaventarli, ma l' invisibile. Nell' ariae nell' acqua sono disperse oltre 200 sostanze tossiche, in concentrazioni. pericolose per la vita. Ceneri, monossido di carbonio, azoto, arsenico, piombo. Tre milioni di individui risultano contaminati. Due bambini su tre soffrono di malattie respiratorie. Il tasso di neonati malformati e di cancro ai polmoni è il più alto del pianeta. Il 52 per cento delle falde acquifere è «irreversibilmente compromesso». Miniere e industrie consumano una tale quantità d' acqua, che le abitazioni comuni ne sono sprovviste. L' arsenico, in dieci anni, ha bruciato ogni genere di coltivazione. Chi non muore avvelenato, scompare nelle miniere. In Cina, in cinque anni, le vittime di incidenti sono state poco meno di ventimila. A Linfen, negli ultimi tre anni, 470 in 49 disastri. Una mattina, un autunno fa, 128 persone sono state sepolte dal fango di detriti di ferro accumulati sopra un quartiere. Mai un colpevole. Solo negli ultimi mesi la «città morta» ha iniziato a preoccupare il governo. Lu Guang, fotografo di coraggio straordinario, ha ritratto per la prima volta l' orrore. Miniere, nuvole di gas, fiumi rossi, campi inceneriti, aria nera. Ma soprattutto migliaia di volti, gli «spettri del mondo»: bambini e adulti mangiati dai tumori, o stravolti da trombosi cerebrali per il consumo di acqua avvelenata, o mutilati nei crolli. Ventimila persone, sotto choc, in poche ore hanno espresso online il loro dolore, la vergogna, la rabbia di consumare la vita per un piatto di riso. A Pechino il potere si è allarmato. L' inquinamento, assieme alla povertà, è la vera emergenza nazionale, la sola che possa innescare una rivolta di massa. Su venti capitali mondiali dei veleni, sedici si trovano in Cina. La popolazione iniziaa non accettare il baratto tra crescita economica e distruzione dell' ambiente. Un mese fa il governatore dello Shanxi ha così annunciato che entro fine anno le società minerarie della regione saranno ridotte da 2.200 a 100, le miniere da 2.600 a 1000. Privatizzazioni, misure elementari contro gli infortuni, regole anti-corruzione. Lo scandalo di Linfen però continua. Anche adesso, qui. Oltre una nebbia che pare lava, passa una scolaresca: adolescenti già decrepiti, stesi su lettini con le ruote, con la pelle sollevata dalle suppurazioni, la testa che ciondola su un lato. Vanno al prelievo settimanale del sangue e ripetono il passaggio più bello di un poema. - DAL NOSTRO INVIATO GIAMPAOLO VISETTI "
Uccisi dalla plastica i capodogli spiaggiati in Puglia
Venerdì, 18 Dicembre 2009
Buste di plastica, pezzi di corda, scatole e contenitori di vari materiali sono stati trovati nello stomaco di quattro dei sette capodogli piaggiati in località Foce Varano, nel comune di Peschici, sul Gargano, in Puglia. La scoperta è stata compiuta dal professore Giuseppe Nascetti, pro-rettore dell'università della Tuscia, ritenuto uno massimi esperiti mondiali di parassitologia ed ecologia marina, chiamato come esperto a valutare le cause dello spiaggiamento e della successiva morte dei cetacei.
Secondo Nascetti, i capodogli potrebbero aver scambiato gli oggetti trovati nei loro stomaci per calamari, unico cibo di cui si nutrono. "Quello che sembrava il capobranco - spiega l'esperto - ne aveva lo stomaco colmo. Un pò meno gli altri tre. Ma la morte di tutti e sette gli esemplari è riconducibile al fatto che i tre capodogli che non avevano ingerito oggetti di plastica abbiano seguito il capobranco andando come lui a morire sulla spiaggia. Un comportamento legato allo spirito gregario ai gruppi di giovani maschi".
Nei prossimi giorni Nascetti invierà una dettagliata relazione sui risultati dei suoi rilievi sulle carcasse dei capodogli alle autorità pugliesi e al ministero dell'Ambiente.
Nascetti ha ipotizzato anche le ragioni che potrebbero aver "ingannato" i capodogli, facendo loro scambiare le buste di plastica e gli altri oggetti trovati nei loro stomaci per calamari. "Ritengo - spiega - che siano stati disturbati dall'intenso traffico delle navi nell'Adriatico. E non solo quelle militari con i loro sonar. Alcune grandi imbarcazioni eseguono ricerche di idrocarburi al di sotto dei fondali marini emettendo forti ed improvvisi rumori che interferiscono con i sistemi di ricerca di cibo dei capidogli disorientandoli".
Per Nascetti tutti gli spiaggiamenti di cetacei che avvengono sono riconducibili all'inquinamento materiale e acustico che, dopo la terraferma, sta invadendo anche i mari. (repubblica.it)
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