NESSUNA VELLEITà campanilistica o polemica o quant'altro...ho trovato casualmente tale definizione su WIKIPEDIA e ritengo sia interessante
La lingua napoletana (napulitano) è un idioma romanzo, per oltre un secolo anche lingua ufficiale del Regno di Napoli. Il volgare pugliese[1][2], altro nome con cui sono storicamente conosciuti il napoletano e i dialetti àusoni[3], sostituì il latino nei documenti ufficiali e nelle assemblee di corte a Napoli, dall'unificazione delle Due Sicilie, per decreto di Alfonso I, nel 1442. Nel XVI secolo re Ferdinando il Cattolico impose il castigliano come nuova lingua ufficiale e il napoletano di stato sopravviveva solo nelle udienze regie, negli uffici della diplomazia e dei funzionari pubblici. Il cardinale Girolamo Seripando, nel 1554, stabilì poi che in questi settori venisse sostituito dal volgare toscano.[4] Per secoli la letteratura in volgare napoletano ha fatto da ponte fra il mondo classico e quello moderno, fra le culture orientali e quelle dell'Europa settentrionale, dall'«amor cortese», che con la scuola siciliana diffuse platonismo nella poesia occidentale, al tragicomico (Vaiasseide, Pulcinella), alla tradizione popolare; in lingua napoletana sono state raccolte per la prima volta le fiabe più celebri della cultura europea moderna e pre-moderna, da Cenerentola alla Bella addormentata, nonché storie in cui compare la figura del Gatto Mammone. Oggi il volgare meridionale vive nella «canzone napoletana», conosciuta in tutto il mondo, che si è dimostrata una delle più caratteristiche espressioni artistiche della cultura occidentale, apprezzata per la vivacità, per la poeticità e per le melodie, che sembrano conservare tutta la loro forza comunicativa anche di fronte al variegato panorama delle correnti filosofiche e artistiche europee.
La Regione Campania ne propone la rivalutazione sociale e civile[5].
Le origini e la storia
Il napoletano, come l'italiano, è una lingua derivata dal latino. Sono state ipotizzate anche tracce della lingua parlata in Italia centro-meridionale prima della conquista romana, l'osco (ma anche successivamente, iscrizioni osche si rinvengono a Pompei, ancora nel 79 d.C., per esempio), che è lingua italica (quindi imparentata al latino, ma da questo distinto però contemporanea ad esso), e del greco, parlato a Napoli fino al II-III secolo
Il napoletano ha inoltre subìto nella sua storia, come molte altre lingue, influenze e "prestiti" dai vari popoli che hanno abitato o dominato la Campania e l'Italia centro-meridionale, i coloni greci ed i mercanti bizantini nell'epoca del Ducato di Napoli fino al IX secolo, e, più recentemente, i normanni, i francesi gli spagnoli e perfino gli americani, durante la seconda guerra mondiale e la conseguente occupazione di Napoli, hanno contribuito con qualche vocabolo. Sicuramente però lo spagnolo e soprattutto il francese lasciarono tracce profondissime nella lingua e nella cultura napoletana.
Tuttavia, soprattutto per quanto riguarda lo spagnolo, è errato attribuire esclusivamente all'influenza spagnola (Napoli fu sotto diretto dominio spagnolo per oltre due secoli, dal 1503 al 1707) qualsiasi somiglianza tra il napoletano e quest'idioma: trattandosi di lingue ambedue romanze o neolatine, la maggior parte degli elementi comuni vanno fatti risalire al latino volgare (in particolare la costruzione dell'accusativo personale indiretto e l'uso di tenere e di stare in luogo di avere e essere, e così via).
Sotto gli Aragona si propose il napoletano come lingua dell'amministrazione, senza mai imporre l'aragonese o il catalano, ma il tentativo abortì con la deposizione di Federico e l'inizio del viceregno. Nella prima metà dell'Ottocento il Regno delle Due Sicilie usava di fatto come lingua amministrativa e letteraria l'italiano e quindi il napoletano non ha mai avuto condizione di lingua ufficiale. Del resto anche il Regno di Sardegna non ufficializzò mai né il piemontese né l'italiano, anche se la lingua più parlata era il francese, per i suoi usi amministrativi [senza fonte].
Il napoletano nella letteratura e negli studi linguistici [modifica]
Prime testimonianze [modifica]
Il napoletano (come il siciliano, il lombardo, il veneziano e altre varietà italoromanze) possiede una ricchissima tradizione letteraria. Si hanno testimonianze scritte di napoletano già nel 960 con il famoso Placito di Capua (considerato il primo documento in lingua italiana, ma di fatto si tratta della lingua utilizzata in Campania, conosciuta come volgare pugliese) e poi all'inizio del '300, con una volgarizzazione dal latino della Storia della distruzione di Troia di Guido delle Colonne. La prima opera in prosa è considerata comunemente un testo di Matteo Spinelli, sindaco di Giovinazzo, conosciuta come Diurnali, un cronicon degli avvenimenti più importanti del Regno di Sicilia del XI secolo, che si arresta al 1268.
Placiti cassinesi [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Placiti cassinesi.« Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti. »(Capua, marzo 960)
« Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe monstrai, Pergoaldi foro, que ki contene, et trenta anni le possette. »(Sessa, marzo 963)
« Kella terra, per kelle fini que bobe mostrai, sancte Marie è, et trenta anni la posset parte sancte Marie. »(Teano, ottobre 963)
« Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe mostrai, trenta anni le possette parte sancte Marie. »(Teano, ottobre 963)
Montecassino [modifica]
Alle esperienze letterarie dell'Italia meridionale furono sensibili i monaci di Montecassino, centro di un'importante comunità di intellettuali nel medioevo italiano. L'interesse letterario dei cassinensi, indirizzato prevalentemente a rafforzare l'esperienza della fede e della conoscenza di Dio, fu sollecitato da sempre secondo l'insegnamento lasciato da San Benedetto nella regola da lui redatta. Risalgono all'XI e al XII secolo dei manoscritti in volgare, di cui restano pochi frammenti, conservati nella biblioteca del monastero. È possibile distinguere in questa produzione una varietà di genere e stile insolita rispetto al contesto duosiciliano, che fu eguagliata solo con poeti toscani del XIII-XIV secolo e i successivi, tra cui Dante, in cui un complesso simbolismo religioso è sostenuto da gradevoli forme liriche, in Eo, sinjuri, s'eo fabello, o anzi in rime di gran pregio stilistico riesce a trapassare un realismo, di chiara ispirazione cristiana, che nella poesia medievale, ma anche nei classici, raramente fu espresso[6][7]:
(NAP) « ...te portai nullu meu ventre
quando te beio [mo]ro presente
nillu teu regnu agi me a mmente. »
(IT) « [me che] nel mio ventre ti portai
perciò così ti vedo e muoio
or Tu ricordami nel tuo Regno »
(«Il pianto della Vergine Maria»[8])
L'età moderna [modifica]
.La lingua napoletana sostituì il latino nei documenti ufficiali e nelle assemblee di corte a Napoli, dall'unificazione delle Due Sicilie, per decreto di Alfonso I, nel 1442. Alla corte dei figli di Ferdinando I di Napoli però gli interessi umanistici presero un carattere molto più politico; i nuovi sovrani incentivarono l'adozione definitiva del toscano come lingua letteraria anche a Napoli: è della seconda metà del XV secolo l'antologia di rime nota come Raccolta aragonese, che Lorenzo de' Medici inviò al re di Napoli Federico I, in cui si proponeva alla corte partenopea il fiorentino come modello di volgare illustre, di pari dignità letteraria con il latino. Un lungo periodo di crisi seguì questi provvedimenti, per la lingua napoletana, finché le incertezze politiche che sorsero con la fine del dominio aragonese portarono un rinnovato interesse culturale per il volgare cittadino.
Il più celebre poeta napoletano d'età moderna è Giulio Cesare Cortese. Egli è molto importante per quella che è la letteratura dialettale e barocca, in quanto, con Basile, pone le basi per la dignità letteraria ed artistica della lingua napoletana moderna. Di costui si ricorda la Vaiasseide, un'opera eroicomica in cinque canti, dove il metro lirico e la tematica eroica sono abbassati a quello che è il livello effettivo delle protagoniste: un gruppo di vaiasse, donne popolane napoletane, che s'esprimono in dialetto. È scritto comico e trasgressivo, dove molta importanza ha la partecipazione corale della plebe ai meccanismi dell'azione.
Prosa [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Giambattista Basile.La prosa in volgare napoletana diviene celebre grazie Giambattista Basile, vissuto nella prima metà del Seicento. Basile è autore di un'opera famosa come Lo Cunto de li Cunti, ovvero lo trattenimiento de le piccerille, tradotta in italiano da Benedetto Croce, che ha regalato al mondo la realtà popolare e fantasiosa delle fiabe, inaugurando una tradizione ben ripresa da Perrault e dai fratelli Grimm. Altre prose sono alcune volgarizzazioni della regola di San Benedetto, attuata nel monastero di Montecassino nel XIII e nel XIV secolo e alcuni mea culpa o confessioni rituali scritte dai monaci cassinati per permettere la comprensione dei sacramenti cattolici anche a chi non conosceva la lingua latina.[11][12][13]
Cultura popolare [modifica]
Negli ultimi tre secoli è sorta una fiorente letteratura in napoletano, in settori anche diversissimi tra loro, che in alcuni casi è giunta anche a punte di grandissimo livello, come ad esempio nelle opere di Salvatore di Giacomo, Raffaele Viviani, Ferdinando Russo, Eduardo Scarpetta, Eduardo de Filippo, Antonio De Curtis, Annibale Ruccello.
Sarebbero inoltre da menzionare nel corpo letterario anche le canzoni napoletane, eredi di una lunga tradizione musicale, caratterizzate da grande lirismo e melodicità, i cui pezzi più famosi (come, ad esempio, 'O Sole mio) sono noti in diverse zone del mondo. Esiste inoltre un fitto repertorio di canti popolari alcuni dei quali sono oggi considerati dei classici.
Va infine aggiunto che a cavallo del XVII e XVIII secolo, nel periodo di maggior fulgore della c.d. scuola musicale napoletana, questa lingua sia stata utilizzata per la produzione di interi libretti di opere liriche, alcune delle quali ('O frate 'nnammurato ad esempio) hanno avuto una diffusione ben al di fuori dei confini partenopei.
Va segnalata infine la ripresa dell'uso del napoletano nell'ambito della musica pop, musica progressiva e dell'hip hop, almeno a partire dalla fine degli anni '70 (Pino Daniele, Nuova Compagnia di Canto Popolare poi ripresa anche negli anni '90 con 99 Posse, Almamegretta, Co'Sang, La Famiglia, 13 Bastardi) in nuove modalità di ibridazione e di commistione con l'italiano, l'inglese, lo spagnolo e altre lingue. Anche nel cinema e nel teatro d'avanguardia la presenza del napoletano è andata intensificandosi negli ultimi decenni del '900 e nei primi anni del XXI secolo.
La documentazione sul napoletano è ampia, ma non sempre a un livello scientifico. Vocabolari rigorosi sono quello di Raffaele D'Ambra (un erudito ottocentesco) e quello di Antonio Altamura (studioso novecentesco). Interessante è anche la grammatica del Capozzoli (1889).
Anche negli ultimi anni sono stati pubblicati dizionari e grammatiche della lingua napoletana, ma non si è mai pervenuti a una normativa concorde dell'ortografia, della grammatica e della sintassi, sebbene si possa comunque ricavare deduttivamente, dai testi classici a noi giunti, una serie di regole convenzionali abbastanza diffuse.
Linguistica [modifica]
Gli studi più recenti hanno dedicato al napoletano e ai dialetti campani una certa attenzione. Per il napoletano antico si segnalano i lavori di Vittorio Formentin sui Ricordi di Loise de Rosa, di Rosario Coluccia sulla Cronaca figurata del Ferraiolo, di Nicola De Blasi sulla traduzione del Libro de la destructione de Troya, di Marcello Barbato e Marcello Aprile sull'umanista Giovanni Brancati. Sui dialetti moderni, tra gli altri, si segnalano i lavori di Rosanna Sornicola, di Nicola De Blasi, di Patricia Bianchi e di Pietro Maturi dell'Università di Napoli Federico II, di Edgar Radtke dell'Università di Heidelberg, di Francesco Avolio sui confini dei dialetti campani e di Michela Russo, dell'Università di Paris VIII, su aspetti della fonetica come la metafonia. Una rivista, diretta da Rosanna Sornicola, il Bollettino Linguistico Campano, si occupa prevalentemente del napoletano. Da alcuni anni è stato attivato un insegnamento universitario di Dialettologia campana presso la facoltà di Sociologia della Federico II, affidato a Pietro Maturi.
Fonetica e sintassi
Spesso le vocali non toniche (su cui cioè non cade l'accento) e quelle poste in fine di parola, non vengono articolate in modo distinto tra loro, e sono tutte pronunciate con un suono centrale indistinto che i linguisti chiamano schwa e che nell'Alfabeto fonetico internazionale è trascritto col simbolo /ə/ (in francese lo ritroviamo, ad esempio, nella pronuncia della e semimuta di petit).
Nonostante la pronuncia (e in mancanza di convenzioni ortografiche accettate da tutti) spesso queste vocali, nei solchi della tradizione letterria in lingua, sono trascritte sulla base del modello della lingua italiana, e ciò, pur migliorando la leggibilità del testo e rendendo graficamente un suono debole ma esistente, favorisce l'insorgere di errori da parte di coloro che non conoscono la lingua e sono portati a leggere come in italiano. Nell'uso scritto spontaneo dei giovani (SMS, graffiti, ecc.), come ha documentato Pietro Maturi, prevale invece l'omissione completa di tale fono, con il risultato di grafie quasi-fonetiche a volte poco riconoscibili ma marcatamente distanti dalla forma italiana (p.es. tliefn per "telefona").
Altri errori comuni, dovuti a somiglianze solo apparenti con l'italiano, riguardano l'uso errato del rafforzamento sintattico, che segue, rispetto all'italiano, regole proprie e molto diverse, e la pronuncia di vocali chiuse invece che aperte, o viceversa, l'arbitraria interpretazione di alcuni suoni.
Alcune ulteriori differenze di pronuncia con l'italiano sono:
Similitudini con altre lingue [modifica]
- in principio di parola, e soprattutto nei gruppi gua /gwa/ e gue /gwe/, spesso la occlusiva velare sonora /g/ seguita da vocale diventa approssimante /ɤ/.
- la fricativa alveolare non sonora /s/ in posizione iniziale seguita da consonante viene spesso pronunciata come fricativa postalveolare non sonora /ʃ/ (come in scena ['ʃe:na] dell'italiano ) ma non quando è seguita da una occlusiva dentale /t/ o /d/ (almeno nella forma più pura della lingua, e questa tendenza viene invertita nelle parlate Molisane).
- le parole che terminano per consonante (in genere prestiti stranieri) portano l'accento sull'ultima sillaba.
- la /i/ diacritica presente nei gruppi -cia /-ʧa/ e -gia /-ʤa// dell'italiano, viene talvolta pronunciata: per es. na cruciera [nakru'ʧierə].
- è frequente il rotacismo della /d/, cioè il suo passaggio a /r/ (infatti /ɾ/), come in Maronna.
- la vocale aperta arrotondata a è pronunciata /ɑ/ piuttosto che /a/ come in italiano.
Nella lingua napoletana troviamo moltissime parole simili o talvolta uguali a lingue straniere. Solitamente sono scritte in modo diverso ma spesso la pronuncia è molto simile o identica. Ciò è dovuto in parte alle conservazioni greche e latine e in parte alle diverse dominazioni che le Due Sicilie hanno subito. Troviamo in essa parole derivate dalle lingue castigliana, catalana, francese, araba (attraverso lo spagnolo o, in ambito culinario, grazie ai numerosi scambi commerciali che il Regno delle Due Sicilie intratteneva con l'area afro-mediterranea). Qualche parola deriva addirittura dall'inglese (anche con l'Inghilterra il Regno intratteneva rapporti commerciali) alcune delle quali introdotte durante l'occupazione americana della II guerra mondiale e forse per commistione linguistica con termini usati da emigranti in nazioni anglofone.
Lingua internazionale [modifica]
[i]Celebre in tutto il mondo è la canzone napoletana, che non solo è strettamente legata agli stereotipi più diffusi della cultura italiana negli Stati Uniti e nei paesi di cultura anglosassone, ma ha anche imposto slang e parole internazionali, come 'O sole mio, 'O surdato 'nnammurato o Funiculì funiculà. Non si dimentichino nemmeno i numerosi prestiti alle lingue internazionali generalmente considerati come italianismi, da pizza, maccaroni a tarantella.
Napoletano
Italiano
Provenienza
Lingua d'origine
Abbàscio
giù
abajo / a baix (pron. a bash)
spagnolo / catalano
All'intrasatta
all'improvviso
intras acta
latino
Ammuìna
chiasso, che infastidisce
amoïnar
catalano
Blé
blu
bleu
francese
Blecco
asfalto per isolamenti
black
inglese
Buàtta
barattolo
boîte
francese
Buttéglia
bottiglia
bouteille
francese
Caiola
gabbia
gaiola
portoghese
Camorra
Camorra
Morra†
spagnolo
Càntaro
vaso
qintar
arabo (taluni lo fanno derivare dal greco κάνθαρος, latino cantharus, vaso)
Capaddozio
caposquadra
capataz
spagnolo
Cazètta
calza (perlopiù da donna, il calzino da uomo è detto cazettino)
chaussette
francese
Cerasa
ciliegia
cerasum
latino
Cresommula
albicocca
kροìσος μηλον (kroìsos melon= frutto d'oro)
greco
Cucchiàra
cucchiaio
cuchara
spagnolo
Cu' mmico
con me
conmigo
spagnolo
Cu' ttico
con te
contigo
spagnolo
Drincà (o Trincà)
bere
trinkan
antico alto tedesco
Ffolco
adattamento di folk
folk
inglese
Gengomma o cingomma
gomma da masticare
chewing-gum
inglese
Ginzo
adattamento di jeans
jeans [ʤinz]
inglese americano
Gnernò
signornò
signeurnon
francese
Guappo
bello, bullo, prepotente
Guapo
spagnolo
Lassà
lasciare
laxare
latino
Léngua
lingua
lengua
spagnolo
Mesàle
tovaglia da tavolo
mesa
spagnolo
Micciariello
fiammifero
mechero
spagnolo
Mola
dente (molare)
muela
spagnolo
Morra
mucchio, gran numero
morra†
spagnolo
Muccaturo/maccaturo
fazzoletto
mocador
catalano
Mustaccio
baffi
moustache
francese
Nenna
bambina
nena
catalano
Ninno
bambino
nen
catalano
Nìppulo
capezzolo
nipple
inglese
'Nzerrà
chiudere
cerrar
spagnolo
Pacchero/pàccaro
schiaffo
pasa cheir
greco classico
Papiéllo
documento
papel
spagnolo
Pazzià
giocare
pàizein
greco classico
Pesòne
affitto, appartamento
piso
spagnolo
Petrusino
prezzemolo
petroselinum
latino (dal greco)
Piglià père
prendere fuoco
πῦρ / piùr
greco antico
Purtuàllo
arancia
portokàlos
greco
Ràggia
rabbia
rage
francese
Rammàggio
danno
dommage
francese
Ricchione
omosessuale
orejones[14]
spagnolo
Rilòrgio
orologio
reloj / rellotge
spagnolo / catalano
Sarvietta
tovagliolo
serviette
servilleta
francese
spagnolo
Semmàna
settimana
setmana (pron. semmàna)
catalano
Sguarrà
divaricare, squarciare
Desgarrar
spagnolo
Sparadrappo
cerotto
esparadrapo
sparadrap
esparadrap
spagnolo
francese
catalano
Sparagno
risparmio
épargne
francese
Tamarro
zotico
al-tamar (mercante di datteri)
arabo
Tavuto
bara
ataud - al-tawt
spagnolo, dall'arabo (alcuni indicano il Greco "thapto", seppellire, come origine di tale parola.)
Tirabbusciò
cavatappi
tire-bouchon
francese
Valé
Jack (carta da gioco)
valet
francese
Zimmaro
caprone
al-zamir (colui che ha poco coraggio)
arabo
Ultima modifica di ***eleonora***; 13/05/2010 alle 07:55
Brava.
Avevo già letto, piuttosto recentemente, questo "pezzo" direttamente alla fonte.
![]()
"La meteo è una passione che non comprende solo colui che non la nutre"
Genny, forever.
Ciao Alex
http://golfodigaeta.altervista.org/
Webcam Formia su http://www.meteoliri.it/#!prettyPhoto/10/
Stazione meteo http://www.wunderground.com/weathers...p?ID=ILAZIOFO2
Chiedo scusa, aggiungerei
Sciantosa,
dal francese Chanteuse....
bruno bournens,fraz san lorenzo,collalto sabino, rieti, lazio. 850 m s.l.m.* lat 42 09 45.0 N long 13 03 04.0 E * Foto Avatar: Zefirino, gatto Baropatico...che ora si chiama Tìtolo.
Del Napoletano (sarò sincero) c'è una cosa che mi attrae e una che mi repelle.
Attrae : il modo in cui compongono alcune parole ed espressioni idiomatiche o metaforiche
Repelle : il suono, le vocali, il modo di parlare, certa mimica e linguaggio corporeo mentre parlano.
Oh... è così, nun ce posso fa gnente
C.
"S'è la notizia fossi confermata sarò zio."
guarda bisogna fare molta attenzione anche alla zone di provenienza, infatti il napoletano varia molto da zona a zona ed è totalmente diverso dal casertano, purtroppo so che per chi è di fuori è difficile distinguere un napoletano (di napoli ) da un casertano, oppure un napoletano di capodimonte da uno dell'arenacca (sono zone di napoli).Infatti il cosiddetto dialetto napoletano consta di differenti pronunce anche a seconda del quartiere di origine.
Sicuramente negli ultimi anni c'è stato un deterioramento della lingua, un abbrutimento, per esempio il napoletano parlato da mia nonna è molto più "lingua" con tutta la sua terminologia rispetto al napoletano parlato oggi dai giovani , dove fondamentalmente si ha una storpiatura dell'italiano in napoletano, in merito ricordo una interessante intervista di Enzo Gragnaniello per il quale nell'arco di qualche decennio il vero napoletao scomparirà, proprio perchè i vecchi che ancora lo parlano andranno esaurendosi.
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