Prima di tutto mi piacerebbe vedere delle prove tangibili del minor impatto ambientale, inoltre e' uno di quegli approcci da zappa sui piedi, perche' il giorno che all'estero smettono di comprare i nostri prodotti possiamo fare che buttarci dal ponte. E poi chi ha deciso la distanza massima? 1km, 10km, 50km?
Per non parlare del marketing e dei sussidi che ci stanno dietro.
Ripeto la trovo una cosa molto romanzata.
"Se le sciocchezze fossero materia imponibile, alcuni personaggi subirebbero aliquote confiscatorie"
Ciao Tub.
secondo me il Buon Neofita di Bolzano,ha ragione,ma è anche vero che la moda del km zero rischia di diventare un altro marketing,non sempre giustificato.
i milanesi non devono arrabbiarsi,perchè anche loro,a pochi chilometri dalla loro città,sono convinto, che possano trovare qualche cascina che possa fornire loro qualche prelibatezza,certo il centro commerciale è più comodo,e manca il tempo per fare i giretti alla ricerca delle cose genuine.
La cosa grave semmai non è il fatto che a Milano sia difficile trovare sui banchi degli alimentari,formaggi genuini fatti con latte di mucche che hanno pascolato e brucato erba,invece della solita poltiglia fatta con paste C.E. e/o con latte in polvere rigenerato (ce ne accorgiamo quando addentiamo quella roba insapore),il problema è che non solo a Milano ma anche dove abito io,in una cittadina di 40.000 ab.i prodotti genuini non arrivano ai banchi alimentari dei centri commerciali.Infatti, la catena della grande distribuzione,spesso in mani straniere,non usa prodotti locali,ma si rivolge a roba industrializzata ed insapore,ed i produttori locali,che 100 anni fa rifornivano la città e facevano reddito,ora hanno abbandonato i campi,messi fuori mercato dai produttori industriali dell'alimentare,noi invece ci nutriamo male e facciamo arricchire altri a molti km da casa nostra.Ovviamente ci sono anche le nicchie di mercato della vendita sul campo dei locali,ma appunto è una nicchia.(io obbligherei i centri commerciali a vendere una percentuale minima di prodotti locali di ogni posto in cui si trova il centro commerciale )pagando un prezzo equo senza rincorrere sempre il massimo profitto alla ricerca delle forniture più a buon mercato).
Poi è chiaro che se io in Abruzzo voglio il taleggio,non posso pretendere che sia a km zero,insomma roba di ottima qualità anche a 10.000 km,ma non più,o non solo, roba di lontana provenienza e per giunta priva di sapore.
Il cibo industriale non è prerogativa solo della grande metropoli, lo si trova ovunque. Conosco gente che vive in mezzo alla natura lontano dalle città che mangia schifezze da mattina a sera e fa zero attività fisica mentre gente di Milano con uno stile di vita e una dieta molto più raccomandabili. Questo per dire che anche nelle grandi città dei paesi industrializzati è possibile vivere e mangiare in maniera sana.
Qui in zona ci sono alcuni negozi a km 0.
Pagano pochissimi contributi ai dipendenti grazie ad alcuni benefit che non so dirti da chi arrivino.
Fanno grossa concorrenza ai classici fruttivendoli, poi entri in questi km 0 e ti offrono anche le banane e le arance.
Io risolverei tout court il problema, chiudendo i centri commerciali.
Detto questo, per dirti quanto il loro marketing ci abbia rincitrullito ti racconto questa, fresca di sabato sera:durante una discussione "alla Sgarbi" con i miei amici, proprio su questi temi, uno di loro mi ha ribattuto che non c'è modo di stabilire veramente cos'è "buono" e cosa no. Ad esempio, dice lui, quando dico che la mozzarella "buona" è fatta con un certo latte ed ha certe caratteristiche costitutive, dico il falso; e questo perchè la "mozzarella" (che non è mozzarella, aggiungo io) di certi supermercati, stopposa e praticamente senza latte, può comunque essere considerata genericamente "buona", solo che (dice lui) io mi sono fatto convincere che la vera mozzarella vera e buona deve sapere di latte e buttarne fuori delle gocce quando la si taglia, e dunque denigro ingiustamente quella fatta di stoppa.![]()
La seconda cosa che dici esiste, ma la vedo come marginale. Noto piuttosto un quasi totale disinteresse per le problematiche in oggetto, anche in chi non ha alcun problema economico, nonchè un triste deserto nel campo della cultura gastronomica ed alimentare, in un Paese che di queste cose dovrebbe essere la Mecca.
Fermo restando il principio per cui ognuno ha il diritto di mangiare cio' che preferisce, qualcuno riesce a chiarirmi il limite entro cui un prodotto e' "km0"?
"Se le sciocchezze fossero materia imponibile, alcuni personaggi subirebbero aliquote confiscatorie"
Ciao Tub.
Quando ero piccolo,e venivo in estate in Abruzzo (abitavo in Liguria) mia nonna andava a comprare le mozzarelle al negozio ;venivano dal Molise ed erano buonissime(morbidissime e saporite),rispetto a quelle industriali(stopposette ed insipide),oggi nei centri commerciali,almeno per le mozzarelle,si trova qualcosa di molto simile ai sapori di una volta,trovo mozzarelle di bufala del basso Lazio che sono divine,oppure quelle pugliesi con al centro un nocciolo di panna,oppure quelle Molisane.
Insomma dobbiamo pretendere di ritrovare il gusto quando mangiamo qualcosa,e non solo i colori dell'etichetta(e poi dentro trovarci solo sapori plasticosi).
Io comunque non sono contrario,ideologicamente,ai centri commerciali,purchè non ci costringano a mangiare quello che vogliono loro,e come dicevo prima,imparino a valorizzare i prodotti locali e regionali(anche di altre regioni(limitando l'invasione di prodotti anonimi e massificati).Dopo tutto i centri sono comodi(io esco molto tardi dal lavoro) e magari quando piove o fa freddo,non è confortevole girare per negozietti con l'ombrello sempre che si trovi un parcheggio in centro.
I negozi di vicinato del resto si sono specializzati ad offrire prodotti di nicchia(biologici ecc.) oppure quegli articoli che ti servono al momento, per cui scendi sotto casa e li compri,senza prendere per forza la macchina per un kg di pane soltanto.
In generale, sono contraria agli estremismi. Posto di riuscire a stabilire - come qualcuno sopra ha notato - qual'è la lungheza massima ammissibile in km per il concetto di "0", mi sembra una delle tante coniazioni alla moda, soggetta a svuotarsi man mano che tutte le industrie cercheranno di attribuirsi di quest'etichetta.
In effetti, se dovessimo rimanere entro la ristretta area di residenza, la scelta si ridurrebbe drasticamente, e probabilmente alcune zone ritroverebbero malattie da carenze dimenticate da decenni.
In compenso, si finisce per mettere in ombra tutta un'area di prodotti "non industriali", che hanno ancora molti consumatori, ma che non sono invece sostenuti e promossi a sufficienza.
Sono insomma per il giusto mezzo. Ben venga una "vera" mozzarella al supermercato, ma ovviamente, non può essere "a km0". Sì, certo, la può produrre anche la fattoria di Lambrate, però con che latte? anche avere le bufale, che aria respirano? cosa mangiano?
Si rischia di innamorarci di una sigla, senza più analizzarne criticamente il contenuto. E su questi giochini, il mercato ci campa.
Il problema grosso non è tanto la distanza dei cibi, bensì l'invasione di cose già pronte, con gusti standardizzati. Stiamo perdendo non dico la capacità di cucinare - che non tutti a priori l'avevano - bensì quella di giudicare cosa è buono. Vedo gli scaffali dei supermercati riempirsi di improbabili buste di pizzoccheri liofilizzati (sic) e di salsa ai quattro formaggi fluida a temperatura di frigo... ed evidentemente ci deve essere gente che la compra, e che la mangia, convinto di mangiare "roba buona"...
Ma piuttosto, du' spaghetti col pomodoro, preparati al volo nello stesso tempo che impiegherei a passare in rianimazione i quattrosaltinpadella!!!!
D'altra parte, mi sembra anche di vedere il terrore per i "gusti", per le cose che sanno di qualcosa. Quando gli amici dichiarano convinti che "il pangasio è buono, perché non sa di pesce", tocco con mano che il problema non è nelle distanze, ma nel fatto che una sardella che sappia di sardella non è più trendy!
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