COSA CI DICONO GLI ULTIMI DATI ISS SUI CONTAGI ITALIANI POST-RIAPERTURE?
Nelle ultime settimane i dati su contagi e decessi continuano a calare, forse però non così velocemente come ci si aspettava. Lo stesso Luca Zaia, presidente del Veneto, ha dichiarato che nelle ultime settimane, dopo le riaperture, la velocità di calo dei contagi è diminuita [1]. Altri presidenti di regione hanno tirato in ballo il fatto che il dato dei nuovi contagiati venisse alterato dai partecipanti all’indagine sierologica, che, sottoposti a tampone, risultavano positivi.
Il governatore della Lombardia Fontana ha infatti dichiarato [2]:
“Per ogni sierologico positivo segue un tampone per essere sicuri che la malattia sia pienamente superata. Ciò sta permettendo di individuare anche i positivi asintomatici e nel monte totale giornaliero implica un numero superiore di riscontri”
Questo anche se il contagio risaliva a molto tempo prima e semplicemente non ci si era ancora del tutto negativizzati. E anche numeri della Protezione Civile sulla Lombardia [3] confermano un peggioramento del trend, i dati pubblicati nell’ultima settimana (15/6 – 21/6) sono molto simili a quelli di due settimane fa (1/6 – 7/6) come se il calo dei contagi si fosse del tutto arrestato. Ma è vero che ciò è dovuto all’aumento degli arretrati? E in che misura?
I RETRODATATI DELL’ISS
Esiste una serie di dati, di cui vi abbiamo già parlato in un precedente articolo (https://bit.ly/2NhvXmC), prodotta dall’Istituto Superiore di Sanità, creata proprio per tentare di eliminare dal totale dei casi i contagi arretrati. Questi dati sono ottenuti tramite una procedura che consiste nel far risalire un nuovo positivo alla data di comparsa dei primi sintomi della malattia.
La logica è semplice: se un nuovo trovato positivo era in realtà contagiato da molto tempo, es. un mese, e aveva notato dei sintomi, verrà conteggiato nei dati relativi al mese precedente, senza inficiare i nuovi.
Non sempre, per forza di cose, è possibile ricostruire correttamente l’inizio dei sintomi (come nel caso degli asintomatici), tuttavia finora si è riusciti a datare circa il 77% dei casi, percentuale comunque molto significativa.
L’ISS e il Ministero della Salute fanno un grande affidamento su questi dati, tanto che il report ministeriale prodotto ogni settimana per valutare la situazione epidemiologica e decidere eventuali nuovi misure di lockdown locali si basa proprio su questi dati.
Tuttavia serve un certo lasso di tempo per accumulare questi dati sull’insorgenza dei sintomi, tempo che l’ISS un mese fa valutava in due settimane (previsione forse un po’ troppo ottimistica) e che ora ha ridotto, probabilmente per la mole di dati inferiore da verificare, a una decina di giorni. Infatti, l’ultimo report [4], pubblicato il 19 giugno, comprende i dati fino al 7 giugno.
Una persona che ha manifestato i sintomi il 7 giugno si è contagiata intorno ai primi giorni del mese, ed è presto quindi per valutare gli effetti delle aperture regionali del 3 giugno sulla base di questi dati. Tali informazioni coprono invece ottimamente il periodo successivo all’inizio della Fase 2 a livello regionale, il post 18 maggio.
I DATI NAZIONALI
Consideriamo quindi, dall’ultimo report ISS, il numero dei nuovi positivi che hanno manifestato i sintomi tra il 25/5 e il 7/6. Questi dati ci danno una stima dei contagi avvenuti tra tra il 19/5 e il 3/6 circa, che coincide proprio il primo periodo post fase 2. Otteniamo per le varie regioni i seguenti numeri (in parentesi il valore relativo alle due settimane precedenti 11/5-24/5):
• Lombardia 1266 (1809)
• Liguria 120 (109)
• Piemonte 106 (360)
• Lazio 69 (61)
• Emilia Romagna 62 (211)
• Toscana 31 (69)
• Veneto 17 (32)
• Altre Regioni 79 (287)
L’andamento a livello nazionale si mostra decrescente: nelle due settimane precedenti (che tengono conto di coloro che hanno manifestato i primi sintomi dal 11 al 24 maggio), i nuovi casi erano stati 2938 (report ISS del 3 giugno[5]) mentre dal 25 maggio al 7 giugno ci sono stati 1750 nuovi contagi (il 40% in meno), esattamente una media di 125 al giorno.
Di questo valore circa 90 al giorno provengono dalla Lombardia, 9 dalla Liguria, 8 dal Piemonte, 5 dal Lazio, 4 dall’Emilia Romagna e 9 complessivamente da tutte le altre regioni. In tutte le regioni quindi, Lombardia esclusa, ci sono meno di dieci nuovi contagi giornalieri. Oltre a questo, in tutte le regioni più interessate i nuovi contagi sono in calo, meno che nel Lazio, dove nelle settimane passate è stato individuato un focolaio all’ospedale romano del San Raffaele già circoscritto e che comunque partiva da numeri bassi, e in Liguria, che si trova a valori pressoché stabili.
IL TREND LOMBARDO
Al di là dell’andamento nazionale, a livello regionale alla luce di numeri così bassi, praticamente nulli, è molto difficile ottenere dei trend più approfonditi che vadano oltre il guardare il semplice valore complessivo su un arco di due settimane. L’unica eccezione principale è la Lombardia, che presenta ancora numeri su cui è possibile realizzare un’analisi significativa.
In figura 1 vediamo quindi i numeri dei nuovi contagi lombardi, sempre retrodatati alla comparsa dei sintomi, delle ultime 3 settimane già consolidate. La prima di queste settimane si riferisce a contagi avvenuti prima delle riaperture del 18 maggio, le due successive, come abbiamo già spiegato, dopo.
Come si vede dalla figura il trend si conferma in generale calo. Assieme ai casi c’è anche una stima di Rt con la sua incertezza (vi rimandiamo al nostro articolo su come si definisce e si calcola questo parametro https://bit.ly/2YqlcVa).
Anche volendo escludere l’ultima settimana, che come vi avevamo già detto può portare a sottostimarne il valore (vedi https://bit.ly/2NhvXmC),Rt si trova comunque ancora a valori di 0,8 ÷ 0,9, inferiore a 1. La media di Rt su tutto il periodo fornita dall’ISS per la Lombardia vale 0,82 (intervallo 0,64 ÷ 0,95). I dati lombardi quindi sono ancora in calo anche dopo le aperture del 18 maggio, se, come fa l’ISS, si escludono dai suoi numeri gli arretrati.
ALCUNE CONSIDERAZIONE SUI DATI ARRETRATI
Nella figura 2, tratta sempre dall’ultimo report ISS [6], vediamo come sono distribuiti i soggetti risultati positivi nelle ultime due settimane (1/6 – 14/6) in funzione della data di inizio sintomi. Anche se si tratta per la maggior parte di contagi recenti, vi è una nutrita minoranza (circa un 20%) di contagi arretrati, che risalgono anche a un paio di mesi fa. Questi arretrati sono imputabili a tamponi rimasti per molto tempo in coda in alcuni laboratori, oppure a individui contagiatisi molto tempo addietro e non più sintomatici ma con ancora una lieve carica virale sufficiente a risultare positivi. Questi contagiati “di vecchia data” potrebbero essere stati in larga parte recuperati recentemente proprio grazie ai test sierologici.
In conclusione possiamo dire che uno dei pochi dati, pur con tutti i suoi limiti, che elimina gli arretrati dal totale dei positivi giornalieri ci conferma che il calo dei contagi sta continuando anche in Lombardia, dove, però, si registrano ancora numeri apprezzabili. I nuovi casi sono invece ormai giunti praticamente a zero o quasi nel resto d’Italia. Tutto questo almeno nelle prime due settimane dopo le riaperture del 18 maggio e quando ancora non sono considerati i dati di contagi successivi all’apertura dei confini regionali del 3 giugno. Vi è anche un certo effetto dovuto a pazienti di vecchia data che potrebbero essere stati conteggiati solo ora grazie ai test sierologici. Sebbene l’effetto possa riguardare al massimo circa il 15/20% dei nuovi trovati positivi, contribuisce comunque ad alzare i contagi oltre il loro valore “reale”.
Autore: Francesco Luchetta, dottore in Fisica e Editor della pagina
[1]https://www.tgverona.it/pages/894143/cronaca/curva_modello_matematico_in_calo_ma_meno_pendente.html
[2] https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2020/06/16/fontana-nuovi-positivi-alti-per-test-sierologici_sNCP7cH8ZjqRxAKx7LM3cI.html
[3] https://github.com/pcm-dpc/COVID-19/blob/master/dati-regioni/dpc-covid19-ita-regioni.csv
[4] https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bolletino-sorveglianza-integrata-COVID-19_16-giugno-2020_appendix.pdf
[5] https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bolletino-sorveglianza-integrata-COVID-19_3-giugno-2020_appendix.pdf
[6] https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata-COVID-19_16-giugno-2020.pdf
Ultima modifica di Pisky; 26/06/2020 alle 09:14
"We are all star people, from the dust we came and to the dust we shall return. So let's celebrate Love. Ciao Mamma.
L'ospedale che ho menzionato non era quello cittadino, ma quello di Fidenza, mi scuso per l'errore.
Questa la situazione nella terapia intensiva del Maggiore qui in città, finalmente Covid free:
"Una donna di 67 anni e un uomo di 61, ancora sotto le cure dei medici della 1°Anestesia e rianimazione, sono stati trasferiti. Erano in ventilazione assistita dal mese di marzo"
Ospedale Maggiore di Parma, dopo quattro mesi la terapia intensiva e Covid free - la Repubblica
Queste situazioni forse spiegano, in che percentuale non so, il gran numero di decessi che abbiamo avuto fino a qualche giorno fa. Plausibile che molti morti purtroppo non ce l'abbiano fatta dopo mesi di TI (i due pazienti sopra erano in TI da tre mesi, assurdo...e la loro situazione è comunque ancora grave)
Ultima modifica di Alexander; 26/06/2020 alle 09:16
Vi consiglio questa lettura tratta dalla pagina Pillole di ottimismo
COSA COMBINA IL SARS-COV-2?
Nella pillola di oggi a cura dei nostri Stefano TASCA, Ilaria BAGLIVO e Walter LUCCHESI parliamo del Covid-19, patologia trasmessa dal virus SARS-COV-2 distinguendone il suo decorso sui pazienti pauci, medio o gravemente sintomatici.
Buona lettura!
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Da quando è iniziata la vicenda COVID-19 abbiamo osservato da vicino cosa vuol dire avere a che fare con una pandemia. Il termine indica, secondo Wikipedia (accessibile a tutti con facilità) “malattia epidemica che, diffondendosi rapidamente tra le persone, si espande in vaste aree geografiche su scala planetaria, coinvolgendo di conseguenza gran parte della popolazione mondiale nella malattia stessa o nel semplice rischio di contrarla. Tale situazione presuppone la mancanza di immunizzazione dell'uomo verso un patogeno altamente virulento”. La domanda sorge spontanea (come diceva il buon Lubrano): Perché dobbiamo temere il SARS-COV-2? Il segreto sta nel prefisso SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome). Non si tratta di un particolare secondario ma della caratterizzazione di una specifica malattia che è SEVERA (Severe) e ACUTA (Acute) come sindrome respiratoria. Ci siamo passati con la SARS COV 1 e con la MERS (hanno avuto diversi decorsi e fortunatamente si sono autolimitate) che però col nostro “amico” COV-2 hanno loci genici in comune e quindi condividono alcune caratteristiche, soprattutto dal punto di vista del danno polmonare/sistemico che determinano. Grazie al Cielo la COVID-19 non è una patologia così drammatica come le sue parenti strette che avevano una mortalità, intesa come numero di decessi su totale della popolazione (…e questo forse ha influito, conoscendo il comportamento dei virus, sulla diffusione e sullo “stop” dell’espansione dei parenti di COV2) molto maggiore. Ciò nonostante il prefisso SARS rimane e quindi secondo me è importante capire perché lo temiamo così tanto e perché una ventilata “seconda ondata” (a mio parere, del tutto personale, improbabile con le caratteristiche della prima) ci fa tanto pensare e congetturare per arginarla. Proverò a rendere comprensibili concetti criptici con parole semplici ed andrò per punti, ok?
COME FUNZIONA L’OSSIGENAZIONE DEL SANGUE
La fisiologia respiratoria (per farla breve e non troppo noiosa) funziona così: entra aria (con la respirazione) e raggiunge gli alveoli polmonari. A questo livello occorre sapere che gli alveoli sono rivestiti da uno strato di cellule (pneumociti di I tipo) che appoggiate su un piccolo tappetino (la lamina propria) sono a stretto contatto con capillari sanguigni, diramazioni terminali delle arterie polmonari. L’afflusso di sangue al polmone attraverso tali capillari e la possibilità da parte degli pneumociti di trasferire ossigeno al sangue, garantisce l’ossigenazione. Ma cosa serve per l’efficienza?
1) Che arrivi sufficiente aria
2) Che gli alveoli siano aperti e pieni della medesima (e a questo ci pensano altre cellule alveolari denominate Pneumociti di II tipo che producono surfattante, sostanza tensioattiva che ha la capacità di evitare il collassamento degli alveoli)
3) Che lo spazio tra alveoli e capillari sia garantito e che lo scambio gassoso sia efficiente.
Per un buon funzionamento del sistema quindi serve che ci siano: a) alveoli aperti e pieni di aria; b) che gli spazi tra superfice alveolare e capillari siano conservati, c) che gli atti respiratori (intesi proprio come escursioni del torace capaci di far penetrare aria nel sistema) siano efficienti; c) che l’azione respiratoria e l’azione cardiaca (che deve mandare fisicamente il sangue) siano adeguate e sincrone; d) che il controllo del flusso sia di aria che di sangue al polmone siano adeguati (e questo avviene con un servomeccanismo efficientissimo di origine nervosa che ha la sua sede di controllo a livello del sistema nervoso centrale).
L’ATTACCO DEL SARS-COV-2
Contrariamente a molti altri virus, che hanno una capacità infettante magari maggiore ma una patogenicità sull’apparato respiratorio minore, il SARS-COV-2 ha uno specifico tropismo per le parti profonde dell’apparato respiratorio. In altre parole, mentre altri agenti provocano danno polmonare come complicanza magari batterica della loro azione infettiva, il nostro amico cinese agisce direttamente a livello polmonare andando ad intaccare il delicato sistema di scambi gassosi. Non è una notazione secondaria: possiamo anche essere d’accordo sul fatto che i più colpiti siano i facenti parte di alcune categorie specifiche (anziani, defedati, pluripatologici, ecc.) ma è una realtà il fatto che le vittime elettive di questo virus (ripeto: in categorie specifiche e con reattività immunitarie particolari) siano colpite proprio a livello degli Pneumociti, sia di I tipo (ossigenazione) sia di II tipo (apertura degli alveoli e produzione di surfattante). Possiamo immaginare il danno? Certo: alterazione degli scambi gassosi (Pn.I tipo) e alveoli in collasso (Pn. II tipo). Ma non solo: in soggetti predisposti (pare anche per motivi di qualità e tipizzazione cellulare (HLA) ) si genera, a seguito dell’infezione e dopo alcuni giorni di malattia, una situazione di iperreattività immunitaria (cosiddetta “tempesta citochinica” che coinvolge mediatori umorali dell’infiammazione come l’Interleuchina 6, l’Interleuchina 1 e il TNF alpha) capaci di instaurare a livello polmonare una situazione di esagerata risposta che si evidenzia sotto forma di un rigonfiamento (edema) degli spazi esistenti tra pareti alveolari e capillari (polmonite interstiziale) tale da impedire il passaggio di ossigeno tra alveoli e sangue. Peggio ancora: l’attacco degli pneumociti di II tipo determina un serio problema anche di disponibilità alveolare alla penetrazione di aria: si accumula secrezione all’interno degli alveoli sottraendo spazio all’aria (Sindrome da distress respiratorio acuto o ARDS). Ma ancora peggio: a seguito dell’ipossigenazione inizia una cascata di danno multiorgano (reni, cuore, ecc.) che fa precipitare il quadro in modo rapido e drammatico. E poi, per soprammercato, si sovrappone (sempre per fenomeni legati allo stato infiammatorio acuto) una situazione di alterata perfusione sanguigna polmonare sotto forma di microtrombi (…va bene dai: piccoli tappi) che impediscono una efficiente circolazione del sangue all’interno del sistema di ossigenazione.
OK, OK, CALMA: ADESSO SPIEGO
Da buon neonatologo ho dimestichezza coi polmoni e i loro problemi quindi parlo con cognizione di causa. Premetto, per tranquillizzare, che nell’80-85% delle infezioni il decorso si limita a qualche sternuto e a un po’ di febbre, forse mal di gola, ma nel circa 10-15% dei casi la situazione è un po’ più profonda, coinvolgendo superficialmente le basse vie respiratorie quindi con tosse, catarro, febbre discreta, malessere generale, debolezza muscolare. Tutto sommato gestibili in modo piuttosto sereno se non fosse per l’incognita della possibile evoluzione in “tempesta citochinica” (circa 5% dei casi) sempre dietro l’angolo, ma che pare legata a predisposizione personale e genica. In particolare, mi preme sottolineare il meccanismo di attecchimento del virus che usa come serratura d’ingresso alcuni recettori normalmente implicati nel controllo della pressione arteriosa (ACE2). Questi recettori, presenti in tutti gli organi, in età infantile/giovanile sono meno numerosi e tendono ad aumentare con l’avanzare dell’età. Le persone giovani ne hanno meno di quelle mature/anziane e quindi sono meno ricettive all’attacco del virus. Più si invecchia (ahimè) più aumenta il rischio di essere esposti. In secondo luogo, mi corre l’obbligo di sottolineare un fatto non secondario: nella genesi delle peggiori complicanze c’è, alla base, la famigerata “tempesta citochinica”. Ricordo in particolare un mediatore-chiave che è rappresentato dall’interleuchina 6 (e va a braccetto, come cascata infiammatoria, con le sue parenti strette Interleuchina 1 e TNF alfa). L’interleuchina 6 è un tuttofare agendo sia da pro che da antinfiammatorio, viene prodotta anche dai muscoli, dal tessuto adiposo, viene inibita, nell’azione, dagli estrogeni e comunque è il mediatore principe negli stati infiammatori cronici (diabete, ipertensione, obesità, cardiopatie e chi più ne ha…). Quando ne viene rilasciata in grandi quantità, determina una potentissima azione infiammatoria la cui conseguenza più macroscopicamente evidenziabile è l’edema (il “gonfiore”, diciamo così, dai…) che a livello polmonare costituisce un bel problema. Infatti, l’accumulo di liquidi (il gonfiore, appunto) nello spazio tra alveoli e capillari sanguigni, da origine alla polmonite interstiziale e alla alterazione degli scambi gassosi oltre che generare una notevole resistenza alla espansione del tessuto polmonare che, imbevuto di liquidi, risulta pesante, rigido, scarsamente elastico. Prego chi legge di ricordare queste premesse: serve tantissimo per capire i problemi relativi alla cura e all’assistenza.
PERCHE’ IL COVID-19 MINACCIA SERIAMENTE?
Bella domanda. Prima di tutto perché colpisce eminentemente persone che già sono nei guai per altri motivi (pluripatologici, anziani, defedati, ecc.) e poi perché si tratta di un agente poco conosciuto, del quale solo dopo studi serrati e frenetici si inizia a conoscere l’aspetto sia molecolare sia patogenetico. In terzo luogo, si tratta di una patologia polmonare che pur riconoscendo parametri già noti, si manifesta in modi completamente differenti da paziente a paziente in stretta dipendenza dalle patologie di base già presenti e che peggiorano il quadro in modo variabile.
All’inizio dell’epidemia/pandemia i miei cari colleghi intensivisti (con i quali sono in contatto pressochè quotidiano) si sono trovati di fronte a problemi non indifferenti. Prima di tutto decidere COME assistere i malati più seri, che tipo di approccio (invasivo, conservativo) adottare, come evitare la diffusione del contagio (non facile perché alcune metodiche ventilatorie aerosolizzano il virus e lo diffondono), come evitare complicanze sistemiche in soggetti con gravi problematiche di ossigenazione. All’inizio (virus sconosciuto, meccanismi di azione solo teorizzati, assenza di elementi di tipo istopatologico disponibili per capire dove fosse il danno e in cosa consistesse) ci si basava su conoscenze empiriche. Si notava che a parità di ventilazione non si otteneva ossigenazione efficiente quindi si insisteva su forzature nella pressione di ventilazione e su pressioni di fine espirazione alte (lo so che mi odiate, ma all’osso, questo significa insufflare l’aria a pressione per mantenere aperti gli alveoli ed evitare che alla fine dell’espirazione gli alveoli collassino…tutto qui). La chiave del problema nel COVID-19 sta nel rapporto tra ventilazione (aria che entra) e perfusione (quantità di sangue affluente che può essere ossigenato). Questo spiega anche la necessità di cambiare spesso posizione ai pazienti assistiti per garantire che tutte le aree di polmone vengano ventilate efficacemente: teniamo conto che nella quasi totalità si tratta di persone sovrappeso, obese le cui escursioni respiratorie sono limitate e che quindi necessitano di un cambio di decubito proprio per garantire una distribuzione omogenea dell’aria nei polmoni). Prima abbiamo visto che il polmone da COVID è umido (polmonite interstiziale), scarsamente elastico (meno ventilabile) e difficilmente perfuso (per la presenza di microtrombi capillari nel circolo). Cosa comporta? Bilanciamento tra pressioni di insufflazione dell’aria, concentrazione di ossigeno dei gas insufflati (a volte, nei casi gravi, la concentrazione di ossigeno che in aria normalmente è del 21% è salita fino all’80%) e valutazione del risultato delle manovre in relazione alla risposta che il paziente otteneva sulla quale aggiustare pressioni e concentrazioni di ossigeno. Poi, con il suggerimento di alcune autopsie che rilevarono le microtrombosi dei vasi, si iniziò con l’uso di eparina come anticoagulante che migliorò notevolmente il quadro perché generò una drastica variazione nell’afflusso di sangue alla base di una migliore ossigenazione, il tutto col tentativo di diminuire l’edema (il gonfiore tra vasi sanguigni ed alveoli polmonari) usando cortisone. Il risultato l’abbiamo visto da Aprile in poi, miglioramenti progressivamente ottenuti variando quasi giornalmente gli approcci sulla base dei risultati clinici. In più, la ricerca, mai stanca, ha portato alla sperimentazione anche di sostante che fossero attive: 1) sull’attecchimento del virus (antivirali come il Remdesivir); 2) sulla difesa mediata da anticorpi (siero iperimmune e, recentissimamente, anticorpi monoclonali); 3) migliore conoscenza e stilaggio di protocolli (per quanto obbligatoriamente flessibili in relazione alle manifestazioni dei singoli pazienti: ogni caso è a se stante); 4) migliore conoscenza della capacità di diffusione e recettività delle persone al virus (distanziamento sociale e quant’altro, seppure con logica e buonsenso); 5) uso di sostanza che bloccano (o limitano) l’azione dell’interleuchina 6 (tocilizumab) in modo che la tempesta citochinica sia limitata; 6) presa di coscienza che la soluzione al problema non sta nell’affrontare in emergenza un problema, ma nel PREMUNIRSI di fronte ad una possibile (seppure teorica) recrudescenza. Inoltre, c’è da considerare che già a monte si può effettuare uno screening volto ad individuare i soggetti a rischio siano essi obesi/sovrappeso (sia per la tendenza ad avere iperproduzione di Interleuchina 6 sia per questioni di dinamica respiratoria: il “cicciotto” ventila con più difficoltà), gli anziani oltre i 65 anni con pluripatologie o i giovani o relativamente tali, con masse muscolari particolarmente sviluppate e dediti ad attività fisica massimale.
L’ATTO PRATICO DELL’APPROCCIO AL PAZIENTE COVID-19
Quando mi sono laureato non c'era neanche la TAC. Ci hanno abituato a ragionare e ad "adattare" la nostra conoscenza agli eventi, qualche volta facendo equilibrismi basati esclusivamente sull'osservazione e sulla valutazione dei risultati accoppiati alla conoscenza il più possibile accurata dei fenomeni fisio/patologici relativi. Questo è sfociato nello stilaggio di procedure "flessibili" e passibili di modifica in relazione ai quadri che, a parità di malattia, si presentano spesso in modo completamente differente. Insomma, la “disobbedienza” ai protocolli era quasi una norma ma aveva come contropartita la stesura di NUOVI protocolli magari più efficaci e fattivi. In questa situazione di COVID-19 c'è stato un barlume di ritorno alle vecchie procedure, un po’ galileiane: i protocolli dicevano qualcosa che si osservava essere poco efficace o dannoso e quindi si aggiornava il protocollo variandone parametri e procedure. Il coraggio e la perseveranza uniti alla inventiva (vedi maschere facciali derivate dallo snorkeling oppure ventilatori adattati a sostenere due-tre pazienti in contemporanea, o l’uso del Tocilizumab off-label, ecc.) hanno fatto la differenza pur essendo procedure inusuali e non codificate/statuite/ approvate. Comunque, nel caso specifico il trauma determinato dalla ventilazione meccanica forzata sul polmone è un dato di fatto. Il ricorso invece agli alti flussi (casco), nasocannule e la revisione dei parametri con il riconoscimento di limiti di tolleranza per ciò che attiene alla concentrazione di ossigeno nel sangue, allo stato di equilibrio acido/base e al rapporto tra entità della ventilazione e risposta ottenuta ha diminuito di moltissimo l'insorgenza di patologie post-intubazione e intraintubazione (broncopneumopatie, pneumotorace, enfisema e quant'altro) seppure la polmonite interstiziale, guarendo, spesso lascia come esito una cicatrizzazione all’interno del polmone (fibrosi polmonare). Nei malati COVID gravi poi il problema chiave non è praticamente mai stato la sola difficoltà a ventilare: è stato la carenza e difficoltosa circolazione sanguigna intrapolmonare (microcoaguli). Gli anticoagulanti al momento giusto come supporto hanno evidentemente reso possibile sostenere la maggior efficienza di circolazione del sangue all’interno degli spazi utili all’ossigenazione per cui a parità di ventilazione, l'efficienza negli scambi è stata maggiore, senza il ricorso a misure troppo traumatiche.
Quando si ha un edema dell'interstizio polmonare e versamento intra-alveolare (ARDS) alla ventilazione si incontra resistenza. Il polmone è umido, poco compliante ma se si forza la ventilazione si può riuscire a far entrare aria negli alveoli e, A PATTO DI AVERE SUFFICIENTE AFFLUSSO EMATICO si riesce ad ossigenare il sangue. Nei pazienti COVID, i miei colleghi intensivisti notavano chiaramente che la resistenza alla ventilazione non era magari eccessiva ma che l'uso di parametri di ventilazione anche abbastanza forzati non portava a significative modifiche in meglio della concentrazione di ossigeno nel sangue...a denunciare che il problema certamente era ANCHE di tipo restrittivo (meno polmone utilizzabile per la ventilazione) ma soprattutto perfusivo (a parità di ventilazione nel polmone arrivava meno sangue da ossigenare). Sono occorsi coraggio, inventiva e molta abnegazione ma alla fine, seppur rimangono sempre i lati oscuri del decorso determinati dalle condizioni di partenza di ogni singolo affetto (le famose patologie associate che in altissima percentuale sono responsabili di esiti scadenti o mortali), si è raggiunto uno schema di assistenza piuttosto efficace e, all’interno di certi limiti, universalmente applicabile con successo.
QUANTO DOBBIAMO TEMERE L’ONDATA AUTUNNALE/INVERNALE
La risposta è: chi lo sa? Non sappiamo né se e né quando si manifesterà. Prove (a questo punto piuttosto chiare) di tipo virologico/biologico cellulare dicono che stiamo andando verso l’endemia (in termine proprio si chiama “fitness” con l’ospite) quindi verso una sorta di “simbiosi” che è caratterizzata da ondate epidemiche di coronavirus respiratorio stagionali, blande, con qualche caso più significativo. Ma se anche così non fosse, seguendo la logica e osservando i fatti, anche nel peggior scenario ora abbiamo:
- Mezzi di riconoscimento precoce (sierologia/tamponi)
- Farmaci antivirali efficienti (Remdesivir)
- Terapie intensive (si spera) adeguate (pressione negativa, ECMO e quant’altro)
- Terapie preventive da attuare a domicilio senza necessità di intasare/occupare reparti ospedalieri dedicati
- Conoscenza dei fattori di rischio (OBESITA’/SOVRAPPESO, diabete, ipertensione, età anagrafica,)
- Terapie anti-complicanze efficienti (tocilizumab)
Per tali motivi credo (e in modo ragionevolmente sicuro) che potremo affrontare le evenienze in modo fattivo avendo in mano conoscenze e tecniche certamente adeguate e in evoluzione. Sono fiducioso in un rientro nella vita normale, con normali rapporti umani, in tempi relativamente brevi. Noi siamo pronti: il virus ci dirà al momento giusto, quale sarà la sua faccia. In ogni caso ne abbiamo consapevolezza e, di conseguenza, possiamo dire con efficienza la nostra.
FURTHER READING
SULLE CITOCHINE
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J Biol Regul Homeost Agents. 2020 Mar 14;34(2):1
2) Immune response to SARS-CoV-2 and mechanisms of immunopathological changes in COVID-19.
Azkur AK, Akdis M, Azkur D, Sokolowska M, van de Veen W, Brüggen MC, O'Mahony L, Gao Y, Nadeau K, Akdis CA.
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ISTOLOGIA E ISTOPATOLOGIA
3) Post-mortem examination of COVID19 patients reveals diffuse alveolar damage with severe capillary congestion and variegated findings of lungs and other organs suggesting vascular dysfunction.
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5) Autopsy Findings and Venous Thromboembolism in Patients With COVID-19.
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RECETTORI ACE2
12) High expression of ACE2 receptor of 2019-nCoV on the epithelial cells of oral mucosa.
Xu H, Zhong L, Deng J et al-.
Int J Oral Sci. 2020 Feb 24;12(1):8
13) SARS-CoV-2 receptor ACE2 and TMPRSS2 are primarily expressed in bronchial transient secretory cells.
Lukassen S, Chua RL, Trefzer T et al.
EMBO J. 2020 May 18;39(10)
14) Physiological and pathological regulation of ACE2, the SARS-CoV-2 receptor.
Li Y, Zhou W, Yang L, You R.
Pharmacol Res. 2020 Jul;157:104833
15) Pathophysiology of COVID-19: Why Children Fare Better than Adults?
Dhochak N, Singhal T, Kabra SK, Lodha R.
Indian J Pediatr. 2020 May 14:1-10.
"We are all star people, from the dust we came and to the dust we shall return. So let's celebrate Love. Ciao Mamma.
Ultima modifica di Simotgl; 26/06/2020 alle 09:53
Le 3 cose più belle dall'entrata nel forum e nel mondo meteo : i "mammatus" post-temporale, il nevone 2012 e l'ASE..
Scusate, ho invertito, noi 21 test ogni positivo.
Noi abbiamo fatto 5 milioni di test per 240.000 casi = 21 tamponi per caso
La Cina dichiara 90 milioni di test per 83.000 casi = 1080 tamponi per caso
In teoria, tralasciando i test per i guariti, significa aver testato 1000 persone per ogni singolo caso trovato, il che significa tracciare in modo enorme.
Cioè nel caso di un focolaio di 50 persone testano tutta una città intera per esempio (buttando lì un'idea di grandezza). Anche ammettendo che siano la metà i tamponi "per guarigione", son sempre 25000 tamponi per un focolaio di 50 casi.
Noi nel nostro piccolo molto molto di meno, ci limitiamo ai familiari o ai primi contatti ravvicinati (soprattutto visto che nel nostro caso sappiamo che una grande fetta di tamponi sono stati eseguiti per testare la guarigione).
Non è che con ciò giustifico i dati cinesi e li prendo per buoni a prescindere, ma è solo per avere un'idea.
Ultima modifica di Simotgl; 26/06/2020 alle 10:05
Le 3 cose più belle dall'entrata nel forum e nel mondo meteo : i "mammatus" post-temporale, il nevone 2012 e l'ASE..
La foto l'ho fatta da lontano con il cellulare. Non ho alcuna intenzione di avvicinarmi. Ed è solo venerdì. Sabato e domenica c'è molta più gente.
Raccontatemi ancora la favoletta dei 4 m di distanza tra un ombrellone ed un altro.
Per quale motivo sul sito ISS sono segnati 116 deceduti negli ultimi 30 giorni?
Il Gores ha comunicato che nelle ultime 24 ore sono stati processati in totale 940 tamponi, di cui 574 nel percorso nuove diagnosi, 322 nel percorso guariti e 44 nel percorso Hotel House. Zero casi positivi nel percorso nuove diagnosi e nel percorso guariti. Due casi positivi nel percorso Hotel House.
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