Ma per favore, i mercato energetico è enormemente più grande di quello dei semiconduttori ed ha effetti molto più pervasivi su tutti i settori.
Se il problema principale fosse la politica monetaria lo dovresti vedere innanzitutto dell'inflazione salariale, non da un paio di settori come semiconduttori ed energia, che hanno caratteristiche molto peculiari e fortissima volatilità nei prezzi, oltre ad essere fortemente integrati a livello globale.
Più che i soldi messi nel sistema la politica fiscale ci ha messo del suo, a causa dell'esplosione del disavanzo causa covid (che però dovrebbe rientrare nei prossimi anni).
Tirare in mezzo Venezuela e Turchia poi non ha senso, sono stati che hanno una politica monetaria folle da molti anni, i primi sono anche sotto pesantissime sanzioni.
Sul doppio picco hai completamente ragione (ho fatto copia incolla totale mettendoci dentro tutto)
Però sulla questione che i tassi a zero tirino fuori storture imprenditoriali (godo per Zukenberg e spero presto per Musk) e politiche per me è innegabile.
Gli aiuti in Italia sono stati scandalosi e bonus con cessione credito quanto di più incostituzionale esista.
La scelta era tra questo e il collasso ed è facile fare la scelta, ma come per la questione del contante (il cui limite serve a mettere i bastoni tra le ruote a chi non lo vuole, altrimenti se ne fregherebbe), a chi non sa usare la libertà va posto un limite.
Non so se sono riuscito a spiegare quello che intendo
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Oddio, io sono stato zitto, perché se da un lato è ovvio che a determinare l'inflazione è la quantità di moneta in circolazione dall'altro è altrettanto ovvio che i costi energetici in area UE abbiano agito (e continuino ad agire) da driver primario, negli USA no o comunque molto meno.
Basta leggersi un po' di report Eurostat per rendersi conto che negli ultimi 3 mesi l'accelerazione della crescita inflazionistica stia avvenendo in quei paesi che non riescono ad attuare politiche fiscali adeguate a contrastare l'aumento dei combustibili e in generale dell'energia, che sia per incapacità decisionale e/o divisioni all'interno degli esecutivi (es. Germania) oppure perché non hanno grandi margini di manovra a causa dell'eccesso d'indebitamento (Italia). Non ha senso fare confronti coi superconduttori o con altri settori merceologici perché questi settori non sono in grado di trasferire gli effetti degli aumenti in modo generale e ampio come avviene con gli energetici. Tra l'altro rispetto ad altre nazioni europee l'Italia ha vulnerabilità ulteriori sia sulla rete energetica sia su quella dei trasporti (ampio ricorso alla viabilità stradale, minori infrastrutture mal collegate con gli interporti, modestissima incidenza del trasporto marittimo e fluviale rispetto a Germania o Francia, ecc.).
Non a caso dove le politiche fiscali volte a ridurre i prezzi energetici sono state attuate tempestivamente (Francia e Spagna, che tra l'altro si sono mosse in modo molto diverso tra loro) l'inflazione, pur restando strutturalmente alta, sia in significativo rallentamento (se temporaneo lo vedremo prossimamente). Sui tassi d'interesse siamo in ritardo a livello globale, certamente, ad esempio la Federal Reserve forse avrebbe potuto aumentarli già nel primo semestre del 2021 e l'Europa entro il secondo semestre perché da noi l'effetto della crisi da shock di domanda dovuto al Covid e alle restrizioni si è trascinato più a lungo che negli USA, ma un conto è rammaricarsi del tempo eventualmente perso, un conto è far finta che la "bolletta energetica" non sia stata il traino alla crescita dei prezzi negli ultimi 12 mesi. Ignorarlo e credere che basti l'aumento dei tassi, senza politiche fiscali molto mirate per contenere gli effetti dell'inflazione nel settore energetico (e di riflesso sul resto) imho significa "corteggiare" la stagflazione.
Infine per evitare poi che la fiscalità agisca da semplice "palliativo" (e alla lunga succederebbe, dato il diverso, inevitabile orientamento delle politiche monetarie) servirebbero pure politiche industriali volte a una diversificazione vera (che non vuol dire comprare meno/niente gas dalla Russia e più dall'Algeria, ma comprare meno gas e meno petrolio e ricorrere ad alternative ai "fossili", creando le condizioni perché ciò sia possibile in tempi ragionevolmente rapidi).
https://formatresearch.com/2022/10/19/eurostat-inflazione-annua-area-euro-fino-al-30/
Ultima modifica di galinsog@; 31/10/2022 alle 11:05
Ma su questo sono d'accordo anche io, la normalizzazione della politica monetaria in questa fase è fondamentale ed è un bene che si possa finalmente mettere in atto. Mettere un freno alle follie che si sono viste ultimamente sia sui mercati finanziari sia da parte di molti politici come Liz Truss è un ulteriore vantaggio.
Tuttavia bisogna tenere a mente perché si è arrivati a queste misure di politica monetaria, con i relativi effetti collaterali di cui le banche centrali sono ben consapevoli. Il tutto parte dal fatto che si sono ritrovati ad affrontare problematiche per le quali gli strumenti di politica monetaria sono scarsamente efficaci, la ZIRP è conseguenza del raggiungimento dei limiti della politica monetaria con la condizione che Keynes definiva trappola della liquidità. Con il sistema finanziario fortemente danneggiato e le politiche fiscali incapaci di fornire supporto all'economia (non necessariamente a debito) si è fatto ricorso alle misure non convenzionali per evitare di far affondare tutta la baracca.
Nel caso della crisi del covid la velocità della ripresa economica è stata un successo clamoroso, consentito da una buona coordinazione di politica monetaria e fiscale, che ha portato al più alto tasso di occupazione di sempre a poco più di due anni dall'inizio della pandemia. Mi prendo volentieri un po' di inflazione rispetto alle riprese lentissime che hanno seguito le recessioni del nuovo millennio.
Adesso ci si ritrova ad affrontare un problema opposto ma per certi versi speculare, la politica monetaria non è adatta ad affrontare uno shock dal lato dell'offerta perché l'unico modo che ha di abbassare l'inflazione è far diminuire l'attività economica reale, riducendo il reddito finché abbastanza persone saranno costrette a ridurre i consumi in misura pari alla riduzione delle forniture di gas. Non è una soluzione, è ammazzare il paziente per sconfiggere la malattia, peraltro con la politica fiscale che rema in direzione opposta tentando di assorbire il colpo per industria e famiglie.
Considerato che la maggior parte delle alternative ai combustibili fossili sono estremamente capital intensive, una stretta monetaria rischia anche di penalizzare la necessaria transizione a fonti diverse, portando quindi ad una diminuzione di attività economica reale anche superiore a quella strettamente necessaria.
Tutte le guerre che coinvolgono paesi con un ruolo rilevante nell'economia mondiale portano aumenti rilevanti di inflazione, cercare di sopprimerli troppo rapidamente avrebbe un costo immenso. Ciò che serve fare adesso, possibilmente con una buona coordinazione della politica monetaria con la politica fiscale, sarebbe investire massicciamente per superare la crisi energetica e allo stesso tempo evitare che l'aumento di prezzi si trasferisca su tutti i salari, con aiuti ad hoc, trasferimenti una tantum e misure di soppressione della domanda di gas (razionamenti) che consentano di superare la fase critica. Se si riuscirà a risolvere le problematiche dal lato dell'offerta l'inflazione scenderà da sola senza troppi traumi (sempre che non si aprano altri fronti a livello internazionale).
Ultima modifica di snowaholic; 31/10/2022 alle 13:32
Ma è sicuro che l'hanno fatto apposta, volevano che l'Europa arrivasse all'inverno con le scorte più basse possibili in modo da rendere più efficace il ricatto e scoraggiare una risposta forte all'invasione dell'Ucraina.
Il tentativo è anche riuscito piuttosto bene, abbiamo cominciato l'inverno con le scorte di gas ai minimi storici ed è andata di lusso che sia stato un inverno piuttosto mite.
Alla luce di quanto scritto, per concludere il discorso, la domanda che mi faccio è che, se siamo d'accordo che l'incriminato per l'inflazione attuale non è la politica monetaria, allora senza la folle politica zero covid cinese (che continua) e le manovre russe, probabilmente l'inflazione non sarebbe nemmeno stata notizia da tg.
Ora volendola fare comprensibile anche a chi di solito non si interessa, per quale motivo la quantità di moneta in circolazione non è tuttora correlata significativamente con l'inflazione al netto delle follie dei dittatori di cui sopra?
Possiamo riassumerla e apparentemente banalizzare la motivazione legandola all'accessibilità alle fonti energetiche e globalizzazione (che rappresentano una spugna lato offerta) e parallelamente all'appiattimento dei salari (per motivi da dettagliare)?
Senza Xi e Putin avremmo avuto tassi negativi/zero a tempo indefinito in occidente?
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Penso sia possibile ma sarebbe sempre un equilibrio instabile, per come la vedo io, è l'enorme massa di moneta circolante emessa in questo decennio di tassi bassi, attorno o sotto-zero, che sta lì a fare da "carburante" all'inflazione, ogni qual volta si presenti una crisi che vada ad alterare l'equilibrio tra domanda ed offerta rischi di avere nuove occasioni per vedere accelerare la crescita dei prezzi e l'inflazione... non a caso si è sottolineata la differenza tra l'inflazione statunitense e quella europea ma comunque si ritiene che il rialzo dei tassi sia una strada da perseguire con forza anche nel medio periodo. Alla fine l'inflazione può anche avere "driver" diversi (ripresa post-Covid negli USA vs rincaro dei carburanti fossili in UE), possono cambiare un po' le politiche fiscali e quelle monetarie (negli USA forse davvero può bastare un breve periodo di recessione "governata"), ma il problema resta sempre l'eccesso di stock monetario e di liquidità, che va ridotto drasticamente per evitare che a ogni scintilla (leggasi a ogni crisi internazionale) scoppi un incendio incontrollabile.
La "moderazione salariale" imho fa comunque sempre parte degli effetti della globalizzazione, politiche di indicizzazione salari/prezzi come quelle attuate dopo la crisi petrolifera del 1973 sarebbero non solo inopportune ai limiti del disastroso ma del tutto insostenibili in un'economia globalizzata.
Ultima modifica di galinsog@; 31/10/2022 alle 19:54
A proposito di metaverso, ipotesi personale (IMVHO):
Il metaverso potrà tramutarsi in un affare nel momento in cui ci sarà stato il "riequilibrio" ad occidente delle catene produttive e delle fonti energetiche. Immaginiamo un mercato che si raddoppia, tutto quello che viene venduto nel reale verrà replicato nel virtuale; comprI le scarpe di marca? acquisti contemporaneamente quelle virtuali per il tuo avatar.
So che sembra una idiozia, ma fateci caso: quanti sono i bimbi che appena dotati del pollice opponibile hanno il cellulare in mano che manco sanno parlare e passano le giornate in questo modo fino alla totale dipendenza che alcol, sexo, droghe gli fanno un baffo? Ho visto reazioni da crisi da astinenza da brividi (ed ogni giorno mi ingegno affinchè i miei figli non ne vengano sfiorati).
Ed allora più che ad esempio le simulazioni degli interventi chirurgici (giusto un ansiolitico prima di mettere le mani su un malato vero) la rivoluzione la vedo nell'ulteriore allargamento del mercato ad un campo (virtuale) che va a sostituire l'arido e reale bacino africano che più che riserva demografica del mondo va configurandosi sempre più come "GIACIMENTO" di problemi e campo di conflitti tra potenze.
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Gli argomenti dell'articolo sotto secondo me sono essenziali. Anticipo una frase paradigmatica
Qualcuno ha detto: se la crisi con la Russia è la tempesta, i rapporti con la Cina sono il cambiamento climatico. E qui i negazionisti faranno una brutta fine.
Si fa presto a dire friendshoring
Si fa presto a dire friendshoring | Phastidio.net
2 Novembre 2022
Dopo aver inopinatamente consegnato a Gazprom e al Cremlino il controllo di alcuni propri siti di stoccaggio di gas, consentendo ai russi di strangolare gli approvvigionamenti in modo propedeutico all’invasione dell’Ucraina, ora i tedeschi sono -giustamente- terrorizzati di non ripetere l’assurdo errore.
PSICODRAMMA TEDESCO
Motivo per cui nei giorni scorsi è andato in scena lo psicodramma del tentativo di dire Nein all’acquisizione, da parte del gigante cinese dello shipping Cosco, di una quota del 35% nella società che gestisce un terminal container ad Amburgo. Alla fine, malgrado la contrarietà di ben sei ministri federali, il Cancelliere Olaf Scholz l’ha spuntata con un compromesso: quota appena sotto il 25% e niente voce in capitolo cinese nelle strategie industriali del terminal.
E vissero tutti felici e contenti, consentendo a Scholz di andare in visita da Xi Jinping, a giorni? Non esattamente. Il motivo non è difficile da comprendere: in un periodo storico di confronti tra blocchi e attriti geopolitici crescenti, la formula mercantilista tedesca rischia di finire fuorigioco, infliggendo un colpo molto severo al suo modello di sviluppo basato sulle esportazioni.
Come è possibile, infatti, designare la Cina come importante rivale sistemico ma al contempo mantenerne lo status di partner commerciale? Come reagire alle violazioni dei diritti umani da parte del regime senza pregiudicare un immenso mercato di sbocco ma anche di produzione? Il tutto tenendo presente che la Cina sta puntando strategicamente all’autonomia sulla frontiera tecnologica e che quindi punta a liberarsi, o comunque ridimensionare fortemente, le produzioni estere entro pochi anni.
CINA VITALE PER LE AZIENDE TEDESCHE
Secondo il German Economic Institute, nel primo semestre di quest’anno le aziende tedesche hanno effettuato investimenti in Cina per 10 miliardi di euro, nuovo massimo storico. Nel 2021, la Cina è stata il primo partner commerciale della Germania, con una quota del 9,5% del commercio tedesco di merci.
L’attrazione cinese per le aziende tedesche resta fortissima: il 40% delle auto vendute da Volkswagen è destinato alla Cina; la Cina genera il 15% dei ricavi di BASF e il 13% di quelli di Siemens. Secondo un recente sondaggio dell’istituto di ricerca Ifo, il 46% delle aziende tedesche si affidano a fattori di produzione intermedi di provenienza cinese.
Anche l’eventuale azione di Berlino volta a ridurre le garanzie per le aziende tedesche impegnate in Cina non pare rappresentare un disincentivo. Nel frattempo, il colosso della chimica BASF ha deciso di ridimensionare la propria presenza europea e costruire una fabbrica di 10 miliardi di euro nella città cinese meridionale di Zhanjiang. La catena di discount Aldi sta aprendo centinaia di punti vendita in Cina.
L’Europa in questo momento ha un problema molto serio: lo svantaggio competitivo sui costi dell’energia rispetto ad altre aree del mondo. Non solo Cina ma anche Stati Uniti. Che possono attrarre aziende europee anche grazie a costi dell’energia che, al netto di pur ampie fluttuazioni, sono nettamente inferiori a quelli del Vecchio Continente.
GLI “AMICI” AMERICANI IRRITANO L”EUROPA
Gli americani, poi, hanno causato allarme e irritazione nei leader europei a causa della legge, voluta dall’Amministrazione Biden e approvata in agosto, nota col nome di Inflation Reduction Act (IRA), che destina sussidi verdi agli acquirenti di veicoli elettrici solo se assemblati negli Stati Uniti. Altri sussidi vanno a batterie prodotte negli USA o minerali estratti da paesi “amici”.
Forte irritazione europea, considerando ad esempio che la Germania offre sussidi ai veicoli elettrici venduti sul suo territorio a prescindere dalla provenienza. Vedremo come evolverà questa frizione commerciale, sono in corso colloqui.
Se le aziende europee si troveranno a stabile svantaggio di costo sull’energia, oltre che strattonate a investire verso paesi “amici” che altrimenti le lascerebbero fuori dalla porta, i problemi domestici europei si accresceranno. Vero è che non è tutto semplicissimo, per gli investimenti esteri: il mercato del lavoro americano è “amichevole” per le aziende ma presenta tensioni non marginali e crescenti, legate alle sue attuali condizioni di pieno impiego e carenza di manodopera, specializzata e non, come anche a problemi “culturali”, ad esempio legati alla gestione della diversità.
In sintesi: si fa presto a parlare di friendshoring ma resta l’ineliminabile aspetto di competizione tra blocchi, e l’Europa rischia di dover scegliere il minore dei mali. Posizioni mercantiliste come quella tedesca appaiono oggi difficilmente sostenibili, e a Berlino ne sono consapevoli. Sono finiti i tempi dei dodici viaggi di Angela Merkel in Cina, con seguito di aziende tedesche.
Al contempo, la prevalenza di interessi nazionali ostacola la creazione di poli europei. I rapporti franco-tedeschi sono in freddo, tra le altre cose, anche a causa della scelta del governo Scholz di comprare gli F35 americani. Dopo lo schiaffo dei sommergibili australiani, Emmanuel Macron resta estremamente sensibile al tema. Come dargli torto?
LA GLOBALIZZAZIONE CAMBIA PELLE, L’ITALIETTA NON CI ARRIVA
La globalizzazione è morta? No, cambia pelle e viene compressa in blocchi, anche sulla base di motivazioni extra-economiche. Ciò implica duplicazione di costi nelle catene di fornitura e il costante rischio di trovarsi con investimenti da rottamare. Qualcuno ha detto: se la crisi con la Russia è la tempesta, i rapporti con la Cina sono il cambiamento climatico. E qui i negazionisti faranno una brutta fine.
Al contempo, gli americani si fanno gli affari loro, come è razionale attendersi, dietro la retorica del mondo libero. Nel frattempo, i super banchieri occidentali vanno a Hong Kong a dire che per loro la Cina resta un mercato imprescindibile. Come finirà?
Unica certezza, la tragica inadeguatezza dell’Italietta che, a chiacchiere della sua premier pro tempore aderisce alla logica di nearshoring e friendshoring, dopo che la medesima, in una vita precedente, aveva respinto trattati commerciali “occidentali”, preferendo chiedere di togliere le sanzioni alla Russia per l’invasione dell’Ucraina del 2014.
Al netto di ciò, sarebbe utile che i nostri leader pro tempore avessero consapevolezza che ogni friendshoring o creazione di campioni europei ha in sé una ineliminabile divisione del lavoro e un capo-filiera. Il cui stato di provenienza se ne frega serenamente di rimbrotti su presunte “condotte predatorie” di proprie aziende verso quelle del Belpaese. Ma questo lo sappiamo da sempre. Almeno noi, che non facciamo politica.
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