Originariamente Scritto da
galinsog@@
C'è un ulteriore problema pratico, per il quale Israele non ha più moltissimo tempo per trovare una soluzione e consiste di due domande:
1. come entrare in Gaza?
2. una volta entrati che fare?
Entrare in Gaza con una vasta offensiva di terra "tradizionale" comporta un numero enorme di morti, soprattutto tra i civili palestinesi ma anche tra i soldati israeliani, prelude a una probabile mattanza degli ostaggi, mette certamente fuori uso l'apparato logistico-militare di Hamas, ma comunque non annienta l'organizzazione dal lato politico, destabilizza l'area, rende critici i rapporti con i paesi dell'area mediorientale, compresi quelli che negli ultimi decenni hanno avuto normali rapporti abbastanza normali con Israele, aprendo le porte a possibili ulteriori fronti di confltto armato, fino a oggi solo "teorici", ad esempio con l'Egitto, per la probabilità di un possibile massivo movimento di rifugiati verso il Sinai... e poi, dopo tutto questo casino, saremmo quindi al punto 2, che fare con Gaza? Rioccuparla? Fare un cuscinetto nel Nord della Striscia di Gaza insediandovi coloni, come sotto-sotto vorrebbero certi personaggi della destra religiosa, a partire da Ithamar Ben-Gvir? Oppure lasciare Gaza nuovamente in balia di sé stessa col rischio che rabbia, miseria, disperazione, in capo a un paio d'anni, riportino il rischio di attentati e attacchi terroristici ai livelli di inizio ottobre?
Qui bisogna distinguere tra una reazione legittima mirata a distruggere la capacità militare degli estremisti islamici di Gaza, provare a salvare quanti più ostaggi sia possibile, entrare in Gaza in modo efficace, neutralizzando per quanto possibile la capacità militare di Hamas... e mediare tra chi vorrebbe fare queste cose, affidandosi principalmente a reparti d'élite, concludere l'operazione rapidamente e abbandonare il territorio della "Striscia" il prima possibile (ossia quello che vorrebbero la maggior parte dei militari, i partiti di opposizione e la parte più moderata dello stesso Likud) e i nazionalisti simil-fascisti che stanno nella destra del Likud e soprattutto nei due partiti religiosi ora al governo e che nell'ultimo decennio hanno letteralmente fagocitato il voto di minoranze consistenti, come quella dei sefarditi e degli ebrei provenienti dal Golfo Persico. L'hanno fatto soffiando su un nazionalismo venato di messianismo e perseguendo il sogno-delirio della "Grande Israele", estesa dal litorale mediterraneo fino alla sponda destra del Giordano e magari pure fino al confine nord del Sinai. Ecco questa è l'unica categoria di soggetti che crede di avere qualcosa da guadagnare dall'escalation e da uno scenario simil '73. Pensano di guadagnarci perché confidano che il sostegno americano e occidentale, anche di fronte a situazioni inaccettabili, sarebbe comunque ad oltranza e incondizionato ma io avrei serissimi dubbi in proposito. Costoro non sono molti, è vero, ma hanno comunque un piede nel governo e, per quanto rappresentino una minoranza dell'elettorato, la loro è comunque una minoranza non solo molto rumorosa ma aggressiva e in certa misura eversiva.
Sono convinto che Netanyahu credesse che, portando i fanatici al governo questi si moderassero, ma sembra che si illudesse...
Personalmente la vedo nerissima... perché coloro che hanno responsabilità in Israele hanno finalità molto diverse e se quelle della parte preponderante dei partiti israeliani (a sinistra, al centro e nella destra liberale) sono legittime e rispondono a un'esigenza esistenziale dello Stato di Israele, ossia di non dover fronteggiare un conflitto con la Palestina egemonizzato dagli esponenti più estremisti dell'Islam sunnita e sciita (armati da potenze regionali i cui capi inneggiano apertamente allo sterminio degli ebrei) dall'altra parte c'è un'agguerrita minoritaria di fanatici nazionalisti-religiosi, tra l'altro determinanti per la sopravvivenza dell'attuale governo Netanyahu, che hanno obiettivi di gran lunga meno legittimi e molto più inquietanti e forse da un'eventale escalation pensa di guadagnare qualcosa...
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