... un favoloso estratto di Bar Sport di Stefano Benni. Riguarda tutti voi, leggetelo bene !
Viva Piva.
Un giorno, nell'agosto del '50, il famoso Mazzarone, l'allenatore
dell'Inter dei venticinque scudetti, si fermò per caso a fare benzina
a Biandrate Oliveto, paesino del Varesotto. Mentre il benzinaio gli
riempiva di polenta il serbatoio della Maserati, Mazzarone vide, in un
campetto vicino alla strada, un ragazzino. Era magro e macilento, con
pantaloni enormi tenuti su con due ciappetti, dai quali spuntavano due
gambette rachitiche. Il ragazzino palleggiava con una palla di
stracci, e ogni tanto sparava delle bordate spaventose contro il muro
della chiesa, tanto che il prete uscì due o tre volte imbestialito
perché gli ribaltava l'altare. Mazzarone osservò alcuni minuti il
ragazzino. Poi si avvicinò e gli disse: «Di' un po', ragazzino,
verresti a Milano con me?» Allora il ragazzino alzò i grandi occhi
stupiti dal pallone, guardò Mazzarone e disse: «Fila via, pederasta»,
e con una pallonata tremenda stese l'allenatore dei venticinque
scudetti in mezzo alla strada.
Quel ragazzino era Amedeo Piva, e dieci anni dopo sarebbe diventato il
grande Piva, l'ala della nazionale azzurra, il calciatore più forte
d'Europa. Per questo Mazzarone ama ancora oggi ricordare
quell'episodio.
Amedeo Piva era il sesto di sessantadue fratelli, tutti poverissimi:
il padre tagliava la frutta per le macedonie in un ristorante e la
madre allevava ranocchi nella vasca da bagno, per poi venderli ai
bordi della strada. Fin da piccolo Amedeo cominciò a lavorare: portava
a pascolare i ranocchi in un rigagnolo parallelo alla strada
nazionale, mentre i suoi sessantun fratelli pulivano la vasca. Durante
le sue pascolate, passava vicino al campo sportivo di Biandrate e
spesso il parroco lo chiamava per tener su la traversa. Ben presto si
vide che Amedeo era nato per il calcio: mentre i suoi sessantun
fratelli passavano tutto il loro tempo a rubare televisioni e a
giocare coi ranocchi, lui si chiudeva in camera da letto e dormiva,
sognando di giocare con una palla di stracci contro il muro della
chiesa.
Ma forse il talento di Piva sarebbe rimasto sprecato, se due persone
non l'avessero aiutato a sbocciare: il professore di ginnastica del
paese, e il parroco.
Il professore di ginnastica era il nonno di Amedeo, Orazio Piva, una
bella tempra di sportivo: malgrado l'età (novantadue anni), si alzava
ancora tutte le mattine alle quattro e andava di corsa da Biandrate a
Poviglio (sessanta chilometri) attraverso i campi, a prendere il
mangiare per i ranocchi. Era ancora, infatti, così veloce, che durante
il tragitto gli si spiaccicava sulla faccia un'enorme quantità di
moscerini della Bassa. Quando Orazio Piva, alle sei e mezzo, tornava a
casa, si buttava nella vasca d'acqua gelida e si lasciava ripulire dai
ranocchi. Orazio Piva inculcò ad Amedeo il culto dell'aria pura. Lo
portava sulle spalle a fare lunghe corse nelle risaie, e tutte le
mattine i biandronici potevano vedere Piva il vecchio, con un berretto
di lana rossa e calzamaglia militare, che scandiva ohp, ohp, balzando
agilmente tra le nebbie, con Amedeo che gli pendeva addormentato dalla
schiena. Finché un bel giorno nonno Piva portò Amedeo sul campo di
calcio e disse al parroco: «Ho un ragazzo che fa per te». E Amedeo fu
messo a fare il segnalinee. La domenica, al suo debutto, si addormentò
subito appoggiandosi alla bandierina. Fu svegliato da una pallonata
che lo prese in faccia: il piccolo Piva sparò una bestemmia e calciò
via adirato la sfera. Essa decollò come un missile, passò il tetto
della chiesa, l'abitato di Biandrate, il casello dell'autostrada, e
scomparve verso Milano. Tutti rimasero stupefatti: il parroco si
avvicinò ad Amedeo e gli disse: «Ma tu diventerai un campione!» «Ma
sì, ma sì» disse Piva, e si riaddormentò.
Il piccolo Amedeo divenne ben presto l'idolo del paese. Lo misero
subito centravanti nella squadretta dell'Oratorio, la Agnus Dei Qui
Tollis Peccata Mundi Biandrate, che partecipava al campionato di terza
categoria. Al primo incontro Piva segnò nove gol e mandò all'ospedale
tutti e sei i difensori avversari. Se ne stava immobile a tre quarti
campo, con tutte le dita nel naso: non appena la palla capitava nei
suoi paraggi, alzava la gambetta destra, e tutto il pubblico urlava a
gran voce: «Piva, l'oliva!». Allora si sentiva un rumore di sparo e il
pallone partiva, lasciando dietro una scia di fumo. Esso radeva al
suolo tutto quanto trovava sul suo cammino: scotennava terzini,
sconchicchiava caviglie, storceva gambe, scuoiava polpacci e puntava
verso la porta. Se era ben diretta, non c'era nulla da fare: era gol.
Il portiere, se cercava di sfiorarla, veniva tosto avvolto dalle
fiamme per l'attrito spaventoso. La palla sfondava la rete e puntava
verso Milano nel primo tempo e, col cambio di campo, verso Varese
nella ripresa.
Ben presto fu chiaro che Amedeo meritava ben più della squadretta
locale. Oltretutto, il parroco non aveva più i soldi per ricomprare i
palloni, e tutte le mattine doveva andare in treno a Milano per
cercare di recuperarne qualcuno. Un giorno arrivò a Biandrate Eliseo
Tavarez, uno spagnolo che allenava la Pro Vercelli. Disse che aveva
saputo che lì c'era un giovane calciatore di straordinaria potenza, e
che voleva fargli un provino. Piva fu trovato sul solito rigagnolo,
mentre pascolava le ranocchie, che seguiva su una canoa acquistata con
i primi premi-partita. Tavarez lo portò sul campo, si mise in porta e
gli disse di battere un rigore. Piva si fece il segno della croce e
recitò tre pater, tre ave e tre gloria (era molto religioso e faceva
sempre così quando calciava dal dischetto), poi mosse il piede destro.
Tavarez, spazientito, gli disse se si decideva o no a tirare. Piva
disse che lo aveva già fatto, e infatti proprio in quel momento la
sagrestia crollò, schiantata dalla pallonata, rivelando un giacimento
di scheletri di monaci del '600. Fantastico, disse Tavarez, non l'ho
neanche vista, e il pallone, rimbalzando indietro, gli staccò la
testa. Il presidente del Vercelli, quando lo seppe, si chiuse in
cucina col babbo e la mamma di Piva, e col parroco. Amedeo passò alla
Pro Vercelli per tre milioni, il terzino Colavolpe e la comproprietà
di una mucca.
Piva, quando seppe che lui, semplice ragazzo di campagna, sarebbe
dovuto andare in una grande città, scoppiò in un sonno dirotto. Ma
ormai la sua carriera era segnata: con una valigia piena di ranocchie,
dalle quali non aveva voluto staccarsi, salì sulla Mercedes del
presidente e lasciò Biandrate tra la commozione generale.
Quell'anno, nella Pro Vercelli, Piva affinò molto le sue doti
tecniche. Imparò anche a prendere la palla con le mani, e simulare i
falli, a fregare i metri sulle rimesse laterali e a tirarsi su e giù i
calzettoni. Divenne ben presto il beniamino locale, segnando
sessantotto gol in trenta partite. Qui egli perfezionò il suo famoso
colpo di testa. Dato che aveva i piedi molto pesanti, circa sessanta
chili, non riusciva infatti a staccarsi dal suolo. Per questo imparò a
colpire la palla di testa strisciando come un serpente tra le gambe
dei terzini avversari. A fine anno, tutte le grandi squadre
cominciarono a fargli la corte. La spuntò il Milan, che in cambio
diede al Vercelli: Polatti, Revere, Bigi, Artoni, Quaglia, Zanotti,
Marzocchi, Raperini, Olivo, Mascarone, Truci, Binotto, Sampaoli,
Grazzut, Vanvitelli, Ortovero, Maiani, Luppi, Guardapaglia, Semeghini,
Noto, Fraccioni, De Benedetti, Sansa e ottanta milioni.
Era il leggendario Milan 1953. In porta c'era Bonera la pantera, alto
un metro e sessanta, ma con le braccia di due metri e mezzo, tanto che
in porta stava appoggiato per terra sui gomiti. Era molto peloso e,
come portafortuna, portava appeso al collo un casco di banane, di cui
era ghiottissimo. Terzino destro era Bozzoni, detto Tenaglia, perché
non mollava mai l'avversario. Al fischio d'inizio, infatti, si calava
anche lui di soppiatto dentro le braghe dell'ala avversaria e i due
continuavano a camminare insieme a quattro gambe per tutta la partita.
Terzino sinistro c'era Barbaglio, detto l'Assassino. Ruppe
trecentoquaranta gambe e fu espulso trecentoquindici volte, l'ultima
anche dall'Italia, e scomunicato. Stopper era Guadio l'Armadio, famoso
per la sua elevazione di testa, al termine della quale ricadeva sempre
sul centravanti avversario schiacciandolo. Centromediano era Kroner,
il tedesco di ghisa, detto il Baluastro. Perno della difesa, era lui
che organizzava tutto, comprese le cene fredde. Era insuperabile:
scavava fossi, minava l'area, metteva tagliole. Una volta riuscì a
fermare Lonzi, centravanti del Bologna, lanciato a tutta velocità in
piena area, facendolo arrestare dalla Polstrada. Mediano sinistro era
Ghiandi, detto Ossigeno. Il polmone della squadra. Sempre in
movimento, dal principio alla fine. Di notte dormiva in un cilindro
rotante, sempre correndo, e mangiava inseguendo anguille vive attorno
alla tavola. In partita, non si fermava mai: correva sempre insieme
alla palla, restando a venti centimetri, senza mai toccarla, e se un
avversario si avvicinava, la soffiava via coi potentissimi polmoni.
Ala destra era Popolini, la Biscia. Era alto trentasei centimetri, e
sgusciava da tutte le parti. La sua specialità era la finta: faceva
finta di scattare sulla destra guardando a sinistra, poi portava il
corpo a sinistra, guardava a destra, avanzava il piede sinistro verso
destra e si girava all'indietro scattando a sinistra in retromarcia.
Era veramente ubriacante. Infatti beveva come un cammello e soffiava
sul viso dell'avversario zaffate di barolo d'annata, fin quando questo
cadeva a terra cantando canzonacce.
Mezz'ala destra era Mandulli, detto il Cervello. Il suo gioco era
intelligentissimo e ragionato. Giocava sempre tenendosi le mani sulle
tempie in atteggiamento pensoso, e portava sui due piedi un mirino da
marina. Aveva tre lauree: in geologia, per calcolare i rimbalzi sul
terreno, in aerofisica, per calcolare le traiettorie, e in matematica
per calcolare gli ingaggi. Sapeva mandare a quel paese gli arbitri in
sette lingue, e citava Baudelaire sotto la doccia.
Centravanti era Scardovazzi, detto Macigno per la sua resistenza alle
cariche. Era completamente blu per i lividi, senza denti e con i piedi
rifatti in compensato. Per quanto picchiato e sgambettato, non cadeva
mai a terra: avanzava sempre verso la rete avversaria a testa bassa,
forava la rete calpestava i fotografi e saliva su per le gradinate
fendendo la folla come uno spazzaneve. Poi cadeva giù dallo stadio, e
si apriva un varco a testate tra le macchine del parcheggio, fin
quando l'allenatore col megafono urlava «Scardovazzi, virata», e lui
tornava indietro. Nella vita privata, però, era una persona gentile e
cortese: amava la campagna e gli piaceva farsi passar sopra dai
trattori.
Mezz'ala sinistra era Guazza, detto Estro. Il suo gioco era
fantasmagorico e ricco di finezze. Giocava con i pantaloncini di pizzo
veneziano e correva sulle punte. Era un vero giocoliere e dava del tu
alla palla, suscitando le ire dell'allenatore che era un uomo rigido e
formale. Gli piaceva molto abbracciare i compagni dopo ogni gol, e
qualche volta li baciava anche, il che suscitava qualche sospetto. Gli
piaceva anche molto mettersi in barriera, voltando la schiena, quando
gli avversari battevano le punizioni. Molto spesso si innamorava dei
segnalinee e veniva espulso per gesti osceni.
Ala sinistra, naturalmente, era il grande Piva. Allenatore era
Juarezk, polacco-uruguaiano, detto lo Stregone Perverso per la sua
bravura e la sua ferrea disciplina, che andava dallo svegliare i
giocatori con docce fredde al castrare le Squadre Primavera. Era molto
rispettato e temuto: il suo motto era: è il centravanti che traccia il
solco, ma è il portiere che lo difende. Qualsiasi intervista gli fosse
richiesta, egli rispondeva sempre con un'unica frase: "la bala es
tonda" (la palla è rotonda ) a tutte le domande. Questo creò la fama
della sua scarsa loquacità. Era severo, ma molto umano e semplice con
i giocatori, anche se non abolì mai lo jus primae noctis.
Piva, naturalmente, all'inizio, non ebbe vita facile. Guaraldi, la
vecchia ala sinistra, cercò di strangolarlo sotto la doccia, e i
ranocchi diedero l'allarme appena in tempo. Al suo debutto in serie A,
al calcio d'inizio, Piva si mise in ginocchio a cerchio centrocampo, e
pregò per tutto il primo tempo. Negli spogliatoi, Juarezk gli diede
una bella strigliata. Nella ripresa Piva apparve trasformato, e alla
prima palla che gli capitò tra i piedi, esplose il destro: ma mancò la
palla e alzò un isolotto di terra di venti metri, che seppellì
completamente la porta avversaria.
L'incontro finì zero a zero e il lunedì tutti i giornali si
scagliarono contro Juarezk, dicendo che Piva era una bufala che era
stato pagato trenta volte il suo valore, che non aveva scatto, e
puzzava d'aglio. Un giornale di Milano pubblicò una foto dove si
vedeva Piva che ballava il valzer da solo in un night. Insinuò anche
che Piva aveva rapporti sessuali con uno dei suoi ranocchi. Piva dormì
tutta la notte piangendo e sognando di non riuscire a chiudere occhio.
La mattina decise di appendere le scarpette al chiodo: ma dato che
aveva due scarpette numero 54, il chiodo cedette con tutto un pezzo di
muro, e Piva desistette. Il vecchio parroco gli telefonò per fargli
coraggio, e i ranocchi gli regalarono una sciarpa
La domenica seguente, Piva entrò in campo emozionatissimo. Il pallone
uscì di lato, e Juarezk gli urlò: «Piva, rimetti in campo». Allora
Piva si portò sul centro e vomitò un caricatore di fagioli, roastbeef
e pasta sfoglia, tanto che il gioco fu interrotto dieci minuti per
poter pulire. Il pubblico urlava: «Fuori Piva» e «Piva Piva oca
giuliva». Allora il grande Piva disse: «Vi faccio vedere io!», prese
il pallone dal portiere, fece due passi e da novanta metri centrò
l'angolino a fil di rete in alto a destra sotto la traversa nel sette
tra palo e portiere. Si udì un boato. Era gol! Piva ne fece altri tre,
uno su cross, uno su suggerimento e uno su mischia, mancandone per un
soffio uno su lancio illuminante e uno su tocco smarcante. I compagni,
subito, lo elessero Re della squadra, e tutti cominciarono a dargli
inviti per andare in gol, e Guazza un invito per andare a ballare
insieme al Mocambo. «Piva Piva, ecco che arriva» e «Piva Piva, schiva
l'oliva» urlava la folla.
Il lunedì i giornali scrissero: è nata una stella. Dissero che Piva
era un fuoriclasse, che valeva già trenta volte più di quanto era
stata pagato, che era una forza della Natura. Un giornale di Milano
pubblicò una foto dove si vedeva Piva, tra due suore, mentre steccava
la gamba di un cagnolino zoppo. Un giornale milanese pubblicò una foto
dove si vedeva Piva mentre, in una camera d'ospedale, regalava due
cagnolini a una suora con la gamba di gesso in trazione. Tutti e due
portavano il titolo: Piva cuore d'oro. Un settimanale smentì la
notizia che Piva andasse a letto con i suoi ranocchi: pubblicò anzi in
esclusiva col titolo "Il dramma d'amore di Piva" una storia secondo
cui Piva era innamorato di una principessa brasiliana che, per un
incantesimo di un mago cattivo, era stata trasformata in ranocchio.
Sarebbe ritornata donna solo quando fosse stata baciata da un
calciatore con almeno duecento gol in serie A. «Per questo» diceva
testualmente il giornale, «Piva gioca con tanto ardore: ogni rete
segnata lo avvicina sempre più alla sua bella Dolores». E Piva disputò
un grande campionato, segnando centosei gol, di cui trenta in un solo
incontro. La sua popolarità divenne leggendaria: il mensile dei suoi
fans, "Viva Piva", tirava 800000 copie, e le magliette con la sua
effigie invasero il mercato, tanto che il Governo decise di
sostituirle al grembiulino delle elementari. Le donne cominciarono ad
assediare la sua casa, e si fecero tatuare «I love you Piva» sulle
pentole di cucina. I sociologi, interessati al caso, pubblicarono uno
studio di duemila pagine, "Piva e i mass-media", in cui sostennero la
tesi che l'estrema popolarità del campione era dovuta al fatto che gli
italiani, da piccoli, hanno un'alimentazione ricca di farinacei.
"Time" gli dedicò una copertina con la dicitura: "Piva, Italian King"
(Piva, il re d'Italia). In un anno Piva fu intervistato
tremilaseicentotrentacinque volte: di queste interviste, milleseicento
iniziavano con la frase «Di lui, ormai, è stato scritto tutto», e
millequindici con la frase «Chi è l'uomo Piva?».
Tutti, più o meno, erano d'accordo sul fatto che Piva fosse un
introverso, specie quelli che lo intervistarono sotto al letto.
Qualcuno disse che era rimasto semplice, e continuava a mettersi le
mani nel naso e a giocare a ramino col vecchio parroco. Altri dicevano
che era cambiato, che era un vero despota nella squadra, e obbligava
Bozzoni a mettergli lui le dita nel naso. Aveva preso a calci il
vecchio parroco, e giocava a poker in Vaticano con aperture minime da
nove milioni. Qualcuno disse anche che s'era messo a mangiare fritti
di ranocchi.
La verità era che Piva era effettivamente cambiato. Aveva fatto
cacciar fuori di squadra Guazza perché una volta, sotto la doccia,
aveva usato il suo Badedas, e schiaffeggiava continuamente il vecchio
Franzi, il massaggiatore, perché lo toccava. Frequentava strane
compagnie, tra le quali un rospo proprietario di una catena di night,
e aveva comperato trenta Mercedes perché gli piaceva lo stemmino sul
cofano. Ormai nessun allenatore riusciva a sopportarlo, e Juarezk
diceva in segreto alla moglie, a proposito di Piva, che la palla non è
poi rotonda come sembra.
Ma i tifosi lo adoravano. Quell'anno la Juventus, a fine campionato,
tentò di acquistare Piva offrendo Anastasi e una 500 con mangianastri.
Il Milan rifiutò. La Juventus offrì la Fiat trattori, sei miliardi e
metà Cuccureddu. Il Milan barcollò e rifiutò. La Juve offri la Fiat in
blocco, e metà Cuccureddu. Il Milan chiese tempo per decidere. La
notizia si diffuse, e i tifosi impazzirono. Dissero che se fosse stato
venduto Piva, nessuno sarebbe più andato allo stadio. In più di
cinquecento salirono sul Duomo, minacciando di buttarsi giù non appena
fosse stato firmato il contratto. Furono chiamati i pompieri: ma essi
dissero che non avrebbero più effettuato un solo intervento finché non
si fosse avuta la certezza che Piva restava al Milan. E cominciarono a
fumare minacciosamente buttandosi le cicche alle spalle. Si cercò un
prete per dissuadere gli aspiranti suicidi: ma i preti dissero che se
si vendeva Piva, si sarebbe commesso un atto contrario alla morale
cristiana. Qualcuno giunse a dire che il Vangelo parlava piuttosto
chiaro in materia di trasferimento di calciatori, e che in realtà
Giuda era l'allenatore di una squadra ebraica e Barabba un terzino. Si
telefonò al Questore, ma la moglie disse che era uscito e si era
diretto verso il Duomo con un piccone e scarpe chiodate.
A mezzanotte, intanto, già metà della città si era accampata tra le
guglie. L'altra metà si era stesa in piazza, urlando «Buttatevi, e
schiacciate anche noi». Nella sede del Milan i dirigenti discutevano
ormai da dodici ore tra fiumi di caffè e nubi di fumo. Quando giunse
la notizia che Milano era pronta al suicidio collettivo, tutti
rimasero di sasso. Infatti, aprendo la finestra, videro la città
deserta, e sentirono un sinistro scricchiolio provenire dal Duomo.
«Non possiamo farlo!» disse il presidente Barattoni. Ma in quel
momento da Torino giunse la notizia che tutti i torinesi passeggiavano
tenendosi una pistola puntata alla tempia, alcuni un fucile, i
militari, a gruppi di diciotto, un cannone. Non appena si fosse avuta
notizia che Piva restava al Milan, avrebbero sparato tutti insieme.
L'Italia era ammutolita. La televisione, collegata in diretta con le
due città, trasmetteva in continuazione interviste. Juarezk,
intervistato, disse che la palla era indubbiamente grave e rotonda.
Mazzarone disse che, a meno di un salvataggio in corner in zona
Cesarini, se si prendeva un po' di tempo con la melina, facendo
marcare i tifosi dall'esercito, e mettendo all'ala destra della piazza
i carri armati per lanciare in area i bersaglieri, ci sarebbe stato un
massacro collettivo nella ripresa. Alle due di notte le guglie del
Duomo ondeggiavano per il peso e crepitavano come wafer. Nella nebbia
salivano cori malinconici. A Torino tutte le finestre erano aperte, e
a ogni finestra si sentivano oliare caricatori e scattare sicure.
Il resto lo sapete. Piva fu nazionalizzato nel gruppo Iri. Si evitò la
strage. Ora Piva gioca solo con la maglia azzurra. Il ministero Piva è
uno dei più calmi e fecondi della storia italiana. I partiti
collaborano: Milan e Juventus sono soddisfatte. Juarezk ha avuto le
Partecipazioni Statali e Cuccureddu la Difesa. Le prime riforme, come
quella del biennio obbligatorio di calcio al Classico, hanno
incontrato una certa opposizione da parte dei difensori della squadra
rossa, ma gli scudocrociati hanno controllato a dovere la sfuriata
avversaria.
Ovunque e sempre: Viva Piva.
nessuno ha avuto voglia di leggerlo tutto!!..![]()
letto tutto d'un fiato
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io lo ricordo sul libro "bar sport"..
il racconto con la "luisona" era uno dei più esilaranti![]()
Villar Perosa, B.ta Casavecchia (TO) 630 m
Villanova C.se (TO) 376 m slm
ho il libro a casa da almeno 3 anni ma non l'ho ancora aperto..... un giorno lo faro'
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TRAP: "No say the cat is in the sac!"
Wizard: "sei disposto a trasferti in Provincia di Valle Seriana?" (5 maggio 2012)
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Ciao Ale!
20/12/2009... La giornata Perfetta! Min. -10.2° - Max. -5.1°
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