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    Vento forte L'avatar di Gdr
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    Predefinito E' questo Bar Sport ? Siii, solo per voi...

    ... un favoloso estratto di Bar Sport di Stefano Benni. Riguarda tutti voi, leggetelo bene !


    Viva Piva.

    Un giorno, nell'agosto del '50, il famoso Mazzarone, l'allenatore
    dell'Inter dei venticinque scudetti, si fermò per caso a fare benzina
    a Biandrate Oliveto, paesino del Varesotto. Mentre il benzinaio gli
    riempiva di polenta il serbatoio della Maserati, Mazzarone vide, in un
    campetto vicino alla strada, un ragazzino. Era magro e macilento, con
    pantaloni enormi tenuti su con due ciappetti, dai quali spuntavano due
    gambette rachitiche. Il ragazzino palleggiava con una palla di
    stracci, e ogni tanto sparava delle bordate spaventose contro il muro
    della chiesa, tanto che il prete uscì due o tre volte imbestialito
    perché gli ribaltava l'altare. Mazzarone osservò alcuni minuti il
    ragazzino. Poi si avvicinò e gli disse: «Di' un po', ragazzino,
    verresti a Milano con me?» Allora il ragazzino alzò i grandi occhi
    stupiti dal pallone, guardò Mazzarone e disse: «Fila via, pederasta»,
    e con una pallonata tremenda stese l'allenatore dei venticinque
    scudetti in mezzo alla strada.
    Quel ragazzino era Amedeo Piva, e dieci anni dopo sarebbe diventato il
    grande Piva, l'ala della nazionale azzurra, il calciatore più forte
    d'Europa. Per questo Mazzarone ama ancora oggi ricordare
    quell'episodio.
    Amedeo Piva era il sesto di sessantadue fratelli, tutti poverissimi:
    il padre tagliava la frutta per le macedonie in un ristorante e la
    madre allevava ranocchi nella vasca da bagno, per poi venderli ai
    bordi della strada. Fin da piccolo Amedeo cominciò a lavorare: portava
    a pascolare i ranocchi in un rigagnolo parallelo alla strada
    nazionale, mentre i suoi sessantun fratelli pulivano la vasca. Durante
    le sue pascolate, passava vicino al campo sportivo di Biandrate e
    spesso il parroco lo chiamava per tener su la traversa. Ben presto si
    vide che Amedeo era nato per il calcio: mentre i suoi sessantun
    fratelli passavano tutto il loro tempo a rubare televisioni e a
    giocare coi ranocchi, lui si chiudeva in camera da letto e dormiva,
    sognando di giocare con una palla di stracci contro il muro della
    chiesa.
    Ma forse il talento di Piva sarebbe rimasto sprecato, se due persone
    non l'avessero aiutato a sbocciare: il professore di ginnastica del
    paese, e il parroco.
    Il professore di ginnastica era il nonno di Amedeo, Orazio Piva, una
    bella tempra di sportivo: malgrado l'età (novantadue anni), si alzava
    ancora tutte le mattine alle quattro e andava di corsa da Biandrate a
    Poviglio (sessanta chilometri) attraverso i campi, a prendere il
    mangiare per i ranocchi. Era ancora, infatti, così veloce, che durante
    il tragitto gli si spiaccicava sulla faccia un'enorme quantità di
    moscerini della Bassa. Quando Orazio Piva, alle sei e mezzo, tornava a
    casa, si buttava nella vasca d'acqua gelida e si lasciava ripulire dai
    ranocchi. Orazio Piva inculcò ad Amedeo il culto dell'aria pura. Lo
    portava sulle spalle a fare lunghe corse nelle risaie, e tutte le
    mattine i biandronici potevano vedere Piva il vecchio, con un berretto
    di lana rossa e calzamaglia militare, che scandiva ohp, ohp, balzando
    agilmente tra le nebbie, con Amedeo che gli pendeva addormentato dalla
    schiena. Finché un bel giorno nonno Piva portò Amedeo sul campo di
    calcio e disse al parroco: «Ho un ragazzo che fa per te». E Amedeo fu
    messo a fare il segnalinee. La domenica, al suo debutto, si addormentò
    subito appoggiandosi alla bandierina. Fu svegliato da una pallonata
    che lo prese in faccia: il piccolo Piva sparò una bestemmia e calciò
    via adirato la sfera. Essa decollò come un missile, passò il tetto
    della chiesa, l'abitato di Biandrate, il casello dell'autostrada, e
    scomparve verso Milano. Tutti rimasero stupefatti: il parroco si
    avvicinò ad Amedeo e gli disse: «Ma tu diventerai un campione!» «Ma
    sì, ma sì» disse Piva, e si riaddormentò.
    Il piccolo Amedeo divenne ben presto l'idolo del paese. Lo misero
    subito centravanti nella squadretta dell'Oratorio, la Agnus Dei Qui
    Tollis Peccata Mundi Biandrate, che partecipava al campionato di terza
    categoria. Al primo incontro Piva segnò nove gol e mandò all'ospedale
    tutti e sei i difensori avversari. Se ne stava immobile a tre quarti
    campo, con tutte le dita nel naso: non appena la palla capitava nei
    suoi paraggi, alzava la gambetta destra, e tutto il pubblico urlava a
    gran voce: «Piva, l'oliva!». Allora si sentiva un rumore di sparo e il
    pallone partiva, lasciando dietro una scia di fumo. Esso radeva al
    suolo tutto quanto trovava sul suo cammino: scotennava terzini,
    sconchicchiava caviglie, storceva gambe, scuoiava polpacci e puntava
    verso la porta. Se era ben diretta, non c'era nulla da fare: era gol.
    Il portiere, se cercava di sfiorarla, veniva tosto avvolto dalle
    fiamme per l'attrito spaventoso. La palla sfondava la rete e puntava
    verso Milano nel primo tempo e, col cambio di campo, verso Varese
    nella ripresa.
    Ben presto fu chiaro che Amedeo meritava ben più della squadretta
    locale. Oltretutto, il parroco non aveva più i soldi per ricomprare i
    palloni, e tutte le mattine doveva andare in treno a Milano per
    cercare di recuperarne qualcuno. Un giorno arrivò a Biandrate Eliseo
    Tavarez, uno spagnolo che allenava la Pro Vercelli. Disse che aveva
    saputo che lì c'era un giovane calciatore di straordinaria potenza, e
    che voleva fargli un provino. Piva fu trovato sul solito rigagnolo,
    mentre pascolava le ranocchie, che seguiva su una canoa acquistata con
    i primi premi-partita. Tavarez lo portò sul campo, si mise in porta e
    gli disse di battere un rigore. Piva si fece il segno della croce e
    recitò tre pater, tre ave e tre gloria (era molto religioso e faceva
    sempre così quando calciava dal dischetto), poi mosse il piede destro.
    Tavarez, spazientito, gli disse se si decideva o no a tirare. Piva
    disse che lo aveva già fatto, e infatti proprio in quel momento la
    sagrestia crollò, schiantata dalla pallonata, rivelando un giacimento
    di scheletri di monaci del '600. Fantastico, disse Tavarez, non l'ho
    neanche vista, e il pallone, rimbalzando indietro, gli staccò la
    testa. Il presidente del Vercelli, quando lo seppe, si chiuse in
    cucina col babbo e la mamma di Piva, e col parroco. Amedeo passò alla
    Pro Vercelli per tre milioni, il terzino Colavolpe e la comproprietà
    di una mucca.
    Piva, quando seppe che lui, semplice ragazzo di campagna, sarebbe
    dovuto andare in una grande città, scoppiò in un sonno dirotto. Ma
    ormai la sua carriera era segnata: con una valigia piena di ranocchie,
    dalle quali non aveva voluto staccarsi, salì sulla Mercedes del
    presidente e lasciò Biandrate tra la commozione generale.
    Quell'anno, nella Pro Vercelli, Piva affinò molto le sue doti
    tecniche. Imparò anche a prendere la palla con le mani, e simulare i
    falli, a fregare i metri sulle rimesse laterali e a tirarsi su e giù i
    calzettoni. Divenne ben presto il beniamino locale, segnando
    sessantotto gol in trenta partite. Qui egli perfezionò il suo famoso
    colpo di testa. Dato che aveva i piedi molto pesanti, circa sessanta
    chili, non riusciva infatti a staccarsi dal suolo. Per questo imparò a
    colpire la palla di testa strisciando come un serpente tra le gambe
    dei terzini avversari. A fine anno, tutte le grandi squadre
    cominciarono a fargli la corte. La spuntò il Milan, che in cambio
    diede al Vercelli: Polatti, Revere, Bigi, Artoni, Quaglia, Zanotti,
    Marzocchi, Raperini, Olivo, Mascarone, Truci, Binotto, Sampaoli,
    Grazzut, Vanvitelli, Ortovero, Maiani, Luppi, Guardapaglia, Semeghini,
    Noto, Fraccioni, De Benedetti, Sansa e ottanta milioni.

    Era il leggendario Milan 1953. In porta c'era Bonera la pantera, alto
    un metro e sessanta, ma con le braccia di due metri e mezzo, tanto che
    in porta stava appoggiato per terra sui gomiti. Era molto peloso e,
    come portafortuna, portava appeso al collo un casco di banane, di cui
    era ghiottissimo. Terzino destro era Bozzoni, detto Tenaglia, perché
    non mollava mai l'avversario. Al fischio d'inizio, infatti, si calava
    anche lui di soppiatto dentro le braghe dell'ala avversaria e i due
    continuavano a camminare insieme a quattro gambe per tutta la partita.
    Terzino sinistro c'era Barbaglio, detto l'Assassino. Ruppe
    trecentoquaranta gambe e fu espulso trecentoquindici volte, l'ultima
    anche dall'Italia, e scomunicato. Stopper era Guadio l'Armadio, famoso
    per la sua elevazione di testa, al termine della quale ricadeva sempre
    sul centravanti avversario schiacciandolo. Centromediano era Kroner,
    il tedesco di ghisa, detto il Baluastro. Perno della difesa, era lui
    che organizzava tutto, comprese le cene fredde. Era insuperabile:
    scavava fossi, minava l'area, metteva tagliole. Una volta riuscì a
    fermare Lonzi, centravanti del Bologna, lanciato a tutta velocità in
    piena area, facendolo arrestare dalla Polstrada. Mediano sinistro era
    Ghiandi, detto Ossigeno. Il polmone della squadra. Sempre in
    movimento, dal principio alla fine. Di notte dormiva in un cilindro
    rotante, sempre correndo, e mangiava inseguendo anguille vive attorno
    alla tavola. In partita, non si fermava mai: correva sempre insieme
    alla palla, restando a venti centimetri, senza mai toccarla, e se un
    avversario si avvicinava, la soffiava via coi potentissimi polmoni.
    Ala destra era Popolini, la Biscia. Era alto trentasei centimetri, e
    sgusciava da tutte le parti. La sua specialità era la finta: faceva
    finta di scattare sulla destra guardando a sinistra, poi portava il
    corpo a sinistra, guardava a destra, avanzava il piede sinistro verso
    destra e si girava all'indietro scattando a sinistra in retromarcia.
    Era veramente ubriacante. Infatti beveva come un cammello e soffiava
    sul viso dell'avversario zaffate di barolo d'annata, fin quando questo
    cadeva a terra cantando canzonacce.
    Mezz'ala destra era Mandulli, detto il Cervello. Il suo gioco era
    intelligentissimo e ragionato. Giocava sempre tenendosi le mani sulle
    tempie in atteggiamento pensoso, e portava sui due piedi un mirino da
    marina. Aveva tre lauree: in geologia, per calcolare i rimbalzi sul
    terreno, in aerofisica, per calcolare le traiettorie, e in matematica
    per calcolare gli ingaggi. Sapeva mandare a quel paese gli arbitri in
    sette lingue, e citava Baudelaire sotto la doccia.
    Centravanti era Scardovazzi, detto Macigno per la sua resistenza alle
    cariche. Era completamente blu per i lividi, senza denti e con i piedi
    rifatti in compensato. Per quanto picchiato e sgambettato, non cadeva
    mai a terra: avanzava sempre verso la rete avversaria a testa bassa,
    forava la rete calpestava i fotografi e saliva su per le gradinate
    fendendo la folla come uno spazzaneve. Poi cadeva giù dallo stadio, e
    si apriva un varco a testate tra le macchine del parcheggio, fin
    quando l'allenatore col megafono urlava «Scardovazzi, virata», e lui
    tornava indietro. Nella vita privata, però, era una persona gentile e
    cortese: amava la campagna e gli piaceva farsi passar sopra dai
    trattori.
    Mezz'ala sinistra era Guazza, detto Estro. Il suo gioco era
    fantasmagorico e ricco di finezze. Giocava con i pantaloncini di pizzo
    veneziano e correva sulle punte. Era un vero giocoliere e dava del tu
    alla palla, suscitando le ire dell'allenatore che era un uomo rigido e
    formale. Gli piaceva molto abbracciare i compagni dopo ogni gol, e
    qualche volta li baciava anche, il che suscitava qualche sospetto. Gli
    piaceva anche molto mettersi in barriera, voltando la schiena, quando
    gli avversari battevano le punizioni. Molto spesso si innamorava dei
    segnalinee e veniva espulso per gesti osceni.
    Ala sinistra, naturalmente, era il grande Piva. Allenatore era
    Juarezk, polacco-uruguaiano, detto lo Stregone Perverso per la sua
    bravura e la sua ferrea disciplina, che andava dallo svegliare i
    giocatori con docce fredde al castrare le Squadre Primavera. Era molto
    rispettato e temuto: il suo motto era: è il centravanti che traccia il
    solco, ma è il portiere che lo difende. Qualsiasi intervista gli fosse
    richiesta, egli rispondeva sempre con un'unica frase: "la bala es
    tonda" (la palla è rotonda ) a tutte le domande. Questo creò la fama
    della sua scarsa loquacità. Era severo, ma molto umano e semplice con
    i giocatori, anche se non abolì mai lo jus primae noctis.
    Piva, naturalmente, all'inizio, non ebbe vita facile. Guaraldi, la
    vecchia ala sinistra, cercò di strangolarlo sotto la doccia, e i
    ranocchi diedero l'allarme appena in tempo. Al suo debutto in serie A,
    al calcio d'inizio, Piva si mise in ginocchio a cerchio centrocampo, e
    pregò per tutto il primo tempo. Negli spogliatoi, Juarezk gli diede
    una bella strigliata. Nella ripresa Piva apparve trasformato, e alla
    prima palla che gli capitò tra i piedi, esplose il destro: ma mancò la
    palla e alzò un isolotto di terra di venti metri, che seppellì
    completamente la porta avversaria.
    L'incontro finì zero a zero e il lunedì tutti i giornali si
    scagliarono contro Juarezk, dicendo che Piva era una bufala che era
    stato pagato trenta volte il suo valore, che non aveva scatto, e
    puzzava d'aglio. Un giornale di Milano pubblicò una foto dove si
    vedeva Piva che ballava il valzer da solo in un night. Insinuò anche
    che Piva aveva rapporti sessuali con uno dei suoi ranocchi. Piva dormì
    tutta la notte piangendo e sognando di non riuscire a chiudere occhio.
    La mattina decise di appendere le scarpette al chiodo: ma dato che
    aveva due scarpette numero 54, il chiodo cedette con tutto un pezzo di
    muro, e Piva desistette. Il vecchio parroco gli telefonò per fargli
    coraggio, e i ranocchi gli regalarono una sciarpa
    La domenica seguente, Piva entrò in campo emozionatissimo. Il pallone
    uscì di lato, e Juarezk gli urlò: «Piva, rimetti in campo». Allora
    Piva si portò sul centro e vomitò un caricatore di fagioli, roastbeef
    e pasta sfoglia, tanto che il gioco fu interrotto dieci minuti per
    poter pulire. Il pubblico urlava: «Fuori Piva» e «Piva Piva oca
    giuliva». Allora il grande Piva disse: «Vi faccio vedere io!», prese
    il pallone dal portiere, fece due passi e da novanta metri centrò
    l'angolino a fil di rete in alto a destra sotto la traversa nel sette
    tra palo e portiere. Si udì un boato. Era gol! Piva ne fece altri tre,
    uno su cross, uno su suggerimento e uno su mischia, mancandone per un
    soffio uno su lancio illuminante e uno su tocco smarcante. I compagni,
    subito, lo elessero Re della squadra, e tutti cominciarono a dargli
    inviti per andare in gol, e Guazza un invito per andare a ballare
    insieme al Mocambo. «Piva Piva, ecco che arriva» e «Piva Piva, schiva
    l'oliva» urlava la folla.
    Il lunedì i giornali scrissero: è nata una stella. Dissero che Piva
    era un fuoriclasse, che valeva già trenta volte più di quanto era
    stata pagato, che era una forza della Natura. Un giornale di Milano
    pubblicò una foto dove si vedeva Piva, tra due suore, mentre steccava
    la gamba di un cagnolino zoppo. Un giornale milanese pubblicò una foto
    dove si vedeva Piva mentre, in una camera d'ospedale, regalava due
    cagnolini a una suora con la gamba di gesso in trazione. Tutti e due
    portavano il titolo: Piva cuore d'oro. Un settimanale smentì la
    notizia che Piva andasse a letto con i suoi ranocchi: pubblicò anzi in
    esclusiva col titolo "Il dramma d'amore di Piva" una storia secondo
    cui Piva era innamorato di una principessa brasiliana che, per un
    incantesimo di un mago cattivo, era stata trasformata in ranocchio.
    Sarebbe ritornata donna solo quando fosse stata baciata da un
    calciatore con almeno duecento gol in serie A. «Per questo» diceva
    testualmente il giornale, «Piva gioca con tanto ardore: ogni rete
    segnata lo avvicina sempre più alla sua bella Dolores». E Piva disputò
    un grande campionato, segnando centosei gol, di cui trenta in un solo
    incontro. La sua popolarità divenne leggendaria: il mensile dei suoi
    fans, "Viva Piva", tirava 800000 copie, e le magliette con la sua
    effigie invasero il mercato, tanto che il Governo decise di
    sostituirle al grembiulino delle elementari. Le donne cominciarono ad
    assediare la sua casa, e si fecero tatuare «I love you Piva» sulle
    pentole di cucina. I sociologi, interessati al caso, pubblicarono uno
    studio di duemila pagine, "Piva e i mass-media", in cui sostennero la
    tesi che l'estrema popolarità del campione era dovuta al fatto che gli
    italiani, da piccoli, hanno un'alimentazione ricca di farinacei.
    "Time" gli dedicò una copertina con la dicitura: "Piva, Italian King"
    (Piva, il re d'Italia). In un anno Piva fu intervistato
    tremilaseicentotrentacinque volte: di queste interviste, milleseicento
    iniziavano con la frase «Di lui, ormai, è stato scritto tutto», e
    millequindici con la frase «Chi è l'uomo Piva?».
    Tutti, più o meno, erano d'accordo sul fatto che Piva fosse un
    introverso, specie quelli che lo intervistarono sotto al letto.
    Qualcuno disse che era rimasto semplice, e continuava a mettersi le
    mani nel naso e a giocare a ramino col vecchio parroco. Altri dicevano
    che era cambiato, che era un vero despota nella squadra, e obbligava
    Bozzoni a mettergli lui le dita nel naso. Aveva preso a calci il
    vecchio parroco, e giocava a poker in Vaticano con aperture minime da
    nove milioni. Qualcuno disse anche che s'era messo a mangiare fritti
    di ranocchi.
    La verità era che Piva era effettivamente cambiato. Aveva fatto
    cacciar fuori di squadra Guazza perché una volta, sotto la doccia,
    aveva usato il suo Badedas, e schiaffeggiava continuamente il vecchio
    Franzi, il massaggiatore, perché lo toccava. Frequentava strane
    compagnie, tra le quali un rospo proprietario di una catena di night,
    e aveva comperato trenta Mercedes perché gli piaceva lo stemmino sul
    cofano. Ormai nessun allenatore riusciva a sopportarlo, e Juarezk
    diceva in segreto alla moglie, a proposito di Piva, che la palla non è
    poi rotonda come sembra.
    Ma i tifosi lo adoravano. Quell'anno la Juventus, a fine campionato,
    tentò di acquistare Piva offrendo Anastasi e una 500 con mangianastri.
    Il Milan rifiutò. La Juventus offrì la Fiat trattori, sei miliardi e
    metà Cuccureddu. Il Milan barcollò e rifiutò. La Juve offri la Fiat in
    blocco, e metà Cuccureddu. Il Milan chiese tempo per decidere. La
    notizia si diffuse, e i tifosi impazzirono. Dissero che se fosse stato
    venduto Piva, nessuno sarebbe più andato allo stadio. In più di
    cinquecento salirono sul Duomo, minacciando di buttarsi giù non appena
    fosse stato firmato il contratto. Furono chiamati i pompieri: ma essi
    dissero che non avrebbero più effettuato un solo intervento finché non
    si fosse avuta la certezza che Piva restava al Milan. E cominciarono a
    fumare minacciosamente buttandosi le cicche alle spalle. Si cercò un
    prete per dissuadere gli aspiranti suicidi: ma i preti dissero che se
    si vendeva Piva, si sarebbe commesso un atto contrario alla morale
    cristiana. Qualcuno giunse a dire che il Vangelo parlava piuttosto
    chiaro in materia di trasferimento di calciatori, e che in realtà
    Giuda era l'allenatore di una squadra ebraica e Barabba un terzino. Si
    telefonò al Questore, ma la moglie disse che era uscito e si era
    diretto verso il Duomo con un piccone e scarpe chiodate.
    A mezzanotte, intanto, già metà della città si era accampata tra le
    guglie. L'altra metà si era stesa in piazza, urlando «Buttatevi, e
    schiacciate anche noi». Nella sede del Milan i dirigenti discutevano
    ormai da dodici ore tra fiumi di caffè e nubi di fumo. Quando giunse
    la notizia che Milano era pronta al suicidio collettivo, tutti
    rimasero di sasso. Infatti, aprendo la finestra, videro la città
    deserta, e sentirono un sinistro scricchiolio provenire dal Duomo.
    «Non possiamo farlo!» disse il presidente Barattoni. Ma in quel
    momento da Torino giunse la notizia che tutti i torinesi passeggiavano
    tenendosi una pistola puntata alla tempia, alcuni un fucile, i
    militari, a gruppi di diciotto, un cannone. Non appena si fosse avuta
    notizia che Piva restava al Milan, avrebbero sparato tutti insieme.
    L'Italia era ammutolita. La televisione, collegata in diretta con le
    due città, trasmetteva in continuazione interviste. Juarezk,
    intervistato, disse che la palla era indubbiamente grave e rotonda.
    Mazzarone disse che, a meno di un salvataggio in corner in zona
    Cesarini, se si prendeva un po' di tempo con la melina, facendo
    marcare i tifosi dall'esercito, e mettendo all'ala destra della piazza
    i carri armati per lanciare in area i bersaglieri, ci sarebbe stato un
    massacro collettivo nella ripresa. Alle due di notte le guglie del
    Duomo ondeggiavano per il peso e crepitavano come wafer. Nella nebbia
    salivano cori malinconici. A Torino tutte le finestre erano aperte, e
    a ogni finestra si sentivano oliare caricatori e scattare sicure.
    Il resto lo sapete. Piva fu nazionalizzato nel gruppo Iri. Si evitò la
    strage. Ora Piva gioca solo con la maglia azzurra. Il ministero Piva è
    uno dei più calmi e fecondi della storia italiana. I partiti
    collaborano: Milan e Juventus sono soddisfatte. Juarezk ha avuto le
    Partecipazioni Statali e Cuccureddu la Difesa. Le prime riforme, come
    quella del biennio obbligatorio di calcio al Classico, hanno
    incontrato una certa opposizione da parte dei difensori della squadra
    rossa, ma gli scudocrociati hanno controllato a dovere la sfuriata
    avversaria.
    Ovunque e sempre: Viva Piva.

  2. #2
    mattecapu
    Ospite

    Predefinito Re: E' questo Bar Sport ? Siii, solo per voi...

    nessuno ha avuto voglia di leggerlo tutto!!..

  3. #3
    Burrasca L'avatar di Valeloco
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    Predefinito Re: E' questo Bar Sport ? Siii, solo per voi...

    Citazione Originariamente Scritto da mattecapu Visualizza Messaggio
    nessuno ha avuto voglia di leggerlo tutto!!..
    Sono arrivato a metà, il resto domani!
    Visitate il portale meteo della Valle d'Itria
    www.meteovalleditria.it

  4. #4
    mattecapu
    Ospite

    Predefinito Re: E' questo Bar Sport ? Siii, solo per voi...

    Citazione Originariamente Scritto da Valeloco Visualizza Messaggio
    Sono arrivato a metà, il resto domani!

  5. #5
    Burrasca forte L'avatar di leonex
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    Predefinito Re: E' questo Bar Sport ? Siii, solo per voi...

    Manco se mi pagassi lo leggerei tutto..

  6. #6
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    Predefinito Re: E' questo Bar Sport ? Siii, solo per voi...

    letto tutto d'un fiato




































































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  7. #7
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    Predefinito Re: E' questo Bar Sport ? Siii, solo per voi...

    io lo ricordo sul libro "bar sport"..

    il racconto con la "luisona" era uno dei più esilaranti
    Villar Perosa, B.ta Casavecchia (TO) 630 m
    Villanova C.se (TO) 376 m slm



  8. #8
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    Predefinito Re: E' questo Bar Sport ? Siii, solo per voi...

    Citazione Originariamente Scritto da roby4061 Visualizza Messaggio
    io lo ricordo sul libro "bar sport"..

    il racconto con la "luisona" era uno dei più esilaranti
    e i due ciclisti???

  9. #9
    Tesoriere MeteoNetwork L'avatar di fabry72
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    Predefinito Re: E' questo Bar Sport ? Siii, solo per voi...

    ho il libro a casa da almeno 3 anni ma non l'ho ancora aperto..... un giorno lo faro'
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  10. #10
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    Predefinito Re: E' questo Bar Sport ? Siii, solo per voi...

    Citazione Originariamente Scritto da fabry72 Visualizza Messaggio
    ho il libro a casa da almeno 3 anni ma non l'ho ancora aperto..... un giorno lo faro'
    sbrigati!
    Bar sport originale eh! non bar sport 2000

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