
Originariamente Scritto da
federer
Ecco:
“Orto di donna” è l’orto di una donna vissuta circa cinquecento anni prima della nascita di Cristo, e
questa è una storia che parla della fragilità ma anche dell’amore.
La storia di una tribù di Apua, la mia gente. Una tribù che viene dalle foci dell’Arno e che, intorno al Cinquecento a.C.,
combatte una battaglia con gli Etruschi e, una volta tanto, la tribù Apua perde e viene sconfitta. In particolare,
viene ferito il figlio del capo di questa tribù e il padre cerca di portarlo in salvo. Mi piace molto questa immagine di un padre che prende sulle spalle il figliolo ferito e cerca di portarlo in salvo. Mi piace perché è esattamente l’opposto dell’immagine che noi abbiamo della fondazione di Roma in cui Enea portava sulle spalle il padre.
E come può provare a fuggire e a salvarlo? Sale sulla montagna e cammina mentre suo figlio, piano piano, si sta spegnendo. Arriva a un passo, lo valica e si trova davanti questo declivio dove c’è un
villaggio di pastori.
Chiede ospitalità e la riceve.
Il figlio morente viene accolto dalla figlia del capo della tribù, una ragazza bellissima. Come tutte le donne dell’antichità sa come medicare. È quella che raccoglie le piante, che parla agli animali, alla vegetazione e ai minerali. Prende il principe ferito con sé e lo porta nella sua capanna e,
per tutto un inverno, cerca di guarirlo.
Purtroppo non basta un inverno per salvare il ragazzo. Allora la ragazza fa due cose:
si dispera e si innamora di lui. A me sfugge come possa succedere che una ragazza bellissima si innamori di un ragazzo morente. Forse è accaduto perché la ragazza pensava che nel proprio amore ci fosse la medicina estrema. La principessa si innamora perdutamente e passa giorno e notte a curare il ragazzo.
A primavera, il figlio del capo della tribù Apua muore, nonostante l’amore e le cure della ragazza. Il grande amore non ha salvato il giovane guerriero e la ragazza si dispera della perdità e dell’inutilità del proprio amore.
Piange per tutta la primavera, per tutta l’estate e per tutto l’invero e, con il freddo,
il suo pianto si gela e diventata un’altissima montagna trasparente.
Questa montagna è appunto il Pisanino, 1890 metri sul livello del mare, sul livello del dolore e dell’amore. E cosa fa la ragazza? Niente.
Fanno qualche cosa gli dei che, nella loro misericordia, sanno intervenire sempre a cose fatte, raramente riescono ad arrivare in tempo. È come se fossero lì per risolvere, a loro modo, qualche cosa che per conto nostro è già accaduta. Gli dei
compiono un miracolo e, scatenando un terremoto spaventoso che lascia in piedi solo la montagna di pianto,
creano delle nuove montagne che sorgono proprio davanti al Pisanino.
Una di queste ha l’inconfondibile profilo di un volto umano. Grazie a questo “dono” degli dei la ragazza può salire sulla vetta della montagna, sopra le sue lacrime, e da lì, guardando a levante nei giorni di aria tersa, può vedere e quasi toccare il volto del suo amato.
Solo questo hanno saputo fare gli dei: uno spettacolo che non consola e che non salva.
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