Consentitemi di riproporre in versione forum questo mio lungo servizio dedicato all'alluvione del 3-4 novembre 1966, che molti di voi avranno già letto sul Magazine della nostra associazione e, ancora prima, nella versione ospitata sul Meteogiornale. E' un lavoro lungo e noioso, ma si può anche leggere scegliendo un capitolo che più interessa, oppure limitandosi a guardare le immagini. Purtroppo, per limiti di spazio negli allegati, ho dovuto fare una cernita. Ci sarebbe anche un collegato di Alberto Gobbi dedicato all'alluvione del Brenta. Lo aggiungerò nei prossimi giorni.
Buona lettura.
1966, l'anno del diluvio
di Francesco Albonetti
Pioggia senza fine (I capitolo)
La pioggia continuava. Era una pioggia perenne, una pioggia dura e fumante, una pioggia ch'era sudore; un prorompere, un irrompere, un precipitare d'acqua, una sferza sugli occhi, una trazione subdola alle caviglie sommerse; una pioggia da inondare ogni altra pioggia, insieme col ricordo di tutte le altre piogge. Pioveva a tonnellate una pioggia tambureggiante, che decapitava la giungla, tagliava gli alberi come una enorme cesoia, tosava i prati e scavava gallerie nella terra e dissolveva i cespugli. Rattrappiva le mani degli uomini in mani grinzose di scimmie; pioveva una pioggia vitrea, una pioggia che non aveva mai fine.
Dal racconto "Pioggia senza fine" di Ray Bradbury
45_1_1.jpg
Firenze 4 novembre 1966: l'acqua dell'Arno dilaga in piazza Cavalleggeri: presto la spalletta del fiume sparirà alla vista
Ebbe un'ora precisa l'inizio dell'agonia di Firenze. Il più sconvolgente cataclisma della sua storia iniziò alle 7,26 del 4 novembre 1966: a quell'ora si fermarono gli orologi elettronici, come in un forte terremoto. L'ultimo ponte, quello di San Niccolò, veniva invaso dalle acque dell'Arno che straripavano dalle spallette. Il fiume toscano, con una portata di 4500 metri cubi al secondo, si era improvvisamente trasformato in un Po in piena, seminando insieme ai suoi affluenti morte e distruzione in tutto il Valdarno dalle porte di Arezzo fino a Pisa.
45_1_2.jpg
Il centro di Grosseto allagato dall'acqua dell'Ombrone
Passavano meno di venti minuti e a Grosseto, alle 7.45, l'Ombrone rompeva l'argine destro contemporaneamente in tre punti. L'acqua irrompeva limacciosa e minacciosa in città: dal Berrettino, per via de' Barberi, puntava direttamente su piazza De Maria, poi, attraverso Porta Vecchia, entrava nel cuore del capoluogo maremmano.
45_1_3.jpg
La campagna maremmana alle porte di Grosseto
Nel frattempo si consumava il dramma di Venezia. Sospinta dallo scirocco e da condizioni astronomiche moderatamente favorevoli, la marea iniziò a salire dalle 22 del 3 novembre: alle 18 del giorno successivo, quando secondo le previsioni avrebbe dovuto calare toccando il minimo giornaliero, segnò invece la sua punta massima di tutti i tempi: 1 metro e 94 centimetri! Negozi, ristoranti e primi piani di tutte le isole della laguna furono sventrati dall'acqua del mare che, con i murazzi superati e travolti da onde alte fino a 4 metri, si abbatteva direttamente sulle case.
In serata da gran parte dell'Italia centro-settentrionale giungevano notizie di lutti e disastri. Maree di acqua e fango inondavano altri capoluoghi o le campagne circostanti a Udine, Brescia e Padova, sconvolta quest'ultima dalle piene del Brenta e del Bacchiglione. E alle 23 toccò a Trento, dove l'Adige, i cui affluenti di sinistra avevano già provocato in giornata morte e distruzione in alcune vallate alpine, entrò in città rompendo l'argine nei pressi di Roncafort. Se Trento ha vissuto la più grande alluvione della sua storia, ancora peggiore si presentava la situazione in Valsugana e nella zona di Primiero dove, oltre alle esondazioni del Brenta e di altri torrenti, vi furono decine di frane e interruzioni. Nel basso Veneto fu uno stillicidio, con progressive inondazioni che si susseguirono con l'aumento della portata delle acque dei fiumi anche nei giorni successivi.
45_1_4.jpg
Venezia: onde alte fino a 4 metri travolgono i murazzi e si abbattono sulla laguna (www.comune.venezia.it)
] bilancio di quelle terribili giornate, rimaste ben impresse nella memoria collettiva, fu di 1119 comuni e 34 province alluvionati, 118 le vittime. Incalcolabili, e in molti casi irreparabili, i danni al patrimonio edilizio e alle vie di comunicazione, alle attività industriali e commerciali, all'agricoltura. Il patrimonio artistico pagò un durissimo prezzo: nella sola Firenze furono danneggiate 1400 opere d'arte fra tavole, tele, cicli di affreschi, sculture in legno e codici miniati; la Biblioteca Nazionale, la più importante d'Italia, perse 1 milione e 300mila pezzi; quasi distrutta la sezione etrusca del Museo archeologico, gravi perdite anche al Museo della scienza, dove per miracolo furono portati in salvo i cannocchiali di Galileo e altri preziosissimi strumenti. Danni ingentissimi in tutte le chiese del centro, gallerie, musei, biblioteche e nelle università (alluvionate 9 facoltà su 10). I ciclopici restauri delle opere e dei libri danneggiati ma non distrutti, sono tuttora in corso a distanza di 37 anni. I morti a Firenze furono 39, ma potevano essere centinaia se il 4 novembre non fosse stato un giorno di festa: fabbriche e negozi erano chiusi e sulle strade, all'alba di un giorno festivo, circolano pochi automobilisti e pochissimi turisti.
45_1_5.jpg
Piazza dei Giudici, la Biblioteca Nazionale e, sullo sfondo, la basilica di S. Croce: i lungarni non esistono più
Ultima modifica di albedo; 31/10/2006 alle 02:22
Pioggia a tappeto su sei regioni (II capitolo)
La grande ampiezza dell'area coinvolta è uno dei fattori
che ha reso unico quell'evento nella storia delle grandi alluvioni
Nel 1966 la maglia di osservatori meteo non era attrezzata come oggi: come rivelava all'epoca il giornalista Franco Nencini, lungo il corso dell'Arno, dalla sorgente fino a Firenze, erano sistemati appena tredici pluviometri, la maggior parte dei quali non automatizzati. Molti strumenti se li portò via la piena Su tutta la Toscana caddero mediamente dai 100 ai 400 millimetri, con una punta di 437,2 mm a Badia Agnano, nell'alta Val di Sieve (Mugello). L'Osservatorio Ximeniano di Firenze registrò il suo massimo storico nelle 24 ore, con 190 mm. Ma i record spettano al nord-est: 485 mm a passo Cereda, in provincia di Trento e ben 711 millimetri in Val Cellina, Friuli. Precipitazioni superiori o prossime ai 100 millimetri - oltre alla Toscana, al Friuli, Veneto e, Trentino - interessarono anche la Lombardia e l'Emilia Romagna, ma in quei giorni si registrano danni anche in altre regioni del centro-sud, per esempio la Campania.
45_2_1.jpg
Mappa riassuntiva delle precipitazioni del 3 e 4 novembre 1966 (Noaa)
Un'area geografica molto ampia venne coinvolta da quella "bomba meteorologica" di inizio novembre e la grande estensione territoriale dei fenomeni, oltre alla loro intensità, è proprio uno dei fattori che ha reso unico quell'evento e così drammatiche le conseguenze. Piovosità paragonabili o addirittura superiori a quelle del 1966 sono state raggiunte anche in anni recenti: nel novembre 1994 e nell'ottobre 2000 in Piemonte, nel giugno 1996 in Versilia, nel novembre dello scorso anno in Friuli, Lombardia e Liguria, in più di un'occasione a Genova, poi quest'anno nella Sicilia orientale.
45_2_2.jpg
Firenze: la massa di acqua e fango che tracima dalla spalletta del lungarno
Ma l'evento del novembre '66 fece esondare tutti insieme, e in un'unica soluzione, alcuni dei più importanti fiumi italiani, come l'Adige, il Tagliamento, il Brenta e l'Arno. Ne furono coinvolti i centri storici di città ricche di storia e celebri nel mondo, come Firenze, Venezia e Trento: una coincidenza che trova pochi riferimenti negli ultimi secoli, forse paragonabile soltanto alle piene del Danubio e dell'Elba dell'estate 2002.
45_2_3.jpg
La campagna allagata nei pressi di Scandicci (Firenze): in primo piano il corso dell'Arno
Effetti disastrosi anche per i terreni già saturi e inzuppati e per la labilità idrogeologica del territorio, messo a dura prova dalle piogge incessanti di ottobre e da un'estate, quella del 1966, più piovosa del normale. Basti pensare che alcune valli del nord-est erano già state interessate da un'alluvione nel mese di agosto. Il brusco innalzamento della temperatura provocato dallo scirocco sull'arco alpino orientale, fece il resto, sciogliendo e immettendo nei torrenti la neve caduta nei giorni precedenti.
45_2_4.jpg
Firenze: l'Arno visto da via De' Bardi
Il maltempo che investì a tappeto un territorio così vasto, si presentò con le caratteristiche di una tempesta extratropicale. Oltre alla pioggia battente e incessante, caduta per quasi 48 ore, ci furono furiosi fortunali lungo le coste: lo scirocco sull'Adriatico, il libeccio sul Tirreno e le mareggiate che ostacolarono il deflusso dell'acqua dei fiumi. Testimonianze dell'epoca parlano anche di una serie di forti temporali, soprattutto fra il tardo pomeriggio del 3 novembre e le prime ore del 4 novembre, periodo in cui si ebbero paurosi "rain rate". Nella serata del 3 novembre vicino a San Donnino, alle porte di Firenze, mentre la popolazione si dava da fare per rinforzare gli argini di fossi e torrenti, ci fu anche qualcosa di simile a una tromba d'aria.
45_2_5.jpg
Firenze: panorama verso nord dal piazzale Michelangelo
Un'evoluzione rocambolesca e improvvisa (III capitolo)
Un copione visto altre volte, ma con differenze decisive
La geografia barico-sinottica di quell'evento non fu molto diversa da quella di altre situazioni alluvionali per l'Italia: saccatura molto pronunciata sul Mediterraneo occidentale con appendici nell'Africa sahariana; robusto anticiclone dinamico che fa da blocco sull'Europa orientale; aria fredda di origine artica e polare che alimenta la circolazione e un corridoio di aria molto calda africana che scorre fra le figure di bassa e alta pressione, pescando umidità nel Mediterraneo. Poco apprezzabile risultò il fattore temperatura del mare "troppo alta" che, invece, ha avuto probabilmente più importanza nei tanti episodi micro-alluvionali che si sono verificati quasi ogni anno nella tarda estate e all'inizio dell'autunno.
45_3_1.jpg
La mappa del 13 ottobre 2000, i giorni dell'alluvione nel nord-ovest (Wetterzentrale)
Se prendiamo come metro di paragone le alluvioni che hanno sconvolto le regioni del nord-ovest il 4-5 novembre del 1994 e il 13 ottobre del 2000, ci accorgiamo che il contesto è simile, ma non uguale. Non è un caso se nel 1966 quelle regioni furono poco toccate dalle intense precipitazioni , che si fermarono alla Lombardia orientale. Queste le differenze che saltano maggiormente all'occhio dando un'occhiata alle mappe dell'epoca: nel 1966 vi fu un
coinvolgimento diretto dell'Italia nella saccatura del fronte polare e il contrasto termico fu maggiore; il valore di geopotenziale fu decisamente più basso e l'evoluzione molto più rapida, rendendo imprevedibile l'evento agli esperti dell'epoca. Quando il sistema frontale responsabile dell'alluvione partì in quarta dal Mediterraneo, il minimo andò a scavarsi proprio sul mar Ligure e alto Tirreno, amplificando l'effetto orografico del richiamo caldo-umido sulla Toscana e sul nord-est. Nel 1994 e nel 2000, invece, pur in presenza di un flusso sciroccale molto intenso, il cuore depressionario non fece progressi verso est e l'alluvione sul nord-ovest fu agevolata dall'estrema lentezza del fronte e da un irrisolto stau orografico da sud-est, che insistette per più giorni sull'arco alpino occidentale.
45_3_2.jpg
La mappa del 4 novembre 1966: pur con qualche analogia, la differenza con quella precedente è evidente (Wetterzentrale)
Da non trascurare il notevole riscaldamento termico che si verificò il 3 novembre '66, quando l'aria fredda affluita nei giorni precedenti venne rapidamente sostituita, soprattutto in quota, dalle forti correnti di scirocco e libeccio.
Il 2 novembre del 1966 si verificò un crollo del geopotenziale a 500 hPa su tutta l'Europa centro-occidentale e meridionale, con l'isoipsa dei 552 m che giunse fino a Napoli e Barcellona. L'Atlantico e la Russia erano controllati da robusti anticicloni dinamici. L'avvento di aria artica marittima provocò un crollo delle temperature, con l'isoterma - 5° a 850 hPa sulla Germania e lo zero termico a comprendere tutta la pianura Padana. A Firenze quel giorno la temperatura massima si attestò poco sopra i 10°.
45_3_3.jpg
2 novembre 1966: temperatura a 850 hPa. Il freddo conquista l'Europa (Wetterzentrale)
Il 3 novembre l'aria fredda in quota penetrò fino all'estremo sud della penisola iberica: si scavò una depressione al suolo molto strozzata, con testa sul golfo di Biscaglia e coda in pieno Sahara, nell'entroterra algerino.
Come da manuale, l'Italia si trovò nella parte orientale della depressione e fu investita dalla risposta calda, con aria pescata direttamente dal deserto: le temperature risalirono bruscamente (17° a Firenze). Iniziò a piovere con insistenza.
45_3_4.jpg
Sintesi della pressione al suolo del 3 e 4 novembre (Noaa)
La notte del 4 novembre la depressione con associato sistema frontale si spostò rapidamente verso levante, approfondendosi e collocando il suo minimo sottovento alle Alpi, tra la Liguria e la Corsica. Solo in quel momento il sistema venne frenato nella sua evoluzione verso est da una poderosa rimonta dell'anticiclone dinamico afro-continentale, che innalzò le temperature su tutta l'Europa balcanica, la Turchia e l'Ucraina (+ 10° agli 850 hPa all'altezza della Romania). Le fitte isobare meridiane che si notano nella mappa Noaa evidenziano la presenza dei forti venti meridionali che andarono a sbattere per molte ore contro le Alpi orientali e l'Appennino settentrionale. E fu il disastro.
45_3_5.jpg
4 novembre 1966: la temperatura in quota aumenta decisamente, ma non per l'avvento di un promontorio africano (Wetterzentrale)
Firenze: il film dell'alluvione (IV capitolo)
Tragedie, disperazione, rabbia, ma anche vicende curiose di umanità e solidarietà: dalle cronache di quei giorni, raccolte in alcune pubblicazioni o raccontate da chi ha vissuto da vicino l'alluvione, emergono storie che a volte superano la stessa fantasia del regista di un film drammatico.
La vendetta dell'Arno iniziò in piena notte, nelle campagne del Valdarno tra Arezzo e Firenze. Ecco come il giornalista Franco Nencini racconta l'inizio del dramma, mentre la maggior parte dei fiorentini dormivano tranquillamente alla vigilia di un ponte festivo, ignari e non informati di quel che sarebbe potuto accadere.
"Nel Valdarno, alle dighe di Levane e La Penna, si tenevano febbrili consultazioni mentre dalle paratie usciva una mostruosa massa d'acqua di 2100 metri cubi al secondo. Alle 2,30 Figline Valdarno e la strada che la collega ad Incisa erano coperte da due metri d'acqua. Completamente isolata, coi pochi soccorsi che erano riusciti ad arrivare, la popolazione del paese, sindaco e giunta in testa, avevano iniziato un massacrante lavoro con mezzi di fortuna riuscendo a portare in salvo tutte le persone; e già una parte del paese era sommersa. Nei casolari sparsi per la campagna i contadini si erano rifugiati sui tetti e urlavano, di fronte a un mare d'acqua, senza che nessuno potesse udirli."
45_4_1.jpg
In questa immagine scattata da un tetto del quartiere di San Niccolò si nota in primo piano il ponte alle Grazie ormai quasi coperto dall'Arno.
La grande piena avanza e poco a monte di Firenze si consumò la prima tragedia...
"Si chiamava Carlo Maggiorelli, aveva 52 anni e viveva a Pozzolatico, un paese sulle colline a sud di Firenze. Aveva il turno di notte, ed era arrivato la sera alle venti in corriera, con la sua gavetta di caffè, un po' di pane e dieci sigarette. Sotto il diluvio. Ci rispose lui, la notte alle tre, quando telefonammo per conoscere la situazione dell'acquedotto e di tutta la zona attorno a via Villamagna. La sua voce era affannosa. « E' un disastro, si affoga tutti... Alle una abbiamo cominciato a staccare i motori ». Lo esortammo a fuggire, ma ci rispose che non poteva abbandonare la sorveglianza degli impianti. Morì così, al suo posto di lavoro. Lo trovarono due giorni dopo, in un cunicolo pieno di fango. Il primo morto, il primo eroe del diluvio di Firenze".
45_4_2.jpg
In piazza S. Croce l'acqua inizia a decrescere: poco prima ha raggiunto i 6 metri di altezza
La città dormiva e in pochi, sotto una pioggia battente, si affacciavano alle spallette per controllare l'Arno. Ma nelle campagne, nell'hinterland fiorentino, era già tragedia. L'alluvione a Firenze non è stata solo Arno. Dietro le Cascine, il torrente Mugnone rompeva l'argine e si abbatteva sull'ippodromo. Duecentosettanta cavalli da corsa rischiavano di affogare. Arrivavano i camion, i garzoni di stalla, gli allenatori, i proprietari. Furono messi in salvo i purosangue più preziosi, ma poi l'acqua travolse tutto. Una settantina di animali di sangue meno nobile morirono di una morte orrenda, gli occhi sbarrati dal terrore: li bruciarono coi lanciafiamme giorni dopo.
45_4_3.jpg
Piazza S. Croce: l'acqua è calata facendo affiorare fango e devastazione
Un'altra storia tragica raccontata dal Nencini.
"Mentre l'acqua dell'Arno e di molti affluenti della zona invadeva l'Osmannoro, una famiglia di tre persone cercava di mettersi in salvo aggrappata ad una tavola. Il padre teneva stretta a sé con un braccio la bimba di tre anni, Marina, mentre con l'altro braccio si teneva avvinghiato alla tavola sballottata dalla corrente. La pioggia aveva una forza tremenda, non si vedeva niente. La tavola andava a picchiare contro alberi e filari. Una prima volta l'uomo scivolò con la testa sotto l'onda. Ingoiò fango e acqua sporca di nafta. Fu preso dalle vertigini e dalla nausea, e svenne insieme alla moglie che era anche lei caduta in acqua. La bimba fu portata via da un'ondata senza che nessuno la vedesse. Da un terrapieno vicino una ragazza riuscì a ripescare marito e moglie e a salvarli. Il corpo di Marina fu ritrovato nella melma, diciotto giorni dopo. Il babbo e la mamma, quel giorno di sole che si scoprirono i resti della bimba, erano ancora in ospedale: l'uomo con la broncopolmonite, la donna al limite della follia".
45_4_4.jpg
I fiorentini osservano l'Arno impazzito dal piazzale Michelangelo
Nelle zone basse della città l'acqua già trasportava via alberi ed automobili. Firenze dormiva mentre il dramma più spaventoso della sua storia era ormai inarrestabile. Le prime falle si aprivano sul lungarno Acciaioli, mentre sul lungarno alle Grazie la spalletta era superata da una immane massa d'acqua. Luce, acqua, gas mancavano quasi ovunque.
"Firenze moriva e il mondo non lo sapeva - scrive Nencini - Firenze moriva e il novanta per cento dei fiorentini ancora non lo sapeva. L'alba oscura di tempesta si levava su una deserta città di bandiere e d'acqua fangosa, di mille drammi già esplosi...Un mare di acqua fangosa franava su una città tagliata in due, isolata dal mondo, irraggiungíbile dal cielo, dalla terra, dalla capitale dei ministeri e dell'esercito. Saltate le linee elettriche, allagate migliaia di case. Le prime vittime ormai giacevano sotto il fango. Ammalati, vecchi, invalidi. Decine e decine di abitanti in povere case della città bassa urlavano dai tetti la loro inutile speranza di aiuto".
45_4_5.jpg
L'acqua con le serpentine di nafta offende il Duomo e il Battistero
La denuncia, la rabbia, le battute in agrodolce dei fiorentini: la protezione civile ancora non esisteva, sarebbe nata solo 14 anni dopo, col terremoto in Irpinia. L'intervento statale per l'emergenza era affidato all'esercito, ma occorreva il nulla osta del prefetto. Ecco le inquietante parole che il giornalista scrisse appena un mese dopo il disastro: "In questura si attendeva di momento in momento che il prefetto desse l'ordine di mobilitare l'esercito, Ma lo stato di emergenza non fu mai dichiarato, i pieni poteri militari non furono mai dati. Firenze era una enorme trappola di morte da cui non si usciva più".
Ultima modifica di albedo; 01/11/2006 alle 22:08
Soccorsi difficili, il mondo dell'arte in subbuglio
e intanto la notizia comincia a fare il giro del mondo
I vigili del fuoco si fecero in quattro, come sempre, ma senza allarmi preventivi, dovettero prima far fronte agli alluvionati del Valdarno, poi una parte precipitarsi in tutta fretta verso Firenze, coi pochi mezzi anfibi. Anche i Carabinieri si misero in moto subito, ma l'acqua bloccò ben presto i motori dei loro fuoristrada, rendendo vani i soccorsi.
All'ospedale San Giovanni di Dio saltò anche il gruppo elettrogeno. La melma e la nafta sommersero tutte le scorte di viveri: centinaia di malati, alcuni appena operati, vennero accuditi per più di 24 ore con venti bottiglie di acqua minerale.
45_5_1.jpg
Dal Ponte Vecchio si scorgono a malapena le botteghe degli orafi
Un altro drammatico e commovente brano della cronaca di Franco Nencini: "Dai lungarni, ridotti ormai anch'essi a un impressionante fiume, l'acqua scendeva verso via Tripoli, via delle Casine, via Ghibellina e via dell'Agnolo. Anche tutta la zona di via dei Bardi stava per essere sommersa. Il Ponte Vecchio, benché invaso dall'acqua, resisteva ancora alla violenza incredibile della piena. Il fiume aveva rotto gli argini, travolto spallette, alberi, fatto saltare il selciato stradale, franavano centinaia e centinaia di metri di lungarno: all'altezza della Rari Nantes, sul lungarno Ferrucci, sul lungarno Serristori, sul lungarno delle Grazie. Centinaia di auto erano in balia della corrente. Come proiettili da una tonnellata venivano sparati dalla piena contro muri, porte, cartelli segnaletici.
La situazione nella zona di Gavinana era disperata. Il fiume aveva già colto le sue prime vittime, i più anziani, i più indifesi. Quattro, in quel quartiere. Armido Peruzzi, 71 anni, affogato, forse ancora nel sonno, nella melma di uno scantinato in via di Rusciano. Pietro e Giuseppina Cocchi, 74 e 52 anni. Non vollero abbandonare fino all'ultimo la loro vecchia casa. Ermenegildo Livi, 81 anni. Non ebbe, non poteva avere la forza di lottare contro la sua ora. E cedette al fiume".
45_5_2.jpg
L'acqua decresce lasciando emergere i tetti delle auto sommerse
Il mondo dell'arte era in subbuglio: dal soprintendente ai direttori dei musei, tutto il personale, i sacerdoti e i frati in chiese e conventi si precipitarono nel fango per mettere in salvo il salvabile, opere d'incommensurabile valore, patrimonio dell'umanità, agli Uffizi come alla Biblioteca Nazionale.
Maria Luisa Bonelli, direttrice del Museo della Scienza, era sola quando all'alba, svegliandosi, si accorse che c'era già mezzo metro d'acqua. Si vestì in fretta e furia, e freneticamente, cominciò a trasportare ai piani superiori tutti i preziosi strumenti sistemati nelle sale del pianterreno: il fonografo di Edison, i pezzi della farmacia del granduca Pietro Leopoldo, i settecenteschi prodigi della scienza. Ma la furia dell'Arno era implacabile. L'acqua cresceva, minacciava di invadere anche il primo piano. «Allora mi feci coraggio - raccontò la donna -. Uscii su una finestra del secondo piano e attraverso il cornicione raggiunsi una finestra dell'Archivio di Stato e sfondai i vetri. L'acqua cresceva di continuo, e allora cominciai a trasportare qualche pezzo di eccezionale valore storico, come i cannocchiali del Galilei».
45_5_3.jpg
Il Corridoio Vasariano sul lungarno Archibusieri completamente sommerso
Alle 11 del mattino Radio Londra lanciava un allarme disperato: « Il mondo sta per perdere una delle sue gemme: Firenze ». La televisione di New York trasmetteva di ora in ora bollettini sulla sorte della città. La gente arrampicata sui tetti attendeva invano gli elicotteri (un'anziana morì precipitando mentre tentava di salire sull'elicottero). In un silenzio irreale, col rumore dell'acqua che correva nelle strade-torrenti a una velocità di 60 km all'ora, si udivano grida di aiuto, cani che ululavano e le violente esplosioni dei depositi di cherosene, benzina e carburo. In via Scipione Africano, per una fuga di gas, saltò in aria un'intera abitazione e un uomo vi perse la vita.
Gli evasi e gli "angeli del fango" (V capitolo)
Una storia poco conosciuta dai contorni romanzeschi,
un'altra rimasta nella memoria di tutti gli italiani
"Dal carcere di Santa Teresa - racconta Franco Nencini - sentimmo dei colpi d'arma da fuoco. La rivolta, la rivolta! urlava la gente dai tetti. Il terrore che già da alcune ore aleggiava tra le mura della prigione, dove l'acqua aveva raggiunto quasi i quattro metri di altezza, era esploso fra gli oltre 200 detenuti trasportati all'ultimo piano. Sopraffatte le guardie di custodia, una ottantina di carcerati avevano raggiunto i tetti dei due penitenziari e si erano tuffati nelle acque vorticose di fango e di nafta.
I più audaci e sicuri si salvarono. Uno dei più giovani esitò qualche attimo sul tetto. La gente, dalle case, lo incoraggiava. "Arriva un tronco - gli dissero - buttati!". Una donna gli urlò: "Ma dove vai?". E lui ironico, per darsi coraggio: "Vado a Montecatini, a fare la cura delle acque... ". Poi si tuffò verso il tronco d'albero che arrivava nella piena. Lo mancò di mezzo metro. Lo videro annaspare, sparire sotto la viscida nafta. Si chiamava Luciano Sonnellini. La piena a cui chiedeva la libertà portò il cadavere lontano più di un chilometro dal carcere. Lo ritrovarono giorni dopo in una cantina di via dei Pepi...."
45_6_1.jpg
Il ponte Vespucci e il lungarno Acciaioli il 5 novembre
"Degli evasi, ciascuno seguiva il suo destino. Un gruppo dei più pericolosi svaligiava due armerie e un negozio di canotti e riusciva a far perdere le proprie tracce. Un altro gruppo si arrendeva, tornava in carcere e addirittura collaborava generosamente all'opera di salvataggio. Altri ancora, che erano riusciti ad allontanarsi sui tetti, raggiungevano in via Manzoni l'istituto delle suore domenicane. Battevano sui vetri del lucernario, chiedevano acqua e cibo, promettendo che non avrebbero fatto alcun male alle religiose. Le suore riuscirono a resistere, tergiversando a lungo. Intanto l'acqua calava, gli evasi decisero di provare a scendere. Una trentina di loro preferì tentare ancora di entrare nelle case. Nella stessa via Manzoni, il signor Arnaldo Lumachini distingue sui tetti vicini figure isolate e immobili sotto la pioggia che si avvicinano.
"Apro la finestra della terrazza - racconterà a L'Europeo - e malconci, bagnati come pulcini, intirizziti per il freddo, gli evasi entrano in casa. Ce n'è di tutti i tipi e di tutte le età. Alcuni hanno facce poco raccomandabili, altri cupe e infelici. Ma con nostra grande sorpresa tutti sembrano imbarazzati e intimiditi. Un giovanotto alto, bruno, grondante d'acqua e con una grande sciarpa fradicia al collo, si schiarisce la gola. Non abbiamo cattive intenzioni - dice - vogliamo soltanto raggiungere la strada. Sa, lì al carcere hanno dato il si salvi chi può e noi siamo saliti sui tetti... ".
Un altro dice che vogliono solo raggiungere la strada. Ma ci sono tre metri d'acqua. E così comincia una notte assurda, kafkiana. Scambio di cortesie salottiere, di grazie e di prego, di non si disturbi, di fiammiferi che si accendono, di portacenere che passano da una mano all'altra. Gli evasi offrono sigarette, i padroni di casa qualcosa da mangiare. Tutti gli evasi in fondo cercano solo calore umano. Un rapinatore dice alla sorella del Lumachini: « Signora, appena sarò in grado di fare un buon colpo mi ricorderò di lei e dei suoi figli ».
All'alba, dopo aver rimesso in ordine la casa, gli evasi escono a nuoto".
45_6_2.jpg
Un bambino pulisce davanti alla bottega del padre
Sono loro, i giovani di Firenze, la grande sorpresa del dopo-alluvione. Per loro fu coniata un'espressione che resterà per sempre ad indicare l'abnegazione gratuita e disinteressata, il volontariato dei giovani che resterà immutato in ogni calamità dei decenni successivi: arrivano gli "angeli del fango".
Ecco come li descrisse uno dei fiorentini più celebri, Giorgio La Pira: "Hanno combattuto il fango - questi giovani italiani e stranieri - come forse non avevano mai veramente combattuto i pregiudizi e le ingiustizie sociali. Ma questa volta non era, il loro, un ideale astratto o l'amore-fastidio per una società di consumi che li criticava e li coccolava insieme. Era la lotta contro seicentomila tonnellate di fango crudele, immondo, osceno. E sono entrati dentro fino ai capelli, con amore e pazienza, per salvare dei libri. Per ore ed ore. Come non avevano mai lavorato. Come non avevano mai studiato. Come non avevano mai ballato. Come non avevano mai fatto all'amore. Hanno dormito nelle cuccette di freddi vagoni abbandonati su un binario morto di stazione. Hanno mangiato poco e male. C'è chi di loro ha salvato un Velazquez. Ma c'è soprattutto chi di loro ha contribuito a salvare vite umane, negli ospedali, nei tuguri".
Erano gli anni della contestazione studentesca, dei capelli lunghi, del feroce scontro generazionale: per la prima volta gli "adulti" capirono che questi giovani anni '60 non erano soltanto indomiti ribelli. Ma forse anche quel prodigarsi era una forma di contestazione contro l'indifferenza.
45_6_3.jpg
Studenti di tutto il mondo lavorano al recupero dei volumi della Biblioteca Nazionale
Firenze di alluvioni ne ha subite tante: in media una al secolo di quelle grandi, come fu quella del 1966. Cosa accadrebbe se si verificassero le stesse condizioni climatiche e la stessa piena dell'Arno? Probabilmente, e in Toscana tutti ne sono convinti tutti, un'altra alluvione. Certo, nel mondo di internet e dei telefonini appare difficile pensare che la popolazione non venga avvisata del pericolo con buon anticipo e un prefetto non dia l'allarme. Ma nel frattempo il cemento è aumentato a dismisura e le opere fatte (lo Scolmatore di Pisa, lo sbassamento del greto dell'Arno all'altezza del Ponte Vecchio, qualche cassa di espansione) sono insufficienti a contenere simili piene. E il fiume, quando gonfia, non fa altro che andarsi a ricercare i suoi antichi, naturali percorsi.
45_6_4.jpg
Montagne di fango davanti all'ingresso della Biblioteca Nazionale
NOTE E CREDITI.
Per tutti i capitoli del reportage sull'alluvione del '66: cronache e foto in bianco e nero dell'alluvione a Firenze vedi Franco Nencini "Firenze, i giorni del diluvio" di Franco Nencini - Sansoni 1966.
Per l'alluvione a Grosseto vedi: Pilade Rotella "Grosseto, un'alluvione per la povera gente...", Grosseto, Edizioni Errepi, 1967 e la "Cronaca dell'alluvione del novembre 1966" contenuta nel libro "Maremma", a cura di Antonio Meocci, Firenze, Editoriale Olimpia, 1969
Le notizie sull'alluvione nel Trentino sono state raccolte dal sito della provincia di Trento http://www.sistemazionemontana.provincia.tn.it/, quelle di Venezia (compresa le foto dei murazzi) dal sito del Comune di Venezia http://www.comune.venezia.it/
Vedi anche nella sezione Climatologia del Meteogiornale l'articolo di Marco Rossi sull'alluvione del '66 e le temperature del mare.
Mappe meteo: fonte archivi Noaa e Wetterzentrale
fine![]()
wow che disastri..peccato che non ci siano sat dell'epoca!!
bell'articolo!BRAVO!!!
__________________
.."Ma una parte di me ascoltava il silenzio di quel bosco,di tutti quegl'esseri nascosti,e pensavo..esiste anche questo intorno a noi,cio' che non verra' mai toccato,nè visto da tutti gli uomini comuni..solo da quelli che vivono davvero..
Complimenti e che la storia ci insegni a prevenire anzichè curare.
Tanti complimenti, un reportage eccezionale e sconvolgente.
Complimenti per il lavoro.
Mi domando come tratterebbero i media attuali un evento di questa portata e quale allarme climatico per il futuro dell'umanità si scatenerebbe.
Saluti, Guido![]()
Segnalibri