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Clima e Corrente del Golfo: un rebus che manda in tilt
La notizia sullo stato di salute della Corrente del Golfo, di cui i media hanno parlato di recente, va ad aggiungersi alle tante altre notizie che si sono rincorse, su questo tema, negli ultimi anni e che hanno raggiunto l’apice della loro visione più catastrofica, in tema di cambiamento climatico, nel film “The day after tomorrow”. Sono ancora molti i dubbi che arroventano il cervello dei più autorevoli ricercatori che si occupano di clima e dei suoi cambiamenti, come ad esempio quello che riguarda l’arresto improvviso e inspiegabile di un ramo del “nastro trasportatore” per 10 giorni avvenuto nel 2004. A dire il vero, fisicamente parlando, lascia perplessi il fatto che una quantità d’acqua di dimensioni spropositate si sia di fatto fermata e non sia stata minimamente incentivata al movimento da quell’input inerziale che avrebbe dovuto (anzi… deve) caratterizzarla nel caso di arresto per tempi così brevi. Ed è anche vero che lascia perplessi vedere dati di fatto che vanno… controcorrente e che, invece, dimostrerebbero l’esatto contrario di quello che afferma la ricerca. Con tutto il rispetto per quest’ultima, ovviamente! Se, infatti, c’è chi sostiene che, a seguito di questo temporaneo arresto, la Corrente abbia ripreso a muoversi con velocità ridotta rispetto al passato pompando quindi meno acqua calda verso le alte latitudini, d’altro canto come si possono spiegare allora le anomalie termiche marine registrate attualmente in pieno Atlantico che mostrano valori positivi fino a 1.5 °C? E ancora: perché, se siamo in presenza di un surplus di energia (e quindi di quantità di vapore che può essere immesso in atmosfera), non troviamo un Atlantico a regime ma al suo posto frequenti scambi meridiani delle correnti generate da continue anomalie positive di geopotenziale le quali, invece, potrebbero far pensare a una diminuzione della temperatura delle acque oceaniche (aria più fredda = meno evaporazione = meno perturbazioni = alte pressioni più robuste e tenaci)? Sembrerebbe un vero e proprio rebus, a quanto pare!
Se devo essere sincero, nelle varie analisi che ho condotto nel mio piccolo negli ultimi tre anni e che hanno avuto, come obiettivo, quello di tentare di focalizzare l’attenzione su ciò che io avevo definito “I prodromi del cambiamento climatico in Italia”, non ho mai potuto completare il quadro delle variazioni di tutti quei parametri che concorrono a descrivere il tangibile cambiamento del nostro clima mediterraneo ormai al capolinea e, a più larga scala, del clima dell’Europa centro-occidentale. Ho potuto infatti apprezzare e valutare anomalie bariche, anomalie termiche e pluviometriche che sono andate sempre più in crescendo anche in modo esponenziale nell’ultimo decennio, ma mi sono dovuto invece limitare, alla luce delle conclusioni a cui ero arrivato con l’analisi dei dati raccolti, a congetture circa una probabile variazione del parametro più importante che poi, su larghissima scala, finisce per coordinare tutti gli altri e che modifica, come sappiamo, lo stato di salute del cosiddetto “nastro trasportatore”: il gradiente di salinità presente nell’Oceano Atlantico tra le alte e le basse latitudini. Secondo me, infatti, non potevo andare a cercare altrove la spiegazione ad un cambiamento così drastico della circolazione sul nostro continente se non ipotizzando, appunto, la possibilità di una fluttuazione del gradiente di salinità in grado di innescare processi consistenti proprio a scala continentale.
Se tale ipotesi risultasse corretta, infatti, potrei sicuramente spiegare meglio le anomalie sempre più frequenti che il nostro clima ha sperimentato e sta sperimentando anche di recente. Non c’è che dire: molti “reperti” venuti alla luce negli ultimi anni potrebbero cominciare a trovare ora il posto giusto in questo intricato mosaico che sta componendo il nuovo assetto climatico europeo e italiano: potrebbe, infatti, diventare adesso molto più chiaro spiegare il perché del comportamento, negli ultimi anni, delle dinamiche atmosferiche che si sono susseguite sul Mediterraneo e che, stando sempre alle autorevoli fonti di ricerca, potrebbero paradossalmente, in futuro, convergere verso scenari ben più freddi rispetto a quelli attuali. A dire il vero, dovrei però usare il doppio condizionale per rimarcare la “probabilità di realizzo del nuovo scenario climatico”, visto e considerato che, come ho detto all’inizio, i primi a rimanere alquanto scettici sono proprio quei ricercatori che, analizzando questi dati forse considerati impensabili sull’arresto temporaneo della Corrente, non si capacitano davvero di una così brusca variazione di un parametro in grado di apportare modifiche strutturali dalle immani dimensioni. Tra l’altro, in virtù di questo “illustre perché senza illustre risposta”, capisco benissimo che quando non si trovano più, nei meandri della ragione, le risposte agli interrogativi su eventi che appaiono più grandi di quello che ti saresti aspettato, finisci per comprendere veramente l’entità e la maestosità di quel mondo meteo-climatico che l’uomo ha racchiuso nelle leggi della statistica per stabilire un confronto tra periodi nel tempo. E, a proposito di statistica…
…per come la penso io, l’alta variabilità climatica che stiamo attualmente registrando appare, come detto più volte, l’anticamera di quello che potremmo sperimentare in un futuro più o meno prossimo, allorquando si farà strada una nuova “media climatica” quale nuova configurazione di equilibrio scaturita dalla probabile nuova interazione, a carattere freddo, che potrebbero mettere in atto Oceano e Atmosfera, supponendo sempre che questo accada. Ho già più volte detto che, in tutti i sistemi, la ricerca di un nuovo equilibrio passa attraverso scossoni repentini e drastici che intaccano lo “stato di equilibrio primario” del sistema stesso (basti pensare alle scosse di assestamento dopo un terremoto): passate tali fasi instabili, il nuovo stato di quiete tende a occupare posizioni differenti rispetto a quelle assunte inizialmente. Trasportando questo discorso in ambito climatico, ecco che allora gli eccessi termici che ci stanno ripetutamente portando da un picco all’altro del termometro (l’ennesimo, in questi giorni) non sono altro che i sussulti scaturiti da quel surplus di energia termica derivante da un effetto serra naturale alterato, andato alla deriva e che trova sfogo, adottando il minor tempo possibile, solo nell’avvicendamento di fenomenologie diametralmente opposte che tendono a susseguirsi con ritmi sempre più incalzanti. Infatti, se è vero che la maggior parte del calore disponibile, presente in atmosfera, va a incrementare gli spessori degli strati delle masse d’aria (vedi relazione ipsometrica) e quindi a irrobustire la fascia anticiclonica subtropicale a cui fanno capo l’Anticiclone delle Azzorre e quello Africano, dall’altro lato lo stesso eccesso di calore fornisce energia anche per la formazione di fenomenologie a carattere freddo che appaiono più incisive e frequenti rispetto al passato e che si propongono anche in stagioni con le quali hanno ben poco in comune: un esempio tra i tanti il mese di agosto di quest’anno.
Non c’è dubbio che, stando così le cose e soprattutto essendo ancora presenti molte incertezze sull’effettivo stato di salute del “nastro trasportatore”, appare assai complicato capire se, come e quando la nuova configurazione di equilibrio potrà soppiantare la vecchia di cui, però, si vedono ormai le crepe: questo, purtroppo, è un dato di fatto! Se il “quando” non ci è ancora noto (anche se i ricercatori fanno ipotesi addirittura di una ventina d’anni), il “come” può essere però facilmente individuato e compreso con alcune semplici considerazioni. Supponendo infatti un rallentamento della Corrente, ne consegue che andremo incontro ad un minore afflusso di acqua calda verso le alte latitudini. Appare quindi logico pensare anche ad un sempre più flebile scambio di calore tra l’Oceano e le masse d’aria presenti sul Nord Atlantico. Probabilmente, la fase di raffreddamento (con tutti i se e i ma del caso) che subentrerà a data da destinarsi sarà avvertita solo quando la sua intensità supererà, in modulo, il processo contrario messo in moto invece dall’effetto serra. Fin tanto non sarà superata tale soglia critica (che rappresenta il “livello di allarme”) sarà più che normale continuare a seguire il trend climatico che è stato intrapreso negli ultimi dieci anni e che, a mio giudizio, rappresenta il cosiddetto “livello di attenzione” che ha fatto entrare il nostro sistema climatico in risonanza a partire dalla metà degli Anni 90. Nel momento in cui le ampiezze delle oscillazioni, sempre più ampie, arriveranno ad un valore insopportabile per l’intero sistema (ricordate la costante elastica di cui ho parlato più volte?), questo cambierà stato e allora… ci troveremo di colpo, in rapporto ai tempi standard di un cambiamento climatico, in un’era completamente nuova, caratterizzata dal ritorno di una variabilità climatica più contenuta ma riferita ad una nuova media che potrebbe apparire traslata verso il basso rispetto a quella di riferimento che usiamo oggi.
La grande incertezza che regna sugli sviluppi di un cambiamento climatico che potrebbe portare addirittura a ridistribuire la popolazione sul continente europeo denota certamente come la situazione sembri sfuggire di mano, visto che i tempi con cui tale cambiamento climatico potrebbe attuarsi sembrano accelerare. Dalle analisi climatiche relative alle ere terrestri abbiamo imparato che le variazioni climatiche avvengono su scale temporali molto ampie. A questo punto, vista anche la perplessità di quei ricercatori che hanno dato la notizia del blocco temporaneo della Corrente, sono io a chiedermi, ad esempio, se è proprio vero che esiste, anche per il clima, il cosiddetto “tempo di ritorno” per una sua variazione. Oppure si è sempre pensato a “tempi di ritorno” lunghissimi perché fino a questo momento il processo di mutamento ha rispettato la tempistica andando sempre per il verso giusto? E se esistesse un battito di ali anche per il sistema climatico tale, ad esempio, da accelerare il processo in virtù di un eccesso di energia disponibile? Nessuna legge potrebbe vietare una nuova dinamica, vista l’interdipendenza delle molteplici variabili che concorrono a descrivere tutti i possibili scenari climatici futuri. Tra tutti questi e altri interrogativi che, in primis, la ricerca si pone, l’unica certezza resta il fatto che il nostro clima si sta estremizzando a grandi passi e tale estremizzazione sembra ormai arrivata ad un punto tale da non passare inosservata. Ragion per cui è più che lecito pensare, e questa volta senza alcuna ombra di dubbio, che “qualcosa di grande” si sia rotto o abbia spostato altrove il proprio baricentro: compito dei ricercatori sarà quello di individuare l’ingranaggio che non adempie più al proprio compito, quantificare il danno arrecato, ipotizzare il colpevole (anche se è chiaro che l’imputato numero uno sarà il Global Warming) e valutare infine le conseguenze a cui potremmo andare incontro ma che, in parte, stiamo già subendo. Aspettiamo allora con fiducia che venga fatta chiarezza su una questione davvero molto delicata che potrebbe ridisegnare molti equilibri, non solo climatici.
Per come la penso io, invece, nella figura che segue…
cdg.JPG
…ho tentato di sintetizzare il processo di cambiamento di cui ho parlato sopra, illustrando a grandi linee l’andamento climatico degli ultimi anni, supponendo un rallentamento della funzionalità della Corrente ed estrapolando una possibile linea di tendenza basata su tutte le considerazioni fatte fino a questo momento. L’andamento della curva serve solo a capire il concetto che ho espresso, mentre le anomalie servono solo a inquadrare il problema, ma solo dal punto di vista qualitativo e non quantitativo.
Un saluto a tutti
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