E’ il calore, la vera forza motrice del clima terrestre.
Dalla violenza di una tempesta tropicale, al calore accecante del deserto. Tutto dipende dall’energia termica che il sole ci invia quotidianamente.
Ma il nostro pianeta, si sta scaldando troppo rapidamente. Se continuerà così, il livello dei mari potrebbe alzarsi drasticamente. Basterebbe solo un grado di temperatura media in più, per farlo crescere di un metro. Sarebbe il disastro per molte città costiere. I ricercatori del Godat Space della NASA , hanno già elaborato una previsione del futuro, per i 20 milioni di abitanti di New York. Se nei prossimi 100 anni si verificasse un aumento di un metro del livello del mare che circonda la città, l’isola di Manhattan, il cuore della metropoli, si trasformerebbe in due isole separate, e in quelle condizioni, persino un modesto temporale potrebbe avere conseguenze drammatiche per la città.
Può sembrare un’ipotesi fantascientifica, ma la realtà, e che negli ultimi 150 anni, dopo l’introduzione dei combustibili fossili, la temperatura media del pianeta e cresciuta già di poco più di mezzo grado. Perfino la metropolitana, verrebbe spazzata via dall’incontrollabile ondata di piena.
Ma non sarebbe solo la sorte di New York. Tutte le zone costiere avrebbero a che fare con lo stesso problema, come già succede in Mozambico o in Bangladesh. L’acqua non lascerebbe scampo.
A 150 milioni di km da noi, il sole rilascia ogni secondo una quantità di energia, tale da soddisfare il fabisogno energetico degli Stati Uniti per 9 milioni di anni.

Il calore del nucleo, impiega 1 milione di anni per raggiungere la superficie della nostra stella, ma da lì verso la Terra impiega solo 8 minuti e mezzo. Ogni secondo, produce 386 miliardi di miliardi di watt di energia che si precipitano attraverso lo spazio, verso il nostro pianeta. Quando tutto quel calore e la luce accecante lo raggiungono, si trovano proprio sulla traiettoria delle afose giungle tropicali. Lì all’equatore, la radiazione solare colpisce con maggiore intensità che nel resto del globo, intrappolato sotto la cortina della giungla, l’immenso calore crea uno degli ambienti più estremi. La differenza tra le stagioni non esiste più, e il clima, e sempre caldo ed estremamente umido, e le precipitazioni, possono arrivare a 2 metri all’anno.

Il calore del sole scalda la vegetazione, da cui l’acqua evapora in continuazione.
Il vapore acqueo si condensa in piccole gocce che creano enormi nuvole, le goccioline poi si uniscono e diventano sempre più grandi, e quando sono abbastanza pesanti, la gravità le spinge di nuovo verso il basso, sottoforma di pioggia, una pioggia senza sosta. Il clima all’equatore è intrappolato in un ciclo alimentato dal calore, ideale per la vita vegetale e animale.
Nel giugno del 1995, un’ondata di clima tropicale si spostò dal Golfo del Messico fino a Chicago, dove si registravano piogge intense già da alcuni giorni.

All’arrivo poi dell’alta pressione, dopo ore di sole implacabile, il livello di umidità si trovava stazionario sopra il 90%. La città era diventata un forno, e si contavano già le prime vittime. In 5 giorni si registrarono 525 morti, soprattutto le persone deboli, tutte causate dallo stesso meccanismo.
In primo luogo, la temperatura del corpo aumenta a un livello pericoloso, provocando uno stato di confusione, cosa che ci rende meno propensi a cercare un riparo fresco o il refrigerio di un ventilatore. A poco a poco si scivola così nel coma, mentre tutto l’equilibrio chimico del corpo risulta alterato. Il sangue in particolare, perde la capacità di coagulare, e ci riserva, un destino crudele.
La perenne condizione di umidità che si registra nella giungla, può peggiorare con la notte, durante le 12 ore diurne di sole implacabile, l’aria umida, rilascia grandi quantità di energia, che si traducono, in violentissimi temporali notturni.
All’equatore, la radiazione solare è più diretta che nel resto del pianeta, eppure non è qui, che si incontra il caldo più infernale. Per trovarlo, bisogna spostarsi più a nord.
Dal cuore dei tropici l’aria calda si leva verso l’alto, provocando precipitazioni intense , ma a circa 10 km di altitudine, al limite delle troposfera, non può sollevarsi oltre, e inizia a piegarsi sia verso nord che verso sud. Dopo 2500 km, a circa 30° di latitudine, l’aria inizia di nuovo ad abbassarsi, riscaldandosi durante la discesa. Nel luogo dove cade crea due strisce di terra arida che circondano il globo. E’ lì che si formano i grandi deserti, Sahara compreso.

L’aria che circonda questa zone, è cosi calda che il vapore non può condensarsi in pioggia, e perciò rimane lì sospeso, intrappolato proprio sopra i luoghi che ne avrebbero maggiore bisogno. Nel cielo del Sahara in teoria, c’è iù umidità che in quello d’Europa, e tuttavia resta quasi sempre assolutamente limpido. In effetti, questo deserto, riceve solo 7 cm di pioggia ogni anno, e quello che rimane, alla fine, è solo sabbia. Una duna, è fatta di migliaglia di tonnellate di sabbia. Ma quest’arido deserto nasconde un segreto. Nel 1981, lo shuttle Columbia fotografò il deserto da più di 200 km di altezza, con una camera speciale. Le immagini inviate a terra, lasciarono gli scienziati stupefatti. Invece di una distesa piatta e arida, i raggi infrarossi, svelarono montagne e vallate nascosti a pochi metri di profondità. Guardando attraverso gli strati di sabbia, scoprirono che 35 milioni di anni fa, il Sahara era un’immensa, fertile savana, con fiumi e prati verdeggianti.

Nel tempo, a causa di piccoli ma continui cambiamenti del clima globale, la vita a poco a poco sparì dalla regione.
Il nostro pianeta po’ contare su uno strato protettivo, l’atmosfera, ferma infatti la metà dei raggi solari letali, che vengono assorbiti, e riflessi nuovamente nello spazio dalle nuvole.
Ma quello stesso cielo, contiene anche un energia mortale, quella dei fulmini.

Da 230 km di altezza, le telecamere dello shuttle ne registrano ormai più di 100 al secondo. Gli scienziati ormai, gli hanno studiati così a fondo che sono in grado di riprodurli addirittura in laboratorio.
Lo strato protettivo è leggermente danneggiato e ciò significa anche un clima leggermente più caldo. Insomma, il surriscaldamento globale sta portando ad una tropicalizzazione del clima. Se la tendenza non si arresterà, gli inglesi torneranno a coltivare la vite, mentre da noi potrebbero rimanere solo datteri fichi d’india.
L’Italia, dunque, potrebbe diventare un paese sub-tropicale, con un clima sempre più caldo-secco al Centro-Sud e caldo-umido al Nord, in grado di modificare non solo i fenomeni atmosferici a cui siamo abituati, ma anche flora e fauna del nostro paese.