Ciao, ho già toccato questi temi in altri interventi che ti consiglio di leggere, specie riguardo alle scorie, alla CCS, ai numerosi luoghi papabili ad esempio in Italia per la costruzione di un deposito Nazionale e altre caratteristiche tecniche (in questa discussione e in "Temperature globali").
Le centrali in costruzione non sono poche, e in realtà si tratta di una tecnologia in forte espansione (immagine 3), considerata anche la fondamentale importanza nelle previsioni dell'IPCC.
Per quanto riguarda invece l'aspetto economico, possiamo dire che:
- La componente maggioritaria del costo dell'energia sono gli interessi sui prestiti per la costruzione del reattore;
- Questi ultimi hanno tassi alti per ragioni politiche: il nucleare è impopolare e quindi viene giudicato un investimento a rischio perchè una vittoria elettorale di un partito contrario a questa tecnologia potrebbe causare lo shutdown anticipato di un programma nucleare (come è accaduto d'altronde in Italia);
- Il prezzo dell'energia è anelastico rispetto a quello del combustibile.
Dunque il nucleare sarebbe ovviamente molto più conveniente economicamente se ci fosse convergenza politica sul suo utilizzo, se lo stato decidesse di sussidiare l'utilizzo di questa tecnologia con prestiti a tasso zero e se non ci fosse l'attuale forte opposizione popolare. Ma anche alle condizioni attuali il nucleare è così sconveniente? No.
Un reattore nucleare ha tempi di costruzione lunghi (minimo 5 anni, con l'aggiunta che in Europa spesso le proteste popolari allungano i tempi di costruzione delle grandi opere, e di questo ne avevo già parlato), e richiede investimenti iniziali massicci (almeno 5 miliardi di euro), ma ha un vantaggio rispetto ad una centrale a carbone o a gas: il costo del combustibile è praticamente nullo. Un kg di Uranio può infatti arrivare a costare centinaia di volte di più di un kg di Carbone o di Gas naturale, ma produce una quantità di energia decine di migliaia di volte superiore.
Questo implica che i costi vivi di una centrale nucleare operativa siano nettamente inferiori a quelli di una centrale a combustibili fossili (immagine 1). Dunque il break-even point di una centrale nucleare è molto più distante nel tempo (solitamente tra i 15 e i 20 anni dall'inizio della costruzione), ma una volta recuperato l'investimento iniziale una centrale nucleare è estremamente vantaggiosa - soprattutto se si tengono in dovuto conto i costi passivi delle centrali a combustibili fossili dovuti alle emissioni inquinanti e climalteranti.
In particolare, una volta che le rate del prestito sono state tutte restituite (solitamente dopo 20-30 anni dall'inizio della vita operativa) il basso costo del combustibile spinge la convenienza economica di una centrale nucleare molto in alto, soprattutto se si considera che oggi le licenze di operatività dei reattori partono da una durata minima di 60 anni e alcune licenze inizialmente di 40-50 anni sono state estese fino ad 80.
Dunque il problema è, ancora una volta, prettamente politico: il nucleare prevede investimenti maggiori e tempi di ammortamento più lunghi, ma alla lunga conviene. I combustibili fossili invece restano la scelta migliore sul breve termine, dal momento che hanno costi iniziali molto inferiori e tempi di costruzione più brevi, e dunque un break-even point molto più vicino nel tempo.
E non solo. Più banalmente, dai dati OCSE, si può avere un ulteriore prova del fatto che il nucleare non è economicamente sconveniente come si ritiene di solito (è funzione dei tassi di interesse, immagine 2).
Investimenti mirati ed intelligenti, con visione di lungo termine, potrebbero quindi rendere il nucleare non solo la chiave della decarbonizzazione del settore energetico (aspetto di "poca" importanza che tralasciamo), ma anche una scelta conveniente in chiave economica, che porterebbe ad un abbassamento finale della bolletta elettrica per tutti (es. Francia).
Segnalibri