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  1. #321
    Brezza leggera L'avatar di ventasc
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    Predefinito Re: "It's the economy, stupid!"

    Citazione Originariamente Scritto da Gianni78ba Visualizza Messaggio
    Il debito al collo di un paese che si spopola – Phastidio.net
    Articolo non di facilissima lettura, ma che conferma quello che trovo scritto dovendo aprire ogni giorno il sole24ore (che ha i suoi grossi difetti).

    Il Documento di economia e finanza è una vera miniera di numeri, se solo si ha il tempo e la pazienza di compulsarli e comprenderli. Sul Sole del 18 aprile ci sono due articoli a firma di Gianni Trovati che ci aiutano a prendere consapevolezza del trauma che un ciclo di rialzo dei rendimenti infligge a un paese sovraindebitato e che si sta estinguendo, a livello demografico.A premessa di tutto, un avvertimento metodologico: le stime e le previsioni sono, appunto, stime e previsioni. Basate su modelli econometrici che, al solito, indicano direzione di marcia e velocità dal punto attuale. All’allungarsi del periodo di previsione, l’errore ad essa relativo cresce in modo rilevante. Non è tuttavia un buon motivo per liquidare questi numeri come sterili esercizi scritti sull’acqua. Non foss’altro perché anche i mercati guardano quei numeri e, quando si fanno una sceneggiatura, possono rapidamente scatenare una tempesta.Partiamo dalla spesa per interessi, non prima di aver ribadito che nel DEF c’è un numero pesantissimo, peraltro già presente nella Nota di aggiornamento dello scorso autunno: un avanzo primario al 2% del Pil al 2026. I famosi 45 miliardi di euro sottratti all’economia del paese, e immolati all’assenza di crescita e alla crisi demografica per continuare a mandare il messaggio che l’Italia è solvibile.Primatisti di spesa per interessiTorniamo anche alle previsioni sulla spesa per interessi. Nel 2024 è prevista al 4,1% del Pil, per poi salire al 4,2% e al 4,5% nel 2025 e 2026. Riproduco integralmente questo passaggio del pezzo di Trovati per dare la misura di cosa stiamo parlando:Tradotta in euro, la corsa della spesa [per interessi, ndPh.] suona così: 75,6 miliardi quest’anno, 85,2 il prossimo, 91,6 miliardi e 100,6 nei due anni successivi. Somma enorme, tanto più se confrontata con quelle che per esempio il bilancio dello Stato dedica all’istruzione (52,1 miliardi), alle politiche sociali e alla famiglia (60,7 miliardi), al lavoro (19,4 miliardi), allo sviluppo delle imprese (40,7 miliardi) o all’energia (20,5 miliardi).Questa è la misura del costo opportunità di un elevato stock di debito. Se vogliamo tradurla in costo pro capite, agli italiani noi le cedole dei titoli di Stato costeranno nel 2024 ben 1.398 euro a cranio. In termini pro capite e in rapporto al Pil, l’Italia è sul primo gradino del podio in Europa e in tutti i paesi sviluppati. La media Ue (e dell’Eurozona) della spesa per interessi è a 1,9% del Pil e 715,5 euro pro capite. Con una complessa inferenza, siamo al doppio. Negli Stati Uniti, la spesa per interessi vale 1,35% del Pil.Il punto vero, di lungo termine, è però un altro: come rendere sostenibile uno stock di debito in un paese che sta perdendo popolazione e manifesta un tasso di dipendenza (rapporto tra pensionati e lavoratori) in costante ascesa? La risposta, data su uno scenario inerziale, è che la sostenibilità del nostro debito pubblico sta deteriorandosi, inesorabilmente. Per contrastarla, sempre ragionando su scenari di lungo termine, dovremmo puntare a forti aumenti di produttività, oltre che almeno all’aumento delle coorti di popolazione attiva.Puntare solo al secondo è condizione necessaria ma insufficiente, soprattutto se immaginiamo di importare lavoratori non qualificati mentre stiamo perdendo italiani con istruzione media più elevata degli ingressi. Servirebbe anche da noi una politica immigratoria centrata su aspetti qualitativi (competenze) oltre che quantitativi. Ovviamente, ammesso e non concesso di avere un ecosistema produttivo che richieda competenze. C’è chi lo sta facendo, in Europa.I costosi scostamentiL’altro articolo di Trovati richiama l’attenzione sulla relazione al parlamento sugli effetti finanziari di lungo termine dello scostamento di deficit, tra tendenziale e programmatico. Come sappiamo, nel 2023 il governo ha previsto uno scostamento dello 0,15 del Pil, pari a 3,4 miliardi, e uno di 4,5 miliardi nel 2024. Lo scostamento di quest’anno andrà ad aumentare la decontribuzione per i redditi bassi e medio-bassi. Una decina di miliardi equivalenti su base annua, al lordo dell’Irpef (netti sarebbero circa 7,7 miliardi) con scadenza il prossimo 31 dicembre.Lo scostamento del prossimo anno, invece, è destinato nelle intenzioni del governo ad essere una vera e propria cornucopia o una sorta di lievito di denaro per la pentola in fondo all’arcobaleno. Leggere per credere:[Lo scostamento] sarà destinato al Fondo per la riduzione della pressione fiscale, al finanziamento delle cosiddette politiche invariate a partire dal 2024 e alla continuazione del taglio della pressione fiscale nel 2025-2026, e concorrerà a una significativa revisione della spesa pubblica e a una maggiore intesa tra fisco e contribuente.Vaste programme. Soprattutto per la parte relativa alla “significativa” spending review. Che diverrà esigenza vitale in presenza della lievitazione della spesa per interessi. Per ora, l’esecutivo Meloni ha messo mano al capitolo di “revisione” di spesa a cui puntava in campagna elettorale, e cioè il reddito di cittadinanza. Senza entrare in meriti (e demeriti) di questa iniziativa, il risparmio difficilmente eccederà i due miliardi di euro. Sapendo che l’anno prossimo serviranno, secondo alcune stime, non meno di 20 miliardi per il cuneo contributivo, la cosiddetta riforma delle pensioni e l’avvio di quella fiscale (auguri a tutti), la strada è lunga, impervia e piena di crepacci ricoperti da fogliame.Torniamo alla relazione del MEF alle Camere sul costo degli scostamenti. È costruita come stima della maggiore spesa per interessi, su un arco di nove anni (quindi con margine di errore molto alto) per finanziare lo scostamento. Leggiamo che accade, secondo la relazione, per finanziare gli scostamenti del 2023 e 2024:Dal 2025 al 2033 […], il mantenimento del deficit al 4,5% del Pil nel 2023 e al 3,7% nel 2024 (contro il 4,35% e il 3,5% segnati sui due anni dal tendenziale) produrrà nei nove anni successivi una maggior spesa per interessi da 3,729 miliardi. In pratica, in quest’arco di tempo il mini-ritocco del deficit produce costi pari al 47,2% del suo valore.A euro correnti, il finanziamento a deficit dello scostamento lordo di 7,9 miliardi del 2023 e 2024, sulla base delle previsioni sul costo del debito, costa quasi il 50% di tale scostamento. È finita l’era del tasso zero. Dovrebbe iniziare quella della consapevolezza dei costi opportunità degli scostamenti di bilancio. Per avere un elemento di confronto, si guardi al mega scostamento da Covid del 2020: pari a 411,5 miliardi su arco pluriennale, è costato in spesa per interessi solo 38 miliardi aggiuntivi, un misero 9%.basta bengodismoEra l’era dei tassi a zero e negativi, ricordate? Quello scostamento era una sorta di paese di Bengodi, quello che ha prodotto teorizzazioni politiche “bengodiste” che ancora oggi si aggirano tra le piazze smarrite al grido di “gratuitamente”. Andò a finanziare il cosiddetto Decreto Rilancio, la cancellazione delle clausole di salvaguardia Iva, il finanziamento massivo della cassa integrazione in deroga, il famigerato Superbonus e tutte le altre caramelle lanciate al popolo spaventato.Quell’era l’abbiamo alle spalle. Prima capiremo che, con questo stock di debito, ogni incidente di percorso rischia di trasformarsi in una crisi finanziaria ben prima che i tassi globali tornino a scendere, meglio sarà. Senza scordare quello che evidenzio ormai da anni: la depressione demografica del paese è tale da erodere in modo inesorabile la sostenibilità del nostro debito pubblico. Un effetto tenaglia che rende il percorso sempre più stretto. Però proseguite a dire che sono anni che lancio allarmi ma malgrado ciò “non è ancora morto nessuno”, mi raccomando.



    A parte tutto il resto su cui si può approfondire e chiarire meglio a chi non ha familiarità con i termini, quello che ho sottolineato è autoesplicativo e vuole testimoniare che l'ideologia di qualunque colore essa sia è ormai una pietra al collo con la quale suicidarsi.
    Purtroppo le prospettive a medio lungo termine non sono affatto rosee, lo stesso discorso vale anche per le pensioni. La cosa più sconfortante è iniziare a lavorare ora e vedersi trattenere dei soldi sotto forma di contributi per una pensione che non forse mai si riceverà.


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  2. #322
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    Predefinito Re: "It's the economy, stupid!"

    Comunque assurdo l’aumento dei prezzi degli ultimi mesi
    Stasera al volo per cena di fretta due brioche col gelato
    11 euro
    Gelato piccolo si parte da 2.5 euro
    Due gusti 3.5 euro
    Letteralmente fuori controllo


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  3. #323
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    Predefinito Re: "It's the economy, stupid!"

    Come si distribuisce il carico IRPEF tra lavoratori dipendenti, autonomi e pensionati


    Il 58% contribuisce per neanche il 9%…
    E guardate la vessazione per la fascia 35/55, la chiamavano borghesia…


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  4. #324
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    Predefinito Re: "It's the economy, stupid!"

    Citazione Originariamente Scritto da verza81 Visualizza Messaggio
    Comunque assurdo l’aumento dei prezzi degli ultimi mesi
    Stasera al volo per cena di fretta due brioche col gelato
    11 euro
    Gelato piccolo si parte da 2.5 euro
    Due gusti 3.5 euro
    Letteralmente fuori controllo


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    Rubo le parole (più o meno) a Boldrin: in situazione di alta inflazione ci sono 2 modi per gestirla; avere il coraggio di dire che bisogna stringere la cinghia per abbatterla oppure non dire nulla, anzi magari far finta di sussidiare, non risolvere nulla e far fare all'inflazione stessa lo sporco lavoro di costringere a tirare la cinghia.
    La seconda in termini elettorali paga di più.

    @ventasc : il problema non è tanto che non si prenderà mai la pensione; anzi... Io penso che la si prenderà comunque (più bassa di quelle attuali, ben inteso).
    Stiamo entrando nella fase peggiore dal punto di vista demografico che è quella in cui le coorti di pensionati crescono e quelle di lavoratori scendono.
    E per un sistema a ripartizione come il nostro è la cosa peggiore possibile.

    grafico-eta-stato-civile-2020-italia.png

    Perchè la cosa si normalizzi (più o meno) servirà qualche decennio (3? 4? 5? Boh... Quando sarà esaurita l'attuale coorte 35-39); ergo la cosa che trovo allucinante è che ancora oggi si cerchino escamotage per mandare la gente in pensione prima, quando quello che servirebbe davvero sarebbe non solo un innalzamento medio significativo dell'età, ma addirittura un ricalcolo delle pensioni esistenti.
    E d'altra parte nel Paese dove qualsiasi cosa è un diritto acquisito...
    Comunque del livello di disastro rappresentato da quella piramide ce ne stiamo già parzialmente accorgendo, ma ce ne accorgeremo con le cattive nei prossimi 2 decenni. Altro che immigrati serviranno...
    Ultima modifica di FunMBnel; 27/04/2023 alle 17:27
    Neutrofilo, normofilo, fatalistofilo: il politically correct della meteo
    27/11: fuori a calci i pregiudicati. Liberazione finalmente.

  5. #325
    Uragano L'avatar di FunMBnel
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    Predefinito Re: "It's the economy, stupid!"

    Citazione Originariamente Scritto da verza81 Visualizza Messaggio
    Come si distribuisce il carico IRPEF tra lavoratori dipendenti, autonomi e pensionati


    Il 58% contribuisce per neanche il 9%…
    E guardate la vessazione per la fascia 35/55, la chiamavano borghesia…


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    Mi piace che "i dipendenti contribuiscono fedelmente". E grazie alla fava.
    Nessuno si fa promotore di un referendum per abolire il sostituto d'imposta?

    Son dati tristemente piuttosto noti.
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  6. #326
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    Predefinito Re: "It's the economy, stupid!"

    Robin Zeng, il capitalista più potente del mondo





    Lasciate perdere Elon Musk. L’uomo più importante del capitalismo mondiale si chiama Yu Qun Zeng, Robin Zeng per gli amici occidentali. Farà la differenza nelle nostre vite, ma di lui si sa poco. Ha 55 anni, risiede ufficialmente a Hong Kong, ha un dottorato in fisica dall’Accademia cinese delle Scienze, ha un patrimonio stimato tra trenta e i quaranta miliardi di dollari (37esimo al mondo) ed è fondatore, presidente con deleghe esecutive e azionista di riferimento di Contemporary Amperex Technology Ltd (Catl). La sua azienda controlla oltre un terzo del mercato mondiale delle batterie elettriche ed è il principale fornitore di colossi del capitalismo del ‘900 come Ford o Bmw e campioni del 21esimo secolo come Tesla.

    Il boom dell’auto cinese che lascia indietro l’Italia


    Tutto questo è tremendamente importante. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), l’anno scorso la spesa nel mondo per l’acquisto di auto elettriche ha sfiorato i 500 miliardi di dollari. È stato un aumento del 50% sul 2021. Quest’anno avrà sicuramente una crescita forse ancora maggiore. Mentre noi in Italia ci balocchiamo sognando i biocarburanti, negli ultimi mesi del 2022 la quota delle auto immatricolate che vanno solamente a batteria elettrica in Europa (per non parlare delle ibride) ha superato di gran lunga quelle a diesel. Queste ultime erano la tecnologia dominante fino a pochissimi anni fa, un fiore all’occhiello dell’industria europea capace di presidiare il 53% del mercato dell’auto ancora nel 2014. Oggi il diesel è distrutto dagli scandali di Volkswagen, che truccava i test sulle emissioni per nascondere l’obsolescenza del suo modello di fronte alle sfide del clima. Le auto con una batteria al litio oggi rappresentano la maggioranza dei modelli venduti in Europa, ma l’Europa è niente: metà dei quasi trenta milioni di modelli oggi in circolazione si trovano in Cina. Qualunque cosa dicano le direttive europee, tra non molti anni le vetture nuove solo a benzina o diesel saranno una rarità.

    Siamo di fronte a una rivoluzione che non è solo tecnologica o di modello industriale. Essa investe anche i flussi commerciali dell’Europa (Italia inclusa) e mette in discussione il nostro destino come società avanzata: senza neanche rivangare cos’ha rappresentato il produrre auto per l’Italia nel ‘900, basta pensare che questo settore vale in modo diretto più di un decimo di tutta l’industria europea. Oltre, naturalmente, a tutto l’indotto.

    Eppure siamo sul punto di diventare dipendenti dal misterioso, geniale Robin Zeng. Un imprenditore con dottorato in fisica di cui sul web, ricercando il suo nome cinese, compaiono solo riferimenti a brevetti. Un uomo che ha fondato giovanissimo una prima azienda di batterie al litio, l’ha venduta a una multinazionale giapponese dell’elettronica, quindi ha lanciato uno spin-off che oggi è campione mondiale della tecnologia del momento.









    Ora guardate bene le implicazioni nel grafico qui sopra (di Mercer). Mostra i flussi commerciali nella vendita di auto fra Cina e Unione europea negli ultimi anni. In passato l’Europa aveva un enorme surplus, vendendo ai cinesi auto per cinque o sei miliardi di euro a trimestre (incluse le componenti italiane di vetture tedesche) e importando quasi niente. Oggi l’Europa è ancora in attivo, ma la Cina esporta auto a batteria elettrica verso la Ue per un valore circa dieci volte superiore a quanto avvenga in direzione opposta. Sulla nuova tecnologia che si sta imponendo, in un settore un tempo dominato dall’Europa, siamo nettamente in deficit commerciale. Restiamo in surplus solo nelle tecnologie in declino. Nel frattempo – nota Brad Setser del Council on Foreign Relations – la Cina è passata dall’esportare auto nel mondo per 15 miliardi di dollari al trimestre nel 2021 a esportarne per 70 miliardi oggi.

    Quanto a noi – italiani ed europei – siamo così in ritardo che non capiamo neanche cosa sta accadendo attorno a noi. Non è solo che fra i dieci principali produttori di batterie elettriche sei sono cinesi, tre sono sud-coreani e uno è giapponese. Conta ancora di più il modo in cui essi si stanno muovendo in Europa. Negli ultimissimi anni quattro di questi produttori hanno annunciato oltre undici miliardi di euro in investimenti da «prato verde» (significa, fabbriche dal nulla) in un solo Paese dell’Unione europea: l’Ungheria illiberale, filo-russa, permeabile alla Cina dell’autocrate Viktor Orban. Di quel regime noi percepiamo l’autoritarismo, la complicità con il Cremlino, la cleptocrazia. Gli investitori cinesi e coreani la facilità del fare business, leggi e dunque costi del lavoro semi-schiavistici, forti sgravi fiscali e nessun rischio politico per le imprese partecipate dalle banche pubbliche di Pechino. Così Orban lavora per fare dell’Ungheria il polo delle batterie elettriche in Europa, da cui dipenderanno grandi gruppi come Volkswagen, Bmw o Daimler. Inutile dire che gli investimenti sono guidati da un progetto da 7,3 miliardi della Catl di Robin Zang, sempre lui. In tre o quattro anni l’Ungheria corrotta e opaca di Orban ha attratto più investimenti tecnologici dall’estero di quanti l’Italia abbia mai avuto nella sua storia. Possiamo deprecare molti dei metodi dell’autocrate di Budapest – a giusto titolo – ma le classi dirigenti italiane non hanno avuto la sua lucidità nel leggere i grandi spostamenti della tecnologia di questo secolo. Le relative competenze si accumuleranno in Ungheria, non in Italia.





    Ora guardate il secondo grafico, qua sopra. Rappresenta la classifica delle prime venti posizioni dell’Economic Complexity Index. Sviluppato da Cesar Hidalgo (Massachusetts Institute of Technology) e Ricardo Hausman (Harvard), questo indice riassume le capacità produttive di ciascun Paese sulla base delle conoscenze accumulate dalla sua popolazione rispetto a quelle presenti degli altri Paesi. L’Italia è scesa dalla 13esima posizione nel 2001, alla 17esima nel 2011, alla 19esima nel 2021. Di recente è stata superata dall’Ungheria, oltre che da Slovacchia, Slovenia e Repubblica Ceca. Ma in realtà tutti i principali Paesi d’Europa occidentale hanno perso terreno negli ultimi vent’anni. A salire sono economie dell’Asia Orientale come Singapore, Taiwan o Corea del Sud e appunto quelle dell’Europa centro-orientale. E quel che sappiamo di questa classifica è che più un Paese sale in alto, più tende ad avere un maggiore reddito per abitante (tenuto conto del diverso costo della vita nei diversi luoghi). E viceversa se scende. Anzi, questo effetto diventa sempre più pronunciato perché il contenuto tecnologico di un’economia diventa sempre più importante in questa epoca.

    Eppure un recente studio di Andrea Orame e Daniele Pianeselli della Banca d’Italia mostra come nel nostro Paese le imprese non si siano preparate alla rivoluzione elettrica depositando più brevetti o fondendosi fra loro. Fiat-Chrysler fra il 2013 e il 2018 non ha prodotto nemmeno un modello a batteria, mentre persino nell’arretrata Europa ne uscivano molte decine. E la IEA mostra che l’Italia non solo ha pochi modelli elettrici in circolazione, ma presenta un numero di punti di ricarica al di sotto della media mondiale in proporzione alle auto presenti.

    Sono livelli da sottosviluppo, inaccettabili. Continuiamo così, e arriverà un momento in cui non potremo più definirci un Paese tra i più avanzati. Ma l’Italia è solo un caso particolarmente vistoso di un malessere che attraversa l’intera Europa occidentale. E le batterie sono un esempio è di un ritardo tecnologico-industriale più complessivo di questa parte del mondo. Per questo non capisco il senso di rinunciare a investimenti possibili tagliando il Piano di rilancio o disegnando le nuove regole europee poco adatte a questi anni. Il punto è saper investire con almeno un po’ della chiaroveggenza di Robin Zang.




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  7. #327
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    Predefinito Re: "It's the economy, stupid!"

    Ho due domande per Federico Fubini del Corriere che ha scritto l'articolo.

    1- Dove si trova la Cina nella classifica dell' Economic Complexity Index

    2- Cosa non presente nell'articolo: La produttività totale dei fattori (PTF) è un indicatore che si calcola dividendo l’output per la media delle risorse impiegate. Più alto è questo valore, più si riesce a produrre a parità di risorse. La PTF dipende da vari fattori, come l’innovazione tecnologica e l’efficienza gestionale.
    Negli ultimi 10 anni la crescita di questo indicatore per l'economia cinese è stata inferiore a quella di altri Paesi con livelli di reddito simili.

    Come si concilia tutto ciò con gli ordini di grandezza snocciolati nell'articolo di cui la Cina è il soggetto centrale?
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  8. #328
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    Predefinito Re: "It's the economy, stupid!"

    Citazione Originariamente Scritto da FunMBnel Visualizza Messaggio
    Rubo le parole (più o meno) a Boldrin: in situazione di alta inflazione ci sono 2 modi per gestirla; avere il coraggio di dire che bisogna stringere la cinghia per abbatterla oppure non dire nulla, anzi magari far finta di sussidiare, non risolvere nulla e far fare all'inflazione stessa lo sporco lavoro di costringere a tirare la cinghia.
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    @ventasc : il problema non è tanto che non si prenderà mai la pensione; anzi... Io penso che la si prenderà comunque (più bassa di quelle attuali, ben inteso).
    Stiamo entrando nella fase peggiore dal punto di vista demografico che è quella in cui le coorti di pensionati crescono e quelle di lavoratori scendono.
    E per un sistema a ripartizione come il nostro è la cosa peggiore possibile.

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    Perchè la cosa si normalizzi (più o meno) servirà qualche decennio (3? 4? 5? Boh... Quando sarà esaurita l'attuale coorte 35-39); ergo la cosa che trovo allucinante è che ancora oggi si cerchino escamotage per mandare la gente in pensione prima, quando quello che servirebbe davvero sarebbe non solo un innalzamento medio significativo dell'età, ma addirittura un ricalcolo delle pensioni esistenti.
    E d'altra parte nel Paese dove qualsiasi cosa è un diritto acquisito...
    Comunque del livello di disastro rappresentato da quella piramide ce ne stiamo già parzialmente accorgendo, ma ce ne accorgeremo con le cattive nei prossimi 2 decenni. Altro che immigrati serviranno...
    oddio il discorso non fa una piega eh, però alzare ancora l'età mi sembra un po' forte cioè, andiamo oltre i 67anni? andiamo al lavoro col girello?
    Si vis pacem, para bellum.

  9. #329
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    Citazione Originariamente Scritto da jack9 Visualizza Messaggio
    oddio il discorso non fa una piega eh, però alzare ancora l'età mi sembra un po' forte cioè, andiamo oltre i 67anni? andiamo al lavoro col girello?
    Per dire gli infermieri vengono tolti da certe mansioni ben prima di arrivare alla pensione, parliamo di parecchi anni. E vengono spostati su altro meno pesante.
    Di contro tutti quelli che fanno un certo tipo di lavoro specializzato se stanno minimamente in salute continuano a lavorare ben dopo la pensione.
    Non è un problema di facile soluzione purtroppo
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  10. #330
    Uragano L'avatar di jack9
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    Citazione Originariamente Scritto da Gianni78ba Visualizza Messaggio
    Per dire gli infermieri vengono tolti da certe mansioni ben prima di arrivare alla pensione, parliamo di parecchi anni. E vengono spostati su altro meno pesante.
    Di contro tutti quelli che fanno un certo tipo di lavoro specializzato se stanno minimamente in salute continuano a lavorare ben dopo la pensione.
    Non è un problema di facile soluzione purtroppo
    è vero, ma un operaio specializzato in fabbrica ad esempio è impensabile che possa andare avanti così tanto... ma, per esperienza personale, anche chi fa il mio lavoro. ho delle colleghe che arrivano ai 60 e sono massacrate. in piedi tutto il giorno a spostare carichi e fare i km. sono cose che si fanno, si affrontano, ma dopo 40anni è dura...
    Si vis pacem, para bellum.

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