.....facciamo qui di seguito una bella lista sugli sprechi italiani, senza eccessivi commenti per non appesantire il tutto. Questo sono i primi che mi sono capitati or ora sotto gli occhi, un po' di esempi per i manager:
Giancarlo Cimoli mministratore delegato e presidente di Alitalia ha dichiarato 2 milioni e 700 mila euro senza contare la lauta liquidazione ottenuta dalle Ferrovie dopo il suo passaggio all'Alitalia (intorno ai 6,7 milioni di euro). Il suo stipendio (si fa per dire) è aumentato in un anno del 23%. Per essere più precisi: dai 2 milioni e 269mila euro annui del 2004 è passato ai 2 milioni e 786mila del 2006.
Elio Catania dichiara 2.500.000 euro. Ex presidente e amministratore delegato di Fs, pare sia stato liquidato con una buonuscita di 7 milioni circa. Da notare che sono di 1,3 miliardi le perdite dichiarate dalle Fs per il 2006, mentre nel 2003 l'utile era di 31 milioni
Massimo Sarni 1.296.000 euro. Amministratore delegato Poste Italiane, ha uno stipendio di quasi un milione e trecento mila euro. Negli ultimi quattro anni, alle Poste in pratica è stata cambiata tutta la prima linea dirigenziale con una spesa per le buonuscite di almeno 8 milioni di euro, applicando a quasi tutti la regola del tre, cioè l'equivalente di tre anni di stipendio in cambio delle dimissioni.
Vittorio Grilli ex Ragionerie Generale dello Stato e attualmente Direttore Generale del Tesoro oltre che presidente dell'Istituto Italiano di Tecnologia, denuncia 511 mila euro all'anno guadagnati in Italia e 1 milione e 800 mila euro all'estero.
Corrado CalabròPresidente dell'Authority delle Telecomunicazioni, guadagna 440 mila euro l'anno
Paolo Scaroni se ne va da Enel con 10 milioni di euro, di 5 milioni di liquidazione. Inciampa in Mani pulite, per tangenti ai politici, patteggia la pena, va in Inghilterra torna in Italia con il governo Berlusconi che lo nimina all'Enel. Nei tre anni di gestione gestione le bollette salgono del 3,5%, le bollette più care d'Europa. Le riconversioni promesse non sono state fatte. Scaroni va all'Eni dove prende uno stipendio di 1 milione e mezzo di euro l'anno. Mincato aveva preso una liquidazione di 9 milioni e 600 euro. Se Scaroni se ne va prenderà tre anni di stipendio
Annibale Marini il presidente della Corte Costituzionale (quarta carica dello Stato) ha uno stipendio di circa 400 mila euro lordi l'anno, cioè 1/5 in più di quanto spetta a ciascuno degli altri 14 giudici della Consulta. A loro volta costoro percepiscono circa 28 mila euro al mese, pari al 50% in più del Primo Presidente della Cassazione, cioè del numero 1 dei magistrati ordinari di carriera. Ogni ex presidente della Consulta ha diritto in vita al titolo di «emerito» e ad un’auto blu con autista. Dopo la sua morte gli sarà invece intitolata in sua memoria una strada a Roma nel quartiere Aurelio per effetto di una vecchia delibera della giunta Rutelli
......per non parlare dei vari presidenti ed amministratore delegato di Sviluppo Italia, o l'ANAS etc etc
Eni, Enel, Alitalia, Anas, Ferrovie dello Stato, Sviluppo Italia sono le grandi aziende pubbliche che dovrebbero far funzionare i servizi nel nostro Paese e sviluppare attività.
Nei loro Consigli d’Amministrazione siedono manager noti e ben retribuiti che in genere vengono sostituiti quando cambia il governo. Il numero minimo di consiglieri previsto per far funzionare un Cda sarebbe di 3, ma alle Poste sono 11 così come per Fincantieri. La Rai ne ha 9, il Poligrafico dello stato 10, Alitalia e Ferrovie 5. All’Eni i consiglieri sono 12 e all’Enel 9.
I Cda costano tanto,anche perché ogni azienda a sua volta ha delle società controllate e cosí i consiglieri aumentano: 111 per le Poste, 197 per la Rai, 165 per l’Enel e addirittura 316 per le Ferrovie. Il Cda dell’Enel, per esempio, costa dai 3 ai 15 milioni di euro ogni anno, dipende dalle liquidazioni che vengono elargite ai grandi manager. L’anno scorso l’ex amministratore delegato Paolo Scaroni se n’è andato con 5 milioni 997 mila e 675 euro ed anche l’amministratore delegato di Ferrovie, Elio Catania, è stato liquidato con più di 5 milioni di euro.
Alitalia è in passivo ma l’amministratore delegato, Giancarlo Cimoli prende 2 milioni e 800.000 euro l'anno,quattro volte lo stipendio dell'amministratore delegato di KLM e il triplo rispetto a quello di British Airways, due compagnie che hanno bilanci in utile.
Siamo il paese d’Europa con i manager e gli amministratori più pagati ma ai buoni stipendi non sempre corrispondono buoni risultati. Cos'è per esempio Sviluppo Italia? Cosa fa e quali cifre manovra? Cosa succede nei consigli d'amministrazione di Anas
l’Italia è piena di casi di gente che sta in più di un CDA. Mario Virano, ex Amministratore Delegato della Sitaf, mentre stava nel consiglio di Anas era anche Presidente dell’osservatorio sulla Tav e Amministratore della Musinet Engineering, di cui l’ Anas ha il 60%. Tutte aziende che si occupano di infrastrutture e progettano strade. Possiamo parlare di conflitto di interesse
Lavorare per Sitaf è come lavorare per Anas visto che Anas è il maggior azionista di Sitaf .E poi arriva Di Pietro e sfiducia tutto il consiglio di amministrazione. Il 20 luglio arrivano le nuove nomine. Presidente è Pietro Ciucci, che è anche Amministratore Delegato della Società Stretto di Messina. Dei 4 consiglieri 2 sono dell’Italia dei Valori, il partito del ministro Di Pietro.!!!!.alla fine sono tutti alle poltrone!!!
E poi…
Sviluppo Italia nasce tra il ’99 e il 2000, pensata dal governo Prodi e realizzata da quello d’ Alema. Ha 9 consiglieri ma se si aggiungono le controllate diventano 176. Doveva attrarre investimenti dall’estero e razionalizzare lo sviluppo al sud. Una specie di nuova cassa per il mezzogiorno. Mette insieme 6 società pubbliche con una dote di porti, villaggi, immobili e un capitale di 2000 miliardi di lire e circa 800 dipendenti. Fino ad oggi Sviluppo Italia ha speso 6 miliardi di euro ha 1600 addetti e 118 società, di cui anche 86 partecipazioni in imprese private: si vada da Raphael, azienda alberghiera di cui è socio anche il governatore siciliano Cuffaro, a Frame società napoletana che fa servizi televisivi, da ITC a Sistex, imprese in fallimento.
Citta' di Castello(PG):
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Su sviluppo Italia sono perfettamente d'accordo: sarà necessario intervenire.
Ma sugli stipendi dei manager: guarda che spesso sono inferiori a quelli di pari grado in aziende private più piccole. magari non Cimoli, ma 440.000 Euro all'anno per Calabrò non sono mica così tanti. O comunque, non sono tanti se rapportati al privato.
Quindi: o noi diciamo che i manager pubblici devono essere pagati un decimo dei privati e corriamo il rischio che nessuno di valore venga a fare il manager pubblico, oppure cerchiamo di evitare le distorsioni più palesi andando avanti così.
Ma quest'articolo è veramente demagogico. Che la quarta carica dello Stato prenda quanto un medio manager privato non mi sembra affatto uno scandalo. Ma hai idea di quanto prende un avvocato all'anno?
Maurizio
Rome, Italy
41:53:22N, 12:29:53E
Vogliamo che lo stato italiano si metta a fare a gara con le più grandi aziende private per avere il miglior manager sul campo? Secondo me basta un normale manager di nuova formazione che abbia voglia di dimostrare il proprio valore, senza dover spolverare i soliti della vecchia nomenclatura. Poi siamo o no in un periodo di ristrettezze? Bisogna tirar la cinghia? Se iniziamo dalla prima carica dello stato ad arrivare alla quarta si fa subito. Tra l'altro se non sbaglio 440.000 l'anno sono 36.666 al mese, inoltre il manager medio c'è arrivato li nella maggior parte dei casi) per merito, mentre le cariche statali molto spesso per "concessione politica".
.....la cinghia la tiro si, sul muso di questi signori dalla parte della fibbia!![]()
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I PRIVILEGI DEI POLITICI
Europarlamentari italiani: uno stipendio più che doppio rispetto ai colleghi francesi.
È inaccettabile che gli europarlamentari italiani ricevano un compenso annuo (144.084, 36 euro) di gran lunga superiore a quello dei colleghi della Germania (84.108) e più che doppio rispetto a quelli della Francia (62.779,44) e della Svezia (57.000), a Paesi cioè tra loro omogenei. Ancor più inaccettabile è, poi, il confronto con i Paesi più poveri: se è vero che il costo della vita non è omogeneo, è altrettanto vero che un euro-parlamentare polacco, a parità di funzioni e a parità di condizioni di vita a Strasburgo, percepisce 7.369,70 euro annuali contro i 144.084,36 dell’euro-parlamentare italiano (fonte: The Times).
Onorevoli: un compenso otto volte superiore a quello dei colleghi spagnoli.
Se sono privilegiati i nostri europarlamentari, non lo sono di meno i nostri onorevoli che tra indennità e diaria si portano mensilmente a casa 15.193 euro lordi contro i 7.599 della Gran Bretagna, i 7.009 della Germania, i 6.892 della Francia e i 3.731 della Spagna (elaborazione de Il Sole 24 ore, 23 luglio 2006) e che, a parità di versamenti, si trovano ad avere una pensione all’incirca 7 volte superiore rispetto a quella dei lavoratori dipendenti.
Un numero di parlamentari da contenere
Considerato che
Chiediamo che si cerchi, quanto prima, una soluzione che raccolga almeno i 2/3 dei parlamentari e che vada in vigore dalla prossima legislatura.
- maggioranza e opposizione concordano sull’esigenza di contenere il numero dei parlamentari;
- la Germania, può essere considerata un buon modello: 683 parlamentari (614 deputati del Bundestag e 69 membri del Bundesrat) con 82 milioni di abitanti;
- La proposta di abbassare a 400 il numero dei deputati e a 200 quello della seconda Camera può essere un buon compromesso bipartisan;
Consiglieri regionali tra i più pagati.
Privilegiati sono pure i consiglieri regionali che sono tra i più pagati in Europa: i consiglieri della regione Sicilia, in particolare, arrivano a percepire un’indennità di 22.000 euro al mese e una pensione pari al 100% dell’indennità dopo due legislature.
Siamo di fronte a privilegi ingiustificati per abbattere i quali le misure prese in sede nazionale (l’abbattimento del 10% previsto dalla finanziaria 2006) e in quella europea sono del tutto inadeguate. È insufficiente, in particolare, che si siano previsti per l’allineamento delle indennità degli euro-parlamentari tempi troppo lunghi (2009), ed è cosa anomala che si sia consentito ai singoli Stati – per ben altri dieci anni! - una deroga migliorativa per i propri euro-parlamentari. Ci vuole maggior coraggio, anche perché si tratta di privilegi che hanno l’effetto di ripercuotersi a cascata su altre categorie e, quindi, di appesantire il sistema Italia.
I conti delQuirinale:
Non ci si deve arrendere neppure di fronte a una istituzione prestigiosa come è quella della Presidenza della Repubblica il cui costo è superiore perfino a quello della Monarchia inglese e 10 volte di più della Presidenza irlandese che ha compiti analoghi a quelli italiani. Qualcosa non quadra davvero se in Germania la Presidenza della Repubblica ha a disposizione 160 dipendenti, negli Usa - dove il Presidente della Repubblica è anche Capo del governo - 400 e in Italia 796 (ma per il Quirinale – secondo determinate fonti - lavorano quasi 2000 persone!). Siamo in presenza di costi francamente eccessivi e forse anche di sprechi auspicabilmente da eliminare.
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..BREVI:
Il Comune di Napoli riscuote, per un patrimonio immobiliare di oltre 2 miliardi, ogni anno, 29 milioni di euro per l'affitto di immobili, ma ne spende, per gli stessi immobili affittati, 45. Un passivo annuo di 16 milioni di euro.
Il Comune di Padova ha speso 100mila euro per ospitare 52 serbi che dovevano essere espulsi. Molti di loro sono pregiudicati
In un anno la Provincia di Roma ha speso 4,7 milioni per 139 collaboratori: 9 euro al minuto. C'è anche l'esperto in pacifismo
Al CSM mancano i soldi. L'uso delle auto blu da parte degli autisti, per fare un esempio, o di computer e telefonini da parte delle segretarie; ma anche i rimborsi di cure dentarie e libri scolastici per i dipendenti e i loro figli e poi gli orari delle missioni dei consiglieri, gli assegni integrativi per i loro assistenti e portaborse, le spese per ricevere le delegazioni estere. Un bilancio complessivo di 32 milioni di euro (di cui 6 per la formazione dei magistrati).
In Toscana stanziati 67 milioni per comprare tre nuovi stabili, tra cui la sede europea (l'ambasciata regionale?). E le altre regioni non sono da meno. La Ligura, ad esempio, spende più di un milione di euro per una mega palazzina nella capitale belga.
La regione Toscana dà 145mila euro a tre persone per controllare il paesaggio.
Padova spende 750mila euro alla cieca, un percorso magnetico per ciechi - fra l'altro, contestato dagli stessi disabili - non è mai stato completato né è entrato in funzione
La Regione Sicilia paga 2237 dirigenti, alcuni fin oltre 1500 euro al giorno.Sicilia da record: 14.887 dipendenti regionali. La Lombardia con il doppio degli abitanti ne ha solo 3mila. La denuncia della Corte dei conti:troppi dirigenti
In Veneto 103 milioni per un'idrovia dove viaggiano solo le anatre.Per costruire l'idrovia PadovaVenezia spesi 103 milioni e 30 anni di lavori: ma nuotano solo le anatre. Sono stati realizzati solo 17 chilometri su 27, gettando una montagna di denaro pubblico
In Friuli 40mila euro per due foto. Per promuovere la sua immagine la Regione non bada a spese. E finanzia con 365mila euro il cinema muto. Nessun risparmio neppure per lo stipendio del supermanager del governatore Illy che incassa 215mila euro annui
La Basilicata assume i portaborse dei politici.Con una leggina estiva, promossa dal partito di Di Pietro, la Regione trasforma gli assistenti in dipendenti
Dal 1998 i segretari dei consiglieri regionali erano pagati dai consiglieri stessi con un contributo economico. Ora li stipendia la Regione, che continua a pagare anche quei contributi.
La Corte dei conti setaccia il bilancio del 2002 della regione Campania (governata allora da BASSOLINO): 216.408 euro per il "benessere del personale". la voce "altre spese" (sempre in riferimento al personale della giunta) aumentate - rileva la Corte - del 860,2% tra il 2001 e il 2002.
La Sicilia di Cuffaro stanzia 103mila euro per comporre l'inno musicale regionale
In Umbria un Ente ogni 2.800 persone.Tra commissioni e comitati la regione conta 298 organismi. Che solo di gettoni e rimborsi costano 8,6 milioni .
La Calabria ha un "consulenti in bici".Un consulente per tutto, anche per le biciclette. E' il caso della Calabria dove sono stati spesi 200 milioni per uno studio dedicato alle piste ciclabili. La Corte alla regione: troppe spese per esperti esterni. Le spese sono triplicate.
Benevento: 30 anni per costruire un asilo, le spese sono salite da 30mila euro a un milione
Il Piemonte paga due periti per sapere se ne servono altri.Il loro compito retribuito con 84mila euro: stabilire se serve una figura di supporto all'esperto in materia di pari opportunità. Soldi pubblici anche per corsi per esportare tori in Argentina
La Regione Puglia ha 400 avvocati. L'ufficio legale non basta e l'ente si rivolge a studi esterni: in tre anni spesi 17 milioni di euro.
"tortellini d'oro" dell'Emilia Romagna. La Regione spende 105mila euro per promuovere i suoi prodotti tipici in Sud Africa, Paraguay e Lituania.
La Corte dei conti bacchetta la Campania: aumenti da capogiro al personale. Le spese croniche della sanità campana. Ha 4 miliardi di debiti, ma il costo del personale è salito dell'otto per cento. E una nuova delibera chiede di più.
Province autonome. L'Eldorado di 80mila dipendenti pubblici
Numeri record a Trento e Bolzano (con un totale appunto di circa 80mila dipendenti pubblici): un occupato su sei lavora nelle amministrazioni locali
Regione Molise vive in affitto: 2 milioni di euro l'anno
I canoni d'oro pagati dal Molise
Trento pesca anche il consulente ittico. La Provincia spende 102mila euro al giorno in esperti. E fa sondaggi sulla paura degli orsi
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Citta' di Castello(PG):
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TAV
Per realizzare le 7 tratte dell'Alta velocità in Italia, nel 1991, con regolari contratti firmati, fu previsto un costo complessivo di 9.203 milioni di euro.
A distanza di 15 anni dalla firma dei contratti (secondo dati forniti da Tav Spa e Fs Spa) il costo è salito a 38.520 milioni di euro, con un aumento del 418%.
Gli oneri finanziari per l'operazione sono passati da 767 mila euro a 8700 milioni di euro, con una lievitazione di oltre il mille per cento.
Il progetto presentato e contrattualizzato nel 1991 definiva anche i costi per realizzare i cosiddetti «nodi», il materiale rotabile e le infrastrutture aeree.
Alla data odierna (sempre sulla base di dati ufficiali forniti da Tav, Rfi e Fs, il costo dei «nodi» è passato da 1064 milioni di euro a 8700 milioni (+818%); quello del materiale rotabile da 2454 milioni di euro a 8500 milioni (+ 346%); quello per le infrastruture da 614 milioni di euro a 3100 (+ 505%).
Ma ci sono ulteriori costi relativi alle «opere compensative e indotte» concordate con gli enti partecipanti alla Conferenza dei servizi.
Per la prima voce la stima è pari a 3900 milioni di euro, e per la seconda è di 9200 milioni.
Il costo del progetto, presentato il 7 agosto 1991, stimato e contrattualizzato per una cifra complessiva (tratte, nodi, materiale rotabile, infrastrutture aeree e interessi intercalari) pari a 14153 miliardi di euro (dato ufficiale), è cresciuto a 88.150 milioni di euro, con un aumento del 623%.
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grande tifernate...................per non parlare poi dei milioni di euro spesi dai comuni e regioni per viaggi all'estero sotto la dicitura"scambi culturali o per possibili interazioni econimiche".o i milioni di euro spesi per consulenze sull'ambiente traffico etc etc.........VERGOGNA,A NOI I SACRIFICI..........SIAMO UN PAESE CHE NON FA' PIU FIGLI,CE NE RENDIAMO CONTO?
Abruzzo, la regione dei porti
APPROFONDIMENTO.
ABRUZZO. In una regione che sembra avere in cima alla lista dei problemi il proprio deficit, con spese di gran lunga superiori alle entrate, bisognerebbe porre accortezza estrema alla gestione delle casse, proprio come succede in famiglia. Una quantità enorme di soldi (centinaia di milioni di euro) saranno spesi di qui a qualche anno per la costruzione di molti porti (spesso turistici). Ma contraddizioni, superficialità e opportunità non mancano e si incontrano troppo spesso trattando l’argomento.
LE INCHIESTE SUL PORTO DI PESCARA
IL NUOVO PORTO TURISTICO DI FRANCAVILLA
A giudicare da come fioriscono i progetti sembrerebbe una priorità più ancora «della ricerca e della formazione» tanto cara al presidente Del Turco.
Eppure, qualche dubbio che siano soldi che potessero essere spesi per altri e più impellenti bisogni sorge facendo sue calcoli e soprattutto ricordandoci come i porti turistici siano causa diretta della erosione della costa.
Erosione che costa 150 milioni di euro.
Dunque, da una parte si spendono soldi per porti (superflui?) e dall’altra si spendono soldi per porre rimedi alle conseguenze generate da tali manufatti.
Peggio di così…
Abbiamo già trattato in passato in maniera approfondita i problemi ed i paradossi che soffocano lo sviluppo portuale di Pescara con errori madornali che sono costati cifre enormi alla collettività. Ma non basta perché il recente piano portuale approvato secondo alcuni tecnici sarebbe l’ennesimo errore (ma di questo parleremo in seguito).
Gran parte dei dati che riportiamo in questa panoramica che focalizza i principali problemi della costa teatina sono stati raccolti da un accurato e approfondito lavoro della associazione Portanuova di Vasto a cura del presidente Michele Celenza.
A loro va interamente il merito di aver contribuito in maniera concreta a fare chiarezza in un ambito dove la politica della opportunità e del campanile hanno sempre avuto la meglio producendo gli obbrobri che descriviamo di seguito.
FONDI PER I PORTI E FONDI PER L’EROSIONE
Come detto i porti turistici sono tra i principali responsabili del fenomeno dell’erosione costiera.
Uno studio del CNR presentato nel Giugno scorso afferma che “in tutte le regioni [italiane] l’erosione trova le sue cause principali nel deficit sedimentario dovuto alla costruzione di sbarramenti che impediscono l’afflusso al mare, nel dragaggio di sabbia e ghiaia dagli alvei fluviali, e nella costruzione di porti e strutture aggettanti che bloccano il flusso sedimentario lungo la riva”. La costruzione di sempre nuovi impianti portuali insomma non è l’unico, ma certo è uno dei maggiori fattori di erosione costiera.
Un altro documento, questa volta della Commissione Europea definisce alto (high) l’impatto erosivo delle infrastrutture portuali. E aggiunge che “fatta eccezione per le autorità portuali, i mutamenti geo-morfologici lungo le coste non ricevono l’attenzione che meriterebbero da parte dei promotori dei progetti suscettibili di avere un impatto”.
Non sorprenderà allora forse che –sempre secondo lo studio del CNR- a fronte di una media del “42% delle spiagge italiane in erosione”, la costa abruzzese sia al 61%, tra le 15 regioni italiane che hanno sbocco al mare al 4° posto.
Come si spiega allora la contraddizione di una spesa di 150 milioni di euro per interventi in difesa del litorale dall’erosione stessa e, contemporaneamente, consentire che quasi tutti i comuni sul medesimo litorale progettino la realizzazione del proprio porto turistico?
SIAMO TUTTI DIPORTISTI
La densità di posti barca per la nautica da diporto sul litorale abruzzese da Pescara al Trigno è di circa 35 al chilometro; e che quella sul litorale romagnolo è di 37, ma le presenze turistiche estive sulla riviera romagnola sono però più di 10 volte di più di quelle abruzzesi. Sono nel frattempo in costruzione altri porti turistici, che porteranno la ricettività turistica portuale –sul litorale dal Pescara al Trigno- a 44 posti barca per chilometro. Come è possibile allora da una parte chiedere al Ministro dell’Ambiente l’istituzione del Parco Nazionale della Costa Teatina, e dall’altra, al Ministro dei Lavori Pubblici i fondi per la costruzione dell’ennesimo porto turistico sulla stessa costa?
«Negli ultimi quattro anni» scriveva Legambiente nel 2001 «sono stati realizzati nel nostro Paese 36 nuovi porti turistici contro i 44 costruiti nei cinquant’anni precedenti. Sono 35 i progetti (per un totale di 17mila posti barca) che hanno già ottenuto l’autorizzazione, mentre altre 50 richieste (altri 20mila posti barca) attendono il sì definitivo dalle Conferenze di servizi. Il tutto si andrà a sommare ai 110mila posti barca già esistenti».
Un recentissimo rapporto (Giugno 2006) firmato da Censis e Federmare dichiara, per gli anni dal 2000 al 2004, «una crescita dei posti barca passati da 110.885 a 128.042, con un incremento di 17.000 unità in valore assoluto, pari a circa il 15%».
A cinque anni di distanza le previsioni di Legambiente si sono dunque realizzate. In questa corsa la costa abruzzese non poteva certo restare indietro… Già nel 2000 ancora Legambiente aveva definito «un vero e proprio risultato da guinnes dei primati» il dato relativo alla frequenza dei porti sul litorale abruzzese: «un porto ogni 13 chilometri di costa».
Da allora la cementificazione è ulteriormente progredita.
DAL FIUME PESCARA AL TRIGNO
Limitiamo –per ragioni di economia- la nostra disamina al solo tratto di costa dal Pescara al Trigno (che peraltro è anche della costa abruzzese quello relativamente meno urbanizzato): in circa 70 chilometri si trovano attualmente in funzione –considerando soltanto gli impianti ad uso della nautica da diporto- 4 porti maggiori (porto canale di Pescara, marina di Pescara, marina di Ortona, porto turistico di Fossacesia), per un totale di 2431 posti barca (Porto canale di Pescara: 567 posti barca; marina di Pescara: 1250 (è uno dei più grandi porti turistici del Mediterraneo), porto turistico di Fossacesia: 404; marina di Ortona: 210. Questi dati –e i seguenti- sui posti barca vengono dal sito di Nautica Online -Pagine Azzurre-. L’aggiornamento è al Settembre 2006).
Dividendo i posti barca, 2431, per i chilometri di costa, 70, si ottiene 34,72: circa 35 posti barca al chilometro.
Una capienza molto al di sopra della media italiana, che è di 14,5 posti barca per chilometro. Ma a metà strada tra i 37 posti barca per chilometro della costa emiliano-romagnola e quelli presenti sulla costa marchigiana, che per chilometro sono 32,6.
Numeri grosso modo simili; ma diversa l’affluenza turistica.
Nell’estate del 2004, ad esempio, la riviera emiliano-romagnola ha superato i 39 milioni di presenze; la costa marchigiana gli 11milioni e mezzo; la costa abruzzese 3milioni 351mila.
Per dare un’idea, è una cifra eguagliata dalle presenze negli alberghi nella sola Rimini nel solo mese di Luglio dello stesso anno…
I nostri amministratori ritengono però evidentemente che i posti barca non siano abbastanza.
Sono in corso i lavori di costruzione di due altri porti turistici, entrambi a ridosso della foce del Trigno: il porto turistico di S. Salvo (238 posti barca appena a Nord della foce); e quello di Montenero (400 posti barca appena a Sud), in territorio molisano.
Ultimati questi, la ricettività turistica portuale sfiorerà –nel tratto di costa dal Pescara al Trigno- i 44 posti barca per chilometro.
Ma forse non bastano ancora.
Esistono progetti più o meno esecutivi per Francavilla (162 posti barca), S. Vito (500), e Vasto (280).
Se tutti questi progetti dovessero essere realizzati arriveremo, nel solo tratto compreso tra il Pescara e il Trigno, ad una capacità ricettiva (contando solo i porti maggiori) di 4011 posti barca, con una media di oltre 57 posti barca per chilometro. Un record.
Si parla poi di porti turistici a Rocca S. Giovanni e Casalbordino e avremo che, degli 11 comuni sulla costa dal Pescara al Trigno, 10 hanno un porto turistico già realizzato, o in costruzione, o in progettazione (fa eccezione Torino di Sangro).
Giusto per completezza c’è da aggiungere che sulla costa dal Pescara al Tronto vi sono porti o approdi turistici, oltre che a S. Benedetto del Tronto, anche a Giulianova e Roseto. Mentre sono in progetto a Pineto, Alba Adriatica, Martinsicuro.Lo stato precario del litorale abruzzese non è una scoperta di ieri.
Senza andare troppo lontano, basterà ricordare che già nel Gennaio 1998 uno studio ufficiale della Regione Abruzzo (nell’ambito del programma europeo Life 1997 - Progetto R.I.C.A.MA.) definiva «abbastanza preoccupante» lo stato del litorale.
«L’intero tratto di costa abruzzese», vi si legge, «è in marcata erosione, accentuata localmente da un ridotto apporto solido dei fiumi e soprattutto da una gestione della fascia litoranea improntata più al suo utilizzo intensivo che non alla sua conservazione».
E’ importante rilevare che, a quell’epoca, la costa abruzzese risultava già per 87 km su 125 (il 70%) difesa da strutture rigide.
Ancora più esplicito è uno studio della Regione Abruzzo: «A partire dagli anni cinquanta l’unica metodologia di «difesa» dall’arretramento della linea di riva adottata in Abruzzo e in gran parte delle coste italiane è consistita nell’utilizzo di opere di difesa pura (principalmente difese radenti e difese parallele emergenti) delle infrastrutture poste a rischio dall’erosione. Questi interventi di difesa hanno causato l’innesco di una sorta di reazione a catena determinando, in un arco di tempo di circa trenta anni, la necessità di proteggere, con opere di difesa di tipo rigido, decine di chilometri di litorale».
Le opere di difesa rigide realizzate sono divenute insomma, nel tempo, una parte integrante del problema che avrebbero dovuto risolvere. Ciò non toglie tuttavia che esse, a giudizio della Regione, debbano essere a tutt’oggi ulteriormente incrementate: ne va dell’utilizzo intensivo della costa di cui sopra.
Così nel Giugno 2002 lo studio di fattibilità appena citato (finanziato dalla Regione Abruzzo con fondi CIPE) stimava necessaria «per opere ed interventi di ripascimento morbido, mediante versamenti di sabbie e di difesa rigida per il contenimento dell'erosione costiera» una somma complessiva «di ¤ 97.000.000,00 netti» «che, comprensivi di spese generali, IVA e rivalutazione, in conseguenza dell'aumento dei prezzi […] e del fatto che, nel tempo trascorso dall'anno 2000 ad oggi , le opere e gli oneri di manutenzione e di ripascimento con sabbie sono aumentate a causa del mancato intervento previsto» secondo una recente delibera del Consiglio Regionale (Seduta del 13.6.2006. ) «sono ad oggi stimabili in circa ¤ 150.000.000,00” (centocinquanta milioni)».
E’ curioso però che nella stessa delibera del Consiglio Regionale i detti 150 milioni di euro diventino alla pagina appena successiva, e senza alcuna spiegazione, «¤ 200.000.000,00 stimati necessari per contenere il fenomeno erosivo in atto».
Frattanto alcuni lavori (che interessano la costa dei comuni di Roseto, Montesilvano, Martinsicuro, Silvi-Pineto, Pescara Sud- Francavilla, Ortona, Fossacesia, Casalbordino, Vasto), per un importo di 34milioni di euro, sono già stati finanziati. Alcuni di essi, per un valore complessivo di ¤ 14.400.000, sono già in esecuzione.
LA POLITICA REGIONALE DI GESTIONE DEL LITORALE.
«A causa di una limitata cultura «gestionale» nel campo marittimo-costiero […] di fatto è mancata una azione preventiva e di analisi complessiva della fascia costiera che consentisse di armonizzare gli interventi di difesa dall’erosione costiera nell’ambito di una linea generale di azione che […] si ponesse il problema di consentire uno sviluppo compatibile ne lungo periodo».
Sono parole di Paolo De Girolamo, docente di Ingegneria Marittima e Costiera presso la facoltà di Ingegneria dell’Università dell'Aquila e consulente della Regione Abruzzo.
Risalgono a Giugno del 2002, ma a tutt’oggi non hanno perso in nulla il loro valore.
A tutt’oggi la Regione Abruzzo non dispone (se si eccettua il Piano del Demanio Marittimo, che disciplina però le sole attività connesse alla balneazione) di una legge organica di difesa razionale del litorale e della costa.
«E’ una situazione che appare per molti aspetti paradossale», spiega Michele Celenza della associazione Portanuova Vasto che ha studiato l’argomento, «se si pensa all’annoso e (abbiamo visto) costoso impegno che la Regione ha dimostrato nel produrre interventi efficaci forse localmente nel breve, ma inefficaci certamente –e anzi, nel caso della difesa rigida, dannosi- per l’insieme nel lungo. L’esatto contrario della politica di gestione raccomandata dalla UE.
In questa situazione, è normale che finiscano un po’ dovunque per prevalere le spinte localistiche; e spesso a spese dello Stato. E’ il caso, l’abbiamo visto, della programmata costruzione dei cosiddetti porti turistici (o porticcioli, come vengono talvolta vezzosamente chiamati). Un caso particolarmente significativo pare essere quello del porto turistico di Vasto».
«Noi non siamo un’associazione ambientalista e, per quanto sta a noi, per il niente che contiamo», aggiunge Celenza, «ma ci teniamo a che le cose siano chiare. Chiare come a Vasto (e non solo) non sono mai state: perché chiarezza significa fare delle scelte –se possibile- senza raccontare balle. Scelte che l’assurdo localismo della più parte della vecchia (e nuova) classe politica locale ha accuratamente evitato; e che hanno portato, da una parte –nell’assetto del territorio- ad accumulare una montagna di contraddizioni (di cui la zona di Punta Penna è un emblema); e, dall’altra –nelle parole dei nostri amministratori- ad accumulare simmetricamente, per l’appunto una montagna di paradossi».
25/09/2006 9.10
Citta' di Castello(PG):
http://www.tifernometeo.tk/
Se metà delle autovetture blu venissero sostituite da buoni-taxi, il risparmio netto ammonterebbe quindi a 4,8 miliardi l'anno.
Sprechi e spese folli per le auto blu, ovvero le auto di Stato che trasportano ogni giorno centinaia e centinaia di deputati, senatori, ministri, personalità, cariche istituzionali di qualsiasi ordine e grado e militari. Il tam tam corre via email ma i dati non sono quasi mai esatti. Ecco quelli ufficiali.
L’Espresso ha rivelato numeri e costi delle auto di servizio in una inchiesta dal titolo “L’onda blu del privilegio”.
La quantità di vetture a disposizione dei politici e non, di casa nostra, è seriamente imbarazzante e la certezza è solo una: i costi sono a carico nostro.
Per circa 40mila di queste (il 92% di quelle censite) è stato richiesto la non applicazione del risparmio di spesa. Buono a sapersi.
Secondo il documento trasmesso dal ministero dell'Economia al Parlamento, e ripreso dall’articolo dell’Espresso le auto blu in circolazione sarebbero 43.481 (che in realtà oggi sono quasi tutte grigio-metallizzato).
«Molte meno», scrive il settimanale, «di quante stimate da diversi esperti negli anni scorsi: 300 mila se si comprendevano anche le Regioni e gli altri enti locali; 150-170 mila, secondo le fonti, per le sole automobili dei ministeri e degli enti pubblici non territoriali».
Al ministero dell'Economia invece sarebbero «25 le automobili assegnate "in uso esclusivo" (al ministro, ai sottosegretari, ai top manager), mentre altre 8.929 vanno "in uso non esclusivo" ad altri soggetti.
Di queste ultime, ben 8.489 sono le auto utilizzate dalla Guardia di Finanza».
Altro parco macchine per il ministero dell'Interno, che dispone di ben 22.967 veicoli, di cui 20.444 utilizzati dalla Polizia e 523 dai Vigili del fuoco
Al ministero della Giustizia altre «1.186 blindate assegnate ai magistrati e 2.370 vetture utilizzate per il servizio traduzione detenuti».
Ma quanto costa mantenere queste vetture?
Scrive l’Espresso: «Luigi Cappugi, consulente del governo Berlusconi, meno di due anni fa aveva stimato ammontare complessivamente a 10,5 miliardi l'anno (esclusi gli enti locali)».
Infatti il costo medio di ogni auto si aggira intorno ai 70 mila euro all'anno, «inclusi autista e benzina, che andava moltiplicato per le circa 150 mila vetture in dotazione (molte delle quali destinate però, come s'è visto, a scopi di ordine pubblico, sanità, ecc.)».
Una soluzione era stata pensata, ma nessuna l’ha mai presa seriamente in considerazione: «Cappugi», si legge ancora nell’articolo, «proponeva una cura drastica: togliere l'auto blu a gran parte dei politici e degli amministratori e pagar loro il taxi».
Così il risparmio sarebbe stato assicurato: «Secondo l'economista l'esborso sarebbe ammontato "al massimo all'8 per cento" della spesa per le normali auto di Stato: se metà delle autovetture blu venissero sostituite da buoni-taxi, il risparmio netto ammonterebbe quindi a 4,8 miliardi l'anno. Quel suggerimento non fu raccolto da nessuno».
Ma, come detto, la proposta è caduta nel nulla e si è optato per la sostituzione delle auto in proprietà dello Stato con quelle in leasing o a noleggio a lungo termine ma si potrebbe correre il rischio che alla fine queste costino più di quelle di proprietà.
Citta' di Castello(PG):
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Sono 126 gli ospedali mai completati in Italia, 8 i miliardi stanziati, più della metà già spesi, zero i posti letto realizzati. Regina delle incompiute sanitarie è la Sicilia (34 opere) seguita dalla Puglia (22). Ma l'inchiesta della Nuova Ecologia ha spulciato anche sugli sprechi nelle infrastrutture viarie, sui progetti che riguardano dighe (spesso fantasma) e acquedotti. E in questo singolare viaggio non mancano le curiosità: dalla ferrovia Matera - Ferrandina, dove stazioni complete di bagni e sale d'attesa da vent'anni attendono treni e binari, fino al Comune re degli sprechi, Priolo Gargallo (Sr), dove giacciono inutilizzati una casa di cura per anziani (500 mila euro), un centro scolastico polivalente (2 milioni di Euro), un asilo nido (altri 500 mila euro).
Ospedali, incompiuta da 30mila miliardi. La commissione d'inchiesta del Senato: sprechi, inefficienze, clientelismi e tempi biblici.
ROMA - Grandi o piccoli. Da costruire di sana pianta o solo da rinnovare, ampliare, ristrutturare. La loro storia è sempre quella: di sprechi, clientele, favori. Di vecchie (ma non troppo) gestioni impossibili. E di tempi che definire biblici, una volta tanto, non è esagerato: 20-30 anni per diventare operativi. Non è leggenda metropolitana quella degli ospedali incompiuti d'Italia. Sono ancora 134 ai giorni nostri. E il Sud la fa da padrone incontrastato, con la Sicilia regina dell'irrealizzato. Ma c'è un primato in più, si fa per dire, nella vicenda degli ospedali storicamente a cielo aperto del Belpaese: per 62 di essi non si ha traccia alcuna dei tempi di conclusione dei lavori. Chissà quando finiranno, se finiranno. E chissà quanti altri denari dei contribuenti ci vorranno. Qualcuno azzarda: almeno altri 30mila miliardi di lire.
Quel "qualcuno", poi, non è un illustre sconosciuto. È la commissione d'inchiesta del Senato sul sistema sanitario. Una commissione, si badi, che ha i poteri della magistratura. E che dopo qualche anno di lavori sul campo e di visite a ripetizione lungo lo Stivale degli ospedali, ha presentato ieri la sua relazione finale. E sono parole di fuoco quelle impiegate nel rapporto di 193 pagine presentato dal relatore Ferdinando Di Orio (Ds), pur nell'ammissione che in questi anni qualcosa s'è smosso e le procedure si sono accelerate, anche grazie ai recenti patti di programma. Ma evidentemente ancora non basta.
Come spiega chiaramente la relazione di Di Orio, che non lesina le accuse per spiegare un fenomeno di strutture avviate anche negli anni Cinquanta (S.Bartolomeo in Galdo, Campania, 1957; Pizzo Calabro, 1959; Riuniti di Foggia, 1956), nei mitici Sessanta (basta citare: S. Bortolo, Veneto, 1967; Poggio Mirteto, Rieti, 1966; S.Carlo, Potenza, 1969) e più spesso negli anni Settanta. Con costi che sono esplosi esponenzialmente. Dai 2.420 mld di costi iniziali previsti, il costo è schizzato a 9.013 miliardi. Ma non basta: perché, spiega la relazione, «il valore non tiene conto dell'inflazione intercorsa e della conseguente rivalutazione che andrebbe effettuata».
Considerato che i tempi costruttivi medi sono superiori ai 20 anni, è facile comprendere che la cifra di 9.013 mld in valori attuali andrebbe moltiplicata secondo specifici coefficienti indicati. «Non è azzardato ipotizzare ‹ si precisa peraltro nelle premesse ‹ che sia da prendere in considerazione un intervento finanziario almeno pari a quello dell'art. 20 della legge 67/88». Quanto? Presto detto: 30mila miliardi di lire. «Irrealistico», si afferma, è ipotizzare che «un simile impegno possa essere interamente sostenuto dall'Erario»; e «non di semplice attuazione» («se non in forma pionieristica e solo in talune aree del Paese») è la prospettiva di affidarsi a un «intervento del privato». E allora, che fare? La proposta, evidentemente minimale ma comunque utile, è di creare un «Registro nazionale degli ospedali», premessa per avviare una programmazione degna di questo nome.
A dar conto della gravità del problema, intervengono poi le valutazioni politiche complessive. E anche in questo caso, la relazione non usa esattamente il fioretto. A cominciare dall'«impressione che esistano ulteriori strutture incompiute», magari in quel patrimonio sconosciuto di Province e Comuni in questo lungo e indefinito trapasso nelle mani di Regioni e Asl. Per proseguire con un'altra sciabolata: «Sorge il sospetto che l'assenza di tracce documentali, spesso riscontrata, sia un comodo velo per mascherare errori e responsabilità». Il che ha comportato valutazioni per difetto dei costi, alla radice di un «patologico fenomeno», quello delle opere incompiute, che poggia sull'inefficienza della progettazione pubblica, nell'assenza di controlli, nella vaghezza degli obiettivi, spesso nell'assenza di competenze. Ospedali spesso voluti anche dalle «"nobili ragioni"» delle comunità locali. "Nobili ragioni" che, più prosaicamente, Di Orio riporta entro la dimensione della storia di questi anni: «Appaiono fortemente condizionanti ‹ è la denuncia esplicita ‹ meccanismi più concreti che, a partire dalla "fabbrica ospedale", garantivano ben noti ritorni in termini economici e clientelari, dalla scelta dei terreni alla gestione degli appalti all'assunzione del personale». Ce n'è, dunque, un poco per tutti: «Le vicende legate alla corruzione nel settore delle opere pubbliche ‹ aggiunge la relazione ‹ sono conosciute e ancora recenti e le ripercussioni giudiziarie delle numerose inchieste hanno ulteriormente prolungato le storie edilizie di molte delle opere ospedaliere incompiute del Paese».
Lo stato dell'arte. Delle strutture censite, 41 dovrebbero essere attivate nel 2000; 12 nel 2001; 7 nel 2002; 4 nel 2003; 2 nel 2004; per 62 non è stata indicata, nonostante le sollecitazioni, alcuna data di ultimazione dei lavori. Resta il fatto che 23 interventi (16 al Sud, 2 al Centro, 5 al Nord) sono ampliamenti, progetti in corso anche dal 1967 (Anzio), fatto gravissimo considerata la "relatività" dei lavori. Altri 15 interventi si riferiscono a ristrutturazioni: il 67% al Sud e il 33% al Centro. Ben 46 casi sono opere di completamento (65% al Sud, 22% al Centro, 13% al Nord). Esempi di incompiutezza che hanno in comune una enorme differenza di costo per posto-letto
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