
Originariamente Scritto da
albedo
Si potrebbero dire molte cose sulla lunghezza dei brani.

La canzone "occidentale" è solo uno dei tanti generi musicali, e deriva dalle ballate dei cantastorie medioevali, che pure avevano una certa lunghezza (e su questo target s'ispirano generalmente i cantaturori).
Con la nascita del disco la canzone ha abbreviato i tempi per esigenze pratico-discografiche prima e poi anche radiofonico-televisive, tendenza che si è ulteriormente accentuata dopo gli anni '50.
La canzone "espresso" è diventata il genere più popolare e da questo se ne può ricavare l'impressione che sia il genere più "giusto". Ma basta aprire un po' la mente...

In realtà anche i cantanti più dozzinali quando cantano in concerto allungano di molto i propri brani, con tendenza a reiterare i ritornelli e arricchirli di parti musicali non cantate. Certi brani rimixati dai dj in house o tecno diventano ossessivamente lunghi e qui l'esigenza è quella di non interrompere le danze...
Ora, in special modo negli anni '70 - anzi dagli ultimi quattro album dei Beatles in poi - la fusione di più generi ha indotto moltissimi musicisti e gruppi a tornare ai brani lunghi, un po' come avviene normalmente nel jazz e avveniva prima ancora nella musica sinfonica. Una delle caratteristiche del "progressive" è quella di unire i brani fra loro, senza soluzione di continuità, tanto che l'effetto che si crea è quello di un'unica sinfonia (e questo è ripreso dal classico) o di assistere a dei lunghi concerti dal vivo (e questo è ripreso dal jazz).
Soluzione che si ritova anche in alcuni album dei cantautori: in Italia, mi vengono in mente gli spettacoli di teatro-canzone di Gaber, "Anima latina" di Lucio Battisti e "Ho visto anche degli zingari felici" di Claudio Lolli. Più o meno la stessa cosa accadeva all'estero.

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