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la verità su Kyoto
Un intermezzo, direi una frattura nel caldo di questo agosto 2009 che non vuole assolutamente finire.
Nei giorni scorsi - tutt’ora il relativo thread è uno dei più affollati - si discuteva di iniquità delle prove della forzante antropica al cambiamento climatico. Come è giusto che sia, ci sono ormai – è inutile negarlo – delle fazioni che si autosostengono delle proprie convinzioni, cominciando a perdere – devo ammetterlo – la giusta lucidità, non distinguendo ormai oltre il loro naso.
Badate bene, sia tra i “negazionisti” ad ogni costo che tra i “serristi” della prim’ora.
Qui siamo tra amanti della meteo e dei relativi modelli: pochi masticano la complessa struttura algebrico-matematica che li sostiene ma molti ci scherzano, li usano giornalmente, li criticano.
Tutto come se fosse facile, scevro di risvolti. In realtà si tratta di una medaglia a mille facce: perché un’eventuale accordo internazionale post-Kyoto (ed è vero, che Kyoto da qualunque parte lo si guardi è iniquo) parte da una base, da un tavolo: beh questo è quello che doveva essere Kyoto ed in questo i promotori sono pienamente riusciti. Non LA soluzione, nemmeno UNA soluzione ma una base di partenza.
Oggi una notizia m’ha colpito, e devo dire che m’ha colpito duro.
“Decine e decine di eritrei inabissati come una povera zavorra di ossa in fondo a quello stesso mare in cui a Ferragosto incrociano navi da crociera, traghetti, e gli yacht dei ricchi.
È questo il dato che raggela ancor più.
Perché in venti giorni, nelle acque della Libia e di Malta, e in mare aperto, qualcuno avrà pure incrociato, o almeno intravisto da lontano quel barcone; ma lo ha lasciato andare al suo destino. Solo da un peschereccio, hanno detto i superstiti, ci hanno dato da bere.
Come dentro a una spietata routine: eccone degli altri. E non ci si avvicina. Non si devia dalla rotta tracciata, per un pugno di miserabili in alto mare. Noi non sappiamo immaginare davvero.
Come sia immenso il mare visto da un guscio alla deriva; come sia spaventoso e nero, la notte, senza una luce.”
Io non sono religioso - credo solo nell’uomo e nelle sue possibilità - ma in questo momento ammetto volentieri che l’unico commento sensato a questo fatto orrendo l’ho trovato proprio sull’Avvenire.
So che vi starete chiedendo, beh, ma tutto questo che c’entra con la meteo?
Questo è proprio uno dei mille risvolti che si citavano nel thread su Giscard d’Estaigne che qualcuno ricorderà, in luglio: questa è la conseguenza – vera – dei riflessi che quei colori che vedete spesso sulle emissioni GFS o NOGAPS o delle analisi NOAA tingono l’Africa o il Medioriente o il sudest asiatico.
Perché se molti diranno "ma cosa c’entra? Quelli vengono qui perché non hanno lavoro, non hanno nulla e sono attratti da noi come fossimo specchi per allodole" io dico che questo è quello che lo stereotipo dice.
Al momento – e tutti gli studi IDOS Caritas confermano, come altre istituzioni non profit che operano in loco – su un sistema di per sé ormai bloccato da mille vincoli e cardini – così vuole l’economia – si sta concentrando una pressione climatica avversa assolutamente notevole.
Arriviamo al nodo: questo è ciò che significa principio di precauzione, e che troppo spesso ai vari che prendono una nevicata di gennaio per chiedersi dove sia l'effetto serra, financo scienziati eminenti come Zichichi perdono di vista.
Un governo e ancor di più le istituzioni internazionali dovrebbero – pur con tutti i difetti delle scelte ideologiche – non più rimandare a prove certe (ovvero ad evidenze) ma tutelare chi c’è e chi ci sarà se questo potrà salvargli la vita: quand'anche siano i raggi cosmici, il sole, la materia oscura, una scorreggia di Plutone avremmo comunque attenuato la pressione sull'aria, sugli ecosistemi, sull'acqua potabile, su noi stessi.
Smettere di inquinare non fermerà i barconi: ma sicuramente potrà innescare un circolo virtuoso in cui a contare non saremmo soltanto noi occidentali o chi ha il petrolio ma anche chi, per esempio, ha dei campi di Jatropha curcas - Wikipedia (potrebbe essere il Senegal, per esempio).
Solo se cominceremo ad essere consapevoli delle conseguenze delle nostre scelte (un altro dei risvolti positivi di Kyoto è che tutti parlano di cose, come il rendimento di un motore di cui nessuno si sarebbe sognato di parlare solo cinque anni fa) di comodo potremmo avere le mani libere per tendere una mano a chi sta annegando.
Questo non è un gioco a trova l'errore: la posta potrebbe essere molto, molto più alta.
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