Se è solo che vagamente chiaro il fatto che le velocità zonali ( e le dinamiche della corrente a getto) possano essere correlate al gradiente termico polo - equatore, mi preme far notare una situazione che definire anomala è un eufemismo.
Questi gli scarti termici dell'aria nell'artico (guardate in particolare l'artico canadese) rispetto la media trentennale della prima decade di ottobre 2012:
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queste le anomalìe delle SST:
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e credo che questo sia solo il seguito di una serie di anni cui tali anomalìe grossomodo si ripetono negli stessi periodi.
Adesso invece facciamo una nuova considerazione inerente la stratosfera ove la minor /maggior intensità del ciclo solare ha operato diversi assetti e diverse anomalìe di geopotenziali e conseguentemente diversi gradienti barici polo-equatore.
Ricordiamoci sempre che alla base di intensi venti zonali vi è un vortice polare stratosferico forte e viceversa.
Ho preso come esempio una quota stratosferica media di 70 hpa ovvero che potesse in qualche modo essere influenzata dai combinati fattori troposferici (legati quindi alla situazione dell'artico) e dai fattori più prettamente stratosferici (legati all'attività solare).
Ho preso in considerazione il periodo relativo ai mesi settembre /dicembre (quindi inizio / fine autunno e inizio inverno) che più sono sensibili agli assetti della fase di transizione legati alla ripartenza del vortice polare stratosferico e la situazione troposferica (legate alle anomalìe termiche lasciate dalla stagione estiva).
Queste le anomalìe relative al recente periodo di bassa attività solare (2008/2011):
tropico / equtoriale:
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ove bene si evidenzia una stratosfera più fredda della norma dovuta al minor spessore delle masse d'aria che, in presenza di una debole fase solare, perdono maggior calore.
artica:
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qui invece prevalgono i disturbi legati alla troposfera e alle anomalìe artiche.
RISULTATO: a livello strato un polo più caldo e un equatore più freddo della normae quindi una maggior difficoltà alla ripartenza del getto polare.
Ora proviamo a vedere gli anni 90 (che massimamente hanno risentito del massimo di una ciclo solare molto forte).
tropico/equatoriale:
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ove si nota che non vi sono anomalìe di rilievo rispetto la norma.
artico:
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ove è invece ben visibile un netto rinforzo del vortice polare stratosferico già in autunno e inizio inverno dovuti verosimilmente ad una situazione troposferico polare assai diversa e ben poco inibente la partenza del vp.
Si aggiungano i minimi toccati in quegli anni dei valori dell'ozono la cui presenza è alla base invece del riscaldamento strato - polare.
RISULTATO: un vortice polare molto attivo e un getto polare da subito assai energico
Matteo
Ottimo intervento Matteo
La bassa attività solare sta favorendo tutta una serie di effetti a cascata, come il cambio di segno della PDO ed il progressivo calo della NAO:
Tutto relativo alla minor tensione zonale come hai ben spiegatoPoi il tutto è "limato" dalle teleconnessioni in alta frequenza, ma il periodo che stiamo vivendo è fortemente caratterizzato da questa forzante e non escluderei una correlazione anche con il progressivo scioglimento del pack artico
Cloover
Filippo Casciani membro del CSCT TEAM
Direi che nella fase di transizione autunno inverno diviene proprio questo l'elemento essenziale a mio avviso
Ora un'altra analisi che, dico la verità, mi ha meravigliato non poco.
Pur dovendo rammentare che si tratta di anomalìe su basi trentennali e non di valori di gpt è indubbio che la comparazione anche nel cuore dell'inverno degli ultimi 10 anni rispetto alla decade degli anni 90 non può che suscitare alcune considerazioni.
Avrei pensato che tali anomalìe attribuibili per gran parte alle dinamiche di rilascio del calore nella calotta artica nella fase autunnale fossero assai meno importanti nella restante parte dell'inverno.
Prendiamo sempre la media-bassa strato a 70 hpa:
anni 2000, comparazione tropici/artico:
tropici 2000.png
anni 2000 artico.png
anni 90:
tropici 90.png
anni 90.png
Naturalmente si tratta di anomalìe medie dei periodi presi in considerazione.
![]()
Matteo
CHAPEAU vecchia banana !!......grande analisi...comunque ricordo anch'io il discorso di Giuliacci in proposito.
Cmq Matteo c'era l'ottima spiegazione di Giuliacci in tal senso , (Non so se la ricordi,purtroppo non riesco a trovare il collegamento) , dove spiegava il forcing della bassa attività solare sulla stratosfera Equatoriale e Polare con indebolimento dell'indice zonale(semipermanenti aleutinica/islandese) e riorganizzazione delle anomalie oceaniche (PDO in primis).....
Direi che i tuoi Plot valorizzano proprio questo concetto![]()
Filippo Casciani membro del CSCT TEAM
Questo è l'abstract:
Sulla scena del clima a livello globale sono in atto attualmente tre anomalie:
a. l’anomalia negativa della QBO, la quale persisterà nei bassi strati stratosferici probabilmente
almeno per altri 4-5 mesi, ovvero fino all’inverno prossimo e che pertanto potrà favorire
incursioni di aria fredda polare verso più basse latitudini (vedi articolo del 17.9.2010);
b. la Niña, l’anomalo raffreddamento delle acque del Pacifico equatoriale, la quale
raggiungerà valori moderati-forti proprio nel prossimo inverno, ma che non dovrebbe avere
ripercussioni nelle vicende invernali del nostro emisfero (vedi articolo del 19.9.2010);
c. la persistente debolezza dell’attività solare, in termini di sunspot number e di attività
geomagnetica e che è in atto ormai da 5-6 anni, con valori minimi raggiunti proprio tra il
2009 e il 2010.
In questo articolo esamineremo appunto l’influenza dell’attività solare sul clima invernale a
scala europea
Fino a qualche anno fa la quasi totalità della comunità scientifica internazionale, sulla base della
ricostruzione del clima da parte dei modelli fisico-matematici, aveva maturato la convinzione che le
variazioni più o meno periodiche nella intensità della radiazione solare, prese a sé stanti, non
riescano a giustificare il forte attuale Global Warming (≈ +07/+0.8 °C dal 1850 ad oggi) perché al
più potrebbero provocare fluttuazioni di non più di 0.1-0.2 °C nel clima della terra nell’arco di
qualche decennio.
Ma oggigiorno molti studiosi fanno notare che l’influenza del sole sul clima della terra si esplica,
non tanto attraverso le fluttuazioni, modeste, della quantità di energia solare in arrivo sul pianeta,
quanto piuttosto attraverso un meccanismo più complesso legato all’attività solare.
L’attività del sole infatti viene misurata dagli astronomi non solo in base alla quantità di energia
irradiata nello spazio dalla nostra stella ma anche dal numero di macchie solari presenti su disco
solare, numero espresso mediante l’indice SSN (SunSpot Number) e che assume un valore massimo
ogni 11-12 anni . L’attività delle macchie solari a sua volta modula sia la quantità di radiazione UV
che giunge nella stratosfera (con ripercussioni sulle concentrazioni di ozono stratosferico) sia il
vento solare il quale, a sua volta, ha profonde ripercussioni sull’attività geomagnetica, espressa di
solito con lo Ap index
Le nostre argomentazioni hanno preso spunto da un interessante articolo comparso nell’aprile 2010
sulla BBC a cura di Mike Lockwood dell’università di Reading il quale, esaminando l’influenza
delle macchie solari sul clima invernale dell’Inghilterra dal 1600 ad oggi, ha trovato uno stretto
legame statistico tra gli eventi di scarsa attività solare e gli inverni molto freddi sulla Britannia.
La spiegazione del fenomeno, secondo lo scienziato, andrebbe ricercata nella maggiore frequenza di
anticicloni di blocco invernali sul Nord Atlantico (NAO molto negativa) ogni qual volta l’attività
solare, in termini si numero di macchie solari, è molto bassa o evanescente, così come avvenuto,
appunto nell’inverno appena passato.
Lo studio di Lockwood mi ha offerto lo stimolo per approfondire l’argomento e verificare se e in
quale modo l’attività solare, può avere riflessi sull’inverno europeo.
Tralasciamo qui di tirare in ballo la interessante recente teorie di Svensmark1, nonché quella ancora
più recente di Scafetta, le quali sembrano ben interpetrare l’influenza a scala globale dell’attività
solare sul clima di lungo periodo (10-50 anni) ma non possono spiegare perché taluni effetti si
avvertono nel breve periodo ( 1-10 anni) soltanto su talune specifiche arre del globo.
Nella fig. 1 è riportato l’andamento dell’indice Ap dal 1950 ad oggi.
Si noti lo straordinario sincronismo con il trend della NAO invernale rilevata negli ultimi 60 anni
(fig.2).
1.png
2.png
In particolare sia l’indice Ap che l’indice NAO mostrano un declino tra il 1950 e il 1965. Segue poi
un trend in salita fino agli anni 1990-1995 e poi di nuovo un calo fino ai giorni nostri, calo che si è
bruscamente accentuato dal 2004 ad oggi.
Nelle fig. 3 e 4 è riportato l’andamento più dettagliato dal 1991 ad oggi, rispettivamente dell’indice
Ap e NAO.
3.png
4.png
Si noti la straordinaria sovrapponibilità dei due grafici anche in alcuni dettagli anche a livello
annuale, come il minimo relativo nel 1998, i massimi relativi nel 2000 e nel 2004 e infine il brusco
calo di entrambi gli indici dal 2004 ai giorni nostri.
Per ritrovare, per l’indice Ap, valori così bassi occorre spingersi fino agli inizi del secolo passato
(figura 5)
5.png
mentre per la NAO in inverno valori mensili così bassi (negativi) come quelli rilevati a gennaio del
2010, bisogna spingersi indietro fino al 1963.
Nella fig. 3, sovrapposto all’indice Ap, è riportato anche l’indice SSN (SunSpot Number) il quale
però è palesemente correlato alla NAO in maniera molto meno stringente dell’indice Ap.
Tale circostanza potrebbe stare a significare che la NAO, più che dal numero di macchie solari
(SSN) è influenzata dalle variazioni dell’attività geomagnetica provocate sul nostro pianeta dalla
variabilità della intensità del vento solare,
Ma quale è il meccanismo che può spiegare questa stretta relazione tra l’indice Ap e la NAO?
Ebbene, quando il sole, nel suo ciclo undecennale raggiunge la minima intensità in termini di
radiazione, allora in inverno è minima anche la radiazione solare in arrivo tra 0-30° latitudine.
Pertanto la stratosfera equatoriale e subtropicale tende a raffreddarsi. Il raffreddamento è in genere
avvertito solo nella stratosfera equatoriale perchè la modesta densità dell’aria a tali quote bariche,
fa sì che qui variazioni anche piccole di radiazione solare producano sensibili variazioni di
temperatura2.
Il raffreddamento invernale della stratosfera tra 0 e 30° N è stato molto marcato dal 2004 ad oggi
(fig.6 sotto) quando appunto l’attività solare ha subito un tracollo sia in termini radiativi che in
termini di vento solare.
6.png
Ma il raffreddamento stratosferico tra 0 e 30 gradi di latitudine ha diminuito, l’indice zonale, ovvero
il dislivello barico equatore-polo, il vero motore delle correnti occidentali le quali pertanto, in
inverno, soprattutto negli ultimi 5 anni, sono state costrette a rallentare.
Ma quando l’indice zonale scende sotto un certo valore, allora la velocità media zonale U può
diminuire fino a tal punto che le onde lunghe di Rossby diventano stazionarie, dando vita ad
anticicloni di blocco (NAO molto negativa) in prossimità delle isole britanniche (qui è evidente il
collegamento con la ricerca di Mike Lookwook).
Per di più indici zonali molto bassi favoriscono l’innesco di onde di Rossby trasversali (rispetto al
moto) e molto ampie nel verso dei meridiani. Tali onde riescono a raggiungere spesso anche la
stratosfera artica ove iniettano flussi di calore da più basse latitudini.
Quindi con attività solare molto debole è più probabile un surriscaldamento della stratosfera polare
(come confermato ancora della fig. 6 relativa appunto al periodo 2004-2010).
Il riscaldamento della stratosfera polare, in contrapposizione al riscaldamento della stratosfera
equatoriale e subtropicale, provoca a sua volta un ulteriore indebolimento dell’indice zonale e
quindi un ulteriore rallentamento delle correnti occidentali.
Per di più, l’accentuazione degli scambi meridiani indotta da indici zonali bassi aumenta anche
l’ozono, trasportato a livello stratosferico verso il polo.
Questo spiegherebbe perché le concentrazioni di ozono stratosferico nell’area artica in inverno
siano leggermente aumentate dal 2004 ad oggi (fig.7).
7.png
Ma in inverno una maggiore concentrazione di ozono rispetto periodo 1970-1995 non fa altro che
propiziare un ulteriore aumento della temperatura polare perché vien in tal modo propiziata una
maggiore cattura di UV.
Insomma sole molto debole = più frequenti episodi di riscaldamento invernale della stratosfera
artica = più eventi di indebolimento del vortice polare = aumento degli episodi di stratwarming =
più frequenti irruzioni di aria polare verso le medie nasse latitudini europee.
Il sole in questo momento è ancora debole, come dimostrato da valori Ap ancora sotto la soglia di
10 (vedi fig. sotto) e quindi è poco credibile che l’attività solare possa tornare su livelli significativi
prima di 4-5mesi. Pertanto è credibile che la persistente inattività solare influenzi anche il prossimo
inverno.
8.png
Teoria di Svensmark
Quando l’attività solare aumenta, aumenta anche il vento solare, il flusso di particelle cariche che
propaga nello spazio insieme al suo forte campo magnetico (la Fisica indegna che ogni particella
carica in movimento genera un campo magnetico mobile). Ma tale campo magnetico posto tra il
sole e la terra deflette i raggi cosmici, velocissime particelle cariche provenienti dal sole e dallo
spazio intergalattico, i quali, stante la loro elevata energia di urto, hanno la proprietà di ionizzare
l’atmosfera, specie là dove questa è più densa (e quindi gli urti sono più numerosi) ovvero nella
parte più prossima al suolo. Ma le molecole d’aria elettrizzate dai raggi cosmici, sono, insieme al
pulviscolo atmosferico, nuclei privilegiati per coagulare su di sé il vapore acqueo circostante,
favorendo in tal modo la formazione di nubi nella bassa atmosfera. A sua volta, le nubi basse hanno
la proprietà di raffreddare la terra. Però negli anni ’80-‘90 l’aumento dell’attività solare ha tenuto
lontano dalla terra gran parte dei raggi cosmici e quindi vi è stata una minore formazione di nubi in
prossimità del suolo e questo spiegherebbe, insieme alle cause antropiche, il forte riscaldamento
della terra degli ultimi decenni.
2
A parità di calore Q fornito ad un volume d’aria di 1 m 3 , la variazione ΔT subita dall’aria è data
da ΔT = (1/ρcp) ΔQ, ove ρ= densità dell’aria e c p = calore specifico a pressione costante. E’
evidente che ΔT è inversamente proporzionale a ρ
Non solo l'attività solare indebolisce l'indice zonale come dicevo qui ma anche la qbo- in un modo simile
Prime riflessioni Inverno 2012-2013 parte 1: Nino Modoki?
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[B][SIZE=2][FONT=arial]Non puoi sapere quanto sei forte r[/FONT][/SIZE][B][SIZE=2][FONT=arial]ealmente, fino a che l'esserlo non diventa la tua unica scelta
[URL]http://www.youtube.com/watch?v=ToZ0DZxpL44[/URL]
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